
Dal 31 ottobre al 12 novembre 2021 si svolge la 26a Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (#Cop26) presso lo Scottish Event Campus, a Glasgow (Regno Unito). Rinviata di un anno a causa della pandemia di Covid-19, mentre gli eventi climatici estremi sono sempre più numerosi e intensi e il gruppo di lavoro I dell’Ipcc (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) ha appena pubblicato un rapporto allarmante, questa conferenza, organizzata insieme con l’Italia, segna una tappa cruciale nell’attuazione dell’Accordo di Parigi. Cosa possiamo aspettarci?
Il 4 ottobre scorso papa Francesco si è riunito con vari leader religiosi e scienziati per firmare un appello congiunto in vista della Cop26. L’ispirazione per questo incontro, che è stato preceduto da mesi di intenso dialogo, è stata, secondo i termini dell’appello, «la consapevolezza delle sfide senza precedenