|
Come dappertutto, più o meno nelle ultime tre settimane in molte capitali africane è emersa una tendenza comune. Chi aveva prenotato viaggi, per lavoro o per svago, annulla i voli; le aziende chiedono ai lavoratori di rimanere a casa e, in alcuni casi, riducono i contratti di lavoro. Una crisi sanitaria globale, che in apparenza ha colpito l’Africa meno che la Cina e i Paesi del Nord, si sta trasformando per questo continente e per molte altre nazioni a medio e basso reddito in una crisi sociale ed economica. L’economia africana è stata «contagiata».
Siamo solidali, certamente, con tutti coloro che sono stati contagiati e direttamente colpiti dal coronavirus, ai quali vanno i nostri pensieri e le nostre preghiere. In una crisi sanitaria, la prima preoccupazione è e dev’essere per la salute delle persone malate.
Tuttavia, anche l’impatto economico sta avendo effetti drammatici sul benessere delle famiglie e delle comunità. In Africa e in altri Paesi a basso reddito, per le famiglie vulnerabili la perdita di reddito, causata da una pandemia come quella del Covid-19, può tradursi rapidamente in picchi di povertà, in cibo carente per i bambini, in un limitato accesso a servizi fondamentali per l’esistenza, come l’assistenza sanitaria, l’acqua e la casa. Per l’Africa e per molti Paesi a basso e medio reddito, dal Camerun alla Costa Rica, la diffusione globale del virus si traduce in conseguenze economiche per popolazioni che già in partenza sono più vulnerabili.
Conseguenze macroeconomiche
La chiusura dei porti cinesi in seguito allo scoppio dell’epidemia di Covid-19 ha portato a massicce interruzioni della produzione e delle linee di approvvigionamento, provocando effetti a catena a livello mondiale in tutti i settori economici: si è verificato un inedito doppio shock della domanda e dell’offerta. Ai primi di marzo, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) ha rilevato che «nel 2020 la crescita annuale globale del Pil dovrebbe scendere complessivamente al 2,4% rispetto a un già debole 2,9% del 2019. La crescita forse sarà negativa già nel primo trimestre del 2020», con un crollo dei mercati globali nei giorni immediatamente successivi.
In Africa crescono così la paura e la preoccupazione per il Covid-19. Diversi Paesi hanno messo in atto misure rigorose per garantire che il virus non si diffonda ulteriormente. Tuttavia, sebbene nel continente africano a tutt’oggi la pandemia si sia diffusa meno che nel resto del mondo, la sua economia è già «contagiata» e subisce gli effetti del virus. Sul versante della domanda, le conseguenze più immediate per l’Africa, in seguito all’impatto economico del Covid-19, riguardano il commercio. La Cina infatti è il suo più grande partner commerciale. Ne ha subito risentito la domanda delle materie prime africane.
Gli importatori cinesi stanno annullando gli ordinativi in seguito alla chiusura dei porti e in conseguenza della riduzione dei consumi in Cina. Oltre tre quarti delle esportazioni africane verso la Cina e verso il resto del mondo riguardano le risorse naturali: qualsiasi riduzione della domanda si ripercuote sulle economie di gran parte del continente, dal momento che la principale fonte di valuta estera di alcuni Paesi è costituita dalle loro esportazioni verso la Cina. Stati come l’Angola, la Repubblica Democratica del Congo, lo Zambia, lo Zimbabwe, la Nigeria e il Ghana sono significativamente messi a rischio dal crollo delle esportazioni di materie prime industriali, come il petrolio, il ferro e il rame. I detentori di questi prodotti sono costretti a venderli altrove a un prezzo scontato. Adesso che il Covid-19 si è diffuso anche nei Paesi del Nord, in particolare bloccando quelli europei – che per l’Africa sono partner commerciali essenziali –, gli Stati africani hanno subìto un secondo contraccolpo.
Sul versante dell’offerta, un rapido sguardo alle importazioni africane rivela che i macchinari industriali, le manifatture e i mezzi di trasporto rappresentano oltre il 50% del fabbisogno combinato dell’Africa. Attualmente le importazioni dall’estero costituiscono più della metà del volume totale delle importazioni nei Paesi africani: i fornitori più importanti sono in Europa (35%), in Cina (16%) e nel resto dell’Asia, in particolare l’India (14%). Ne consegue che il lockdown causato dal Covid-19 porterà a una diminuzione della disponibilità di manufatti importati in Africa non soltanto dalla Cina, ma anche dall’Asia e dall’Europa.
