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Scherza con i fanti è un inno alla pace, formulato mediante un film documentario firmato a quattro mani dal regista Gianfranco Pannone e dall’etnomusicologo e musicista Ambrogio Sparagna. Il valore della «fratellanza» – il termine usato nel Documento di Abu Dhabi, firmato da papa Francesco e dall’imam di al-Azhar – nel film viene fatto emergere, con durezza e poesia, proprio dal suo opposto, ossia dall’odio che genera guerre, discriminazioni, oppressioni e violenze.
Il film documentario ripercorre, grazie a una ricca e suggestiva raccolta di materiali appartenenti agli archivi dell’Istituto Luce di Cinecittà, il XX secolo della storia d’Italia attraverso quattro diari di militari che hanno vissuto personalmente il dolore della guerra.
L’introduzione mostra già gli elementi che verranno approfonditi nel corso della pellicola: in un’alternanza di scene in bianco e nero, si susseguono momenti di lavoro e festività collettiva, scene di simulazione e addestramento militare, in cui il gioco dei soldati bambini si intreccia alla guerra reale degli adulti, che si conclude con l’immagine di un boato e della luce provocati dalla bomba atomica. La colonna sonora riprende il canto Senza fucili e senza cannoni, che auspica, ironicamente, che dai cannoni possano uscire solo «cento salsicce e suppressate».
Diari di guerra
Dalle immagini di archivio si passa all’inquadratura di una passeggiata, in un bosco, di Vincenzo Marasco, sergente della Marina militare, il quale legge parte dei suoi diari scritti durante la missione di pace in Kosovo nel 1999. Rievocando il pericolo delle mine, il rinvenimento di abitanti uccisi nei boschi e di un bambino rom che aveva perso il suo amico, egli mostra la drammaticità della guerra, anche quando è denominata «missione di pace». La sua voce diviene il filo conduttore che unisce le tante testimonianze che si avvicenderanno durante tutto il film.
Esse iniziano – con un ampio salto temporale – con quella di Carlo Margolfo, nato a Sondrio, bersagliere del Regio Esercito, testimone dei feroci eccidi perpetrati a Pontelandolfo, in Campania, nel 1861, come risposta vendicativa alla violenza dei briganti della zona: «Al mattino del mercoledì riceviamo l’ordine superiore di entrare nel comune di Pontelandolfo, fucilare gli abitanti, meno i figli, le donne, gli infermi, e incendiarlo […]. Entrammo nel paese. Subito cominciammo a fucilare i preti, gli uomini e, quando capitava, il soldato saccheggiava. E infine abbiamo dato l’incendio al paese, abitato da circa 4.500 abitanti».
Le immagini successive riguardano la Prima guerra mondiale, con scene ambientate nelle trincee, gli attacchi e le ritirate, tra il freddo e la neve. Dietro ogni soldato si nasconde una storia d’amore, unico residuo di un’umanità dimenticata: «In trincea moriamo di paura. Ieri ne ho visti cadere tre dei miei: è una carneficina, mia cara, non ho ancora compiuto diciannove anni e non ho istruzione e non comprendo perché fanno le guerre, sono vestito di grigioverde e questa divisa la trovo triste».
Il periodo coloniale
Il sergente Vincenzo Marasco apre un album fotografico consegnatogli da un marinaio che era stato in Abissinia durante il ventennio fascista. Si vedono impiccagioni, una fossa comune, ragazzine spogliate, insieme a scene di vita quotidiana nelle colonie della Somalia e dell’Eritrea.
In questa cornice, inizia il secondo diario, quello di Elvio Cardarelli, di Viterbo, autista del Regio Esercito, il quale nel 1935 si recò a combattere in Etiopia. Egli narra la fatica, la calura esasperante, le difficoltà di ambientarsi in una terra nuova, le imboscate dei ribelli. Le immagini mostrano come si cerchi di cambiare identità al popolo africano, ribattezzando con terminologia fascista le piazze dei paesi, impartendo ai bambini un’educazione improntata al regime. Le scene di guerra mostrano le incursioni aeree, l’impiego dei mitragliatori, dei lanciafiamme, e l’utilizzo dei gas da parte dell’esercito italiano. Le parole di Cardarelli si animano di amor patrio, oppure cedono allo sconforto, per la fatica e per la distruzione che egli vede intorno: «Siamo nella zona colpita dai gas che i nostri aerei hanno gettato qualche mese fa, quando il terreno che stiamo attraversando pullulava di Abissini. L’effetto deve essere stato terribile. Provo pena per questa povera gente. Dopo ore di deserto, il terreno diventa lussureggiante di vegetazione, ma scorgo di traverso, tra le alte erbe, i corpi neri di guerrieri rattrappiti dal fuoco dei nostri lanciafiamme […]; tenacemente allora fisso la strada, dritto davanti a me, e guido, guido, guido». Cardarelli morirà due settimane dopo il suo ritorno in Italia, per gli stenti e le malattie contratte in Africa.
Sulle note della canzone friulana Ai preât la biele stele vengono presentati frammenti filmici appartenenti alla Seconda guerra mondiale: bombardamenti aerei, fuochi della contraerea, fredde trincee si alternano a scene di povertà – il risultato immediato di ogni guerra –, di fatica contadina, di file per aspettare la razione di cibo, di gesti semplici di umanità, come un caffè caldo offerto a un combattente, o la cioccolata regalata da un soldato americano ad alcuni bambini.