Sul versante della domanda, le esportazioni africane verso l’Europa si sono ridotte. Lo Standard Newspaper, un giornale del Kenya, ha riferito che al 12 marzo le vendite di prodotti freschi dal Kenya hanno subìto una pesante battuta d’arresto dopo le improvvise cancellazioni dei voli: una di queste ha lasciato marcire dieci tonnellate di fiori. Il quotidiano informava che quella singola spedizione valeva circa 12 milioni di scellini kenioti (equivalenti a 120.000 dollari americani), esempio lampante dei terribili danni che l’economia locale sta subendo per la piaga del coronavirus. Per il Kenya, dopo le rimesse in denaro, i fiori sono la più grande fonte di valuta estera, con un introito, lo scorso anno, di oltre 120 miliardi di scellini (1,2 miliardi di dollari). Nel giornale veniva riportata questa dichiarazione di Clement Tulezi, direttore generale del Kenya Flower Council: «Siamo molto preoccupati per l’andamento dei principali mercati, perché andiamo incontro a un grosso problema».
Conseguenze microeconomiche: i mercati locali e l’«economie informale»
In Africa l’impatto globale del virus si risolve in un contraccolpo diretto sulle economie locali, ovvero su quel bacino di microimprese che ne costituisce la componente più ampia, popolarmente nota come «settore informale». Le merci importate dalla Cina e rivendute da piccoli dettaglianti dominano i mercati informali africani. Nel continente, questo genere di attività è una fonte di sostentamento per molti.
La maggior parte degli effetti economici del virus proverrà dai «comportamenti aversivi». Si tratta delle azioni che le persone compiono per evitare il contagio fisico, e rispondono principalmente a tre sollecitazioni:
- I governi impongono divieti per determinati tipi di attività: per esempio, il governo cinese ha ordinato la chiusura delle fabbriche, i Paesi europei hanno decretato la chiusura dei negozi, e i governi africani hanno sospeso i voli provenienti dalle zone colpite.
- Le imprese e le istituzioni (incluse università, scuole e aziende private) prendono misure attive per evitare il contagio. Si tratti di divieti governativi o di decisioni aziendali, la chiusura delle imprese si traduce in una perdita di salario per i lavoratori, tanto più nell’economia informale, dove non esistono ammortizzatori sociali.
- I singoli individui riducono le visite al mercato, i viaggi, le uscite e altre attività sociali.
Queste azioni si ripercuotono su tutti i settori dell’economia, e a loro volta si traducono in una contrazione del reddito sia dalla parte dell’offerta (la riduzione della produzione spinge al rialzo i prezzi per i consumatori) sia dalla parte della domanda (la riduzione della domanda da parte dei consumatori danneggia gli imprenditori e i loro dipendenti). Molti commercianti sono preoccupati del fatto che i prodotti provenienti dalla Cina, che già scarseggiano, presto si esauriranno completamente. «Potremmo riuscire a reperire le nostre forniture da altri Paesi, per esempio da Dubai», ha detto Catherine Wachira, imprenditrice di Nairobi. Ma alcuni prodotti non si possono trovare a prezzi ragionevoli né a Dubai né altrove. Catherine va in Cina più volte all’anno per comprare apparecchi elettronici, cosmetici e prodotti di bellezza per capelli. Adesso questo non è più possibile. «A Nairobi e in diverse altre città africane, le scorte di alcuni prodotti provenienti dalla Cina, compresi i generi alimentari, sono già state decimate, facendo lievitare i prezzi», ha affermato Waweru, presidente della Nairobi Traders Association.
In particolare, scarseggiano sempre di più i prodotti elettronici. Molti importatori, abituati a viaggi ricorrenti in Cina, oggi non sono più in grado di acquistare i beni di cui hanno bisogno, a causa delle restrizioni d’ingresso. Le catene di fornitura sono state interrotte ormai da settimane, perché molte fabbriche cinesi hanno fermato la produzione. I piccoli commercianti di prodotti tessili, di elettronica e di articoli per la casa sono in difficoltà.
Anche un negoziante di Accra osservava con preoccupazione che molte merci provenienti dalla Cina non arrivano più in Ghana. Le forniture alternative sono molto limitate. «Al momento è molto difficile rimpiazzare i cinesi», ha osservato un imprenditore locale. Un importatore dello Zambia si è espresso in termini analoghi: «Potremmo cercare di acquistare i prodotti di cui abbiamo bisogno in India o a Dubai. Ma probabilmente avremmo problemi analoghi, perché anche l’emirato importa la maggior parte dei suoi prodotti dalla Cina». Le piccole imprese nigeriane sono a loro volta tra le più colpite. Si dice che nessun Paese africano consumi tante merci cinesi quanto la Nigeria.
Un gruppo di lavoratori particolarmente danneggiati dalla situazione attuale sono i commercianti di valuta. L’operatore di un’azienda del settore a Lagos ha comunicato di aver subìto perdite considerevoli negli ultimi giorni: «La gente non è più entrata nel nostro ufficio per acquistare valuta estera, perché nessuno vuole andare in Cina». Molti uomini d’affari della regione hanno cancellato i viaggi all’estero.
Racconti simili vengono dallo Zimbabwe. Anche questa nazione starebbe incontrando notevoli difficoltà di approvvigionamento. Una doppia batosta alla sua già sofferente economia. «Prima che scoppiasse il coronavirus, ho ordinato alcune merci dalla Cina. Ma non sono mai arrivate a Harare. I nostri clienti sono arrabbiati», ha detto un rivenditore. Molti zimbabwesi si rivolgono, come lui, alla Cina per procurarsi merci a basso costo.
Oltre alla ridotta disponibilità di forniture cinesi da destinare alla rivendita da parte dei dettaglianti africani, il secondo motivo di crisi viene dalle direttive emanate dai governi per interrompere o ridurre al minimo varie attività, come grandi raduni, matrimoni, riunioni religiose e via dicendo. I piccoli fornitori di derrate per simili eventi hanno perso una considerevole parte dei loro introiti. Elizabeth Wanjiru, fioraia, ha affermato: «Siamo in grande difficoltà. Nelle ultime due settimane sono rimaste invendute varie forniture di fiori e, ovviamente, i fiori sono merci deperibili […]. Ciò significa, semplicemente, che non abbiamo più soldi per comprare cibo, per la casa e per altre necessità di base. Stiamo soffrendo». Un altro fornitore di casalinghi a Nairobi, Johaden Mbula, ha fatto il triste bilancio di una giornata: «Sono riuscito a vendere merci per soli 100 scellini (un dollaro americano)».
La maggior parte dell’economia africana è informale
Le ripercussioni più gravi pertanto riguardano l’economia informale, che è la principale fonte di sostentamento per la maggior parte degli africani, e non sono state ancora adeguatamente quantificate e descritte. Finora le analisi si sono per lo più concentrate sull’impatto della crisi sull’economia tradizionale: compagnie aeree, commercio, infrastrutture, energia, assicurazioni, industrie e così via. Ma in Africa l’economia informale è un enorme serbatoio di reddito.
L’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) stima nella percentuale del 41% del Prodotto interno lordo la dimensione media dell’economia sommersa nell’Africa subsahariana. Essa va da meno del 30% in Sudafrica fino al 60% in Nigeria, Tanzania e Zimbabwe. Dà lavoro a moltissime persone. Rappresenta circa i tre quarti dell’occupazione non agricola e circa il 72% dell’occupazione totale subsahariana. Per lo più gli operatori del settore informale sono donne e giovani che non hanno altro mezzo per la loro sopravvivenza e sussistenza.
Il settore informale in Africa fornisce ogni sorta di merce, dal tessile all’elettronica, e quasi tutti questi prodotti vengono importati dalla Cina. Per i commercianti africani, come si è già detto, la carenza di forniture equivale a smettere di lavorare, a perdere del tutto il proprio reddito. Questa situazione sta aggravando il problema della povertà in Africa, l’ultima frontiera del mondo nella lotta contro la povertà estrema. Oggi un africano su tre, cioè 422 milioni di persone, vive sotto la soglia globale di povertà. In Africa vive oltre il 70% delle persone più povere del mondo.