Di forte intensità sono le scene del sacrario di El Alamein in Egitto, in cui si vede una distesa di croci anonime, la terra bruciata dal sole, la vita annichilita dalla guerra. Sono accompagnate da una drammatica versione del canto siciliano Chiancinu st’occhi mei: Piangono gli occhi miei lacrime amare / la lontananza che mi fa morire… Appaiono le immagini di una serie di paesaggi desolati, dove la guerra è passata e ha lasciato solamente scheletri di carri armati, bombe, elmetti e distruzione. È la desolazione che si rispecchia nel cuore di coloro che aspettano, forse invano, i propri cari partiti per il fronte.
Dolore senza confini
Il dolore si manifesta a Cassino – attraverso un capitolo tragico della storia della Liberazione, testimoniato anche dal film La Ciociara (1960), di Vittorio De Sica – nelle parole drammatiche di una donna violentata dai goumiers, soldati magrebini che facevano parte delle truppe coloniali francesi (Cef), aggregate agli Alleati. Rimane una ferita profonda, straziante, testimoniata dalle sue parole: «La verità è un’altra: è che gli uomini, quando sono in guerra, si sentono ancora più padroni». La guerra scatena gli istinti più brutali, e non a caso la scelta musicale per accompagnare questa tragedia è la struggente interpretazione del Magnificat da parte di Giovanni Lindo Ferretti: la sua voce ruvida e tenebrosa è capace di cogliere il senso di pietà e di misericordia nelle parole della Madonna.
Le immagini successive appartengono al tempo dei partigiani. Vengono letti alcuni brani del diario della partigiana Rosetta Solari, mentre scorrono le immagini di un paesaggio brullo e invernale della zona del Borgo Val di Taro, nell’Appennino parmigiano: «Ogni donna siede ripiegata su se stessa, sulla sua paura, sulle sue riflessioni; ogni suono fa trasalire…».
Poi si racconta la resa dei tedeschi, avvenuta il 9 aprile 1945, dopo l’attacco dei partigiani al Palazzo Ostacchini a Borgotaro (Pr) che è stato il quartier generale tedesco durante la Seconda guerra mondiale. Questo momento sancisce la fine del conflitto e il ritorno della popolazione al borgo.
Ma come ogni incendio, la guerra fa fatica a placarsi. Emotivamente suggestive sono le scene delle bombe sul quartiere di San Lorenzo, a Roma, le immagini di papa Pacelli tra la folla, a cui fa da commento la toccante canzone di Francesco De Gregori intitolata San Lorenzo: E un giorno, credi, / questa guerra finirà, / ritornerà la pace / E il burro abbonderà / e andremo a pranzo la domenica, / fuori porta, a Cinecittà, / oggi pietà l’è morta, / ma un bel giorno rinascerà / e poi qualcuno farà qualcosa, /magari si sposerà.
Dopo la guerra si ha un forte desiderio di ritornare alla normalità, e così si susseguono spezzoni filmici che mostrano la lenta ricostruzione non soltanto dei quartieri periferici di Roma, ma anche del tessuto sociale ed economico che dev’essere ricreato: ragazzini che giocano insieme; coppie che escono strette mano nella mano; gruppi di uomini che giocano a carte; bambini che corrono; uomini che lavorano trasportando materiali; i piccoli gesti quotidiani che fanno parte della normalità dell’esistenza.
L’epilogo del film documentario è un’intervista a Ferruccio Parazzoli, scrittore e saggista, autore del romanzo Trilogia di Piazzale Loreto. La sua casa si affaccia proprio su tale Piazzale. Una piazza di Milano che ha cercato, attraverso una damnatio memoriae, di cancellare ogni traccia di come vennero esposti al ludibrio Benito Mussolini e Clara Petacci: «La piazza, come un volto sfigurato dalla cicatrice, subì successive operazioni di chirurgia plastica. La faccia di Piazzale Loreto sconvolta non recò più alcun segno di quel giorno».
Le immagini conclusive riprendono Marasco che suona la zampogna lungo le vie del suo paese: un ritorno alla normalità dopo questo viaggio fatto di dolore e di guerra.
Conclusioni
Gianfranco Pannone e Ambrogio Sparagna compongono un inno polifonico sul senso della pace e della fratellanza: istanze che si ergono su drammi che non sono riusciti a cancellare il senso di una umanità. Scherza con i fanti mostra come la storia d’Italia si sia costruita attraverso tanti momenti dolorosi, drammatici, che tuttavia non sono stati la parola definitiva sulla vita umana. I due autori sono riusciti a tessere una bandiera colorata di pace, composta da scene drammatiche ed evocative, dalla scelta di parole importanti custodite all’interno dei diari di guerra, e da un’attenta ricerca musicale sui canti delle tradizioni passate.
Questo film documentario può essere considerato una risposta concreta a uno degli appelli presenti proprio nel Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune: «Ci rivolgiamo agli intellettuali, ai filosofi, agli uomini di religione, agli artisti, agli operatori dei media e agli uomini di cultura in ogni parte del mondo, affinché riscoprano i valori della pace, della giustizia, del bene, della bellezza, della fratellanza umana e della convivenza comune, per confermare l’importanza di tali valori come àncora di salvezza per tutti e cercare di diffonderli ovunque».
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«SCHERZA CON I FANTI». A PATH OF PEACE THROUGH THE HISTORY OF ITALY
Scherza con i Fanti is a documentary film directed by Gianfranco Pannone and musician Ambrogio Sparagna. It is a hymn to peace and brotherhood, composed through scenes taken from the Archivio Luce, which show moments of war and poverty from Italian war history, from the end of the nineteenth century to the peace mission in the war in Kosovo. The flowing images are commented on with the words and thoughts found in the diaries of soldiers, partisans and citizens who experienced the violence of conflict. The music accompanying the scenes belongs to the Italian traditions , from the north to the south, and show how during wartime the desire for an end to violence and the hope to return to a life made up of relationships, work and sociality are the fundamental aspirations of all human beings.