Desta preoccupazione anche il rischio che l’impatto economico del Covid-19 possa rapidamente invertire il corso dei progressi compiuti negli ultimi 10 anni nella lotta alla riduzione della povertà. Secondo le proiezioni del World Data Lab, alla fine del 2019, e per la prima volta dopo che sono stati fissati gli «Obiettivi di sviluppo sostenibile», il numero degli africani uscito dalla povertà estrema era cresciuto. Tuttavia il ritmo di questa tendenza era stato ritenuto ancora minimo. Le previsioni dicevano che sarebbe aumentato, ma con la crisi attuale la tendenza dovrebbe ridursi ulteriormente, se non invertirsi.
Che cosa dovrebbero fare i Paesi africani per ridurre l’impatto economico del Covid-19? In primo luogo, affrontare la pandemia. A livello di singole nazioni, di realtà economiche regionali e anche come Unione Africana, essi devono approntare un valido piano per sconfiggere l’epidemia. Contenere la malattia è il primo passo per mitigarne non soltanto le conseguenze sulla salute, ma anche i riflessi economici. Le popolazioni devono essere sensibilizzate sul da farsi. Le immagini televisive del presidente Kagame che mostra come disinfettarsi le mani ne sono un ottimo esempio. Il fatto che la diffusione del virus in Africa sia ritardata e più lenta che altrove è una benedizione di cui i governanti africani dovrebbero approfittare. È un dato positivo che la Banca mondiale abbia già messo a disposizione circa 12 miliardi di dollari, e che il Fondo monetario internazionale abbia stanziato un prestito di 50 miliardi attraverso i suoi strumenti di finanziamento di emergenza a erogazione rapida per i Paesi a basso reddito e i mercati emergenti. Di questi, 10 miliardi di dollari sono disponibili a interessi zero per i Paesi più poveri attraverso la Rapid Credit Facility.
In secondo luogo, si dovrebbe rafforzare la rete di welfare. Come abbiamo detto, le ripercussioni economiche del Covid-19 saranno più dure per le famiglie vulnerabili. È probabile che esse non abbiano risparmi per sopravvivere a una recessione economica. Per giunta sono quelle i cui componenti, oltre alle difficoltà già evidenziate nella nostra analisi, con l’accrescersi dei divieti di attività all’aperto, non saranno in grado di svolgere il loro lavoro «da remoto». Pertanto i governi devono assicurarsi di approntare una rete di sicurezza economica: trasferimenti diretti di denaro, malattia retribuita, copertura sanitaria agevolata. E devono aggiungervi adeguati supporti per aiutare a sopravvivere i più vulnerabili e le piccole imprese messe in ginocchio dalla carenza di forniture provenienti dalla Cina.
In terzo luogo, va promossa la raccolta dei dati. I governi devono garantire la raccolta sistematica di dati sulle popolazioni che attraversano le maggiori difficoltà. La maggior parte delle ripercussioni economiche, come si è detto, si avranno nel settore informale, ovvero quello per il quale i dati sono più scarsi. C’è chi ha suggerito di organizzare una raccolta di dati essenziali, come venne fatto durante l’epidemia di Ebola del 2014-15. In Sierra Leone e in Liberia i ricercatori utilizzarono inchieste telefoniche per raccogliere in tempo reale informazioni riguardanti le ripercussioni della malattia, come pure dei comportamenti aversivi, sulle famiglie e sulle imprese sparse nel territorio. Sarà possibile aiutare i più vulnerabili soltanto se l’acquisizione dei dati necessari riuscirà a quantificare attendibilmente gli effetti della pandemia.
Copyright © 2020 – La Civiltà Cattolica
Riproduzione riservata
***
THE AFRICAN ECONOMY IS «INFECTED”
This article reflects on the social and economic impact of Covid-19 on the poorest people in Africa. While the focus of most evaluations is on areas of the formal sector, such as trade, infrastructure, energy, tourism, this article shows how the poor in Africa are already suffering the consequences of Covid-19 as a consequence of living off the so-called «informal economy» activities, which are not captured by the principal surveys. Therefore, governments and humanitarian associations need to focus on creating aid systems for the poorest people in low and middle income Countries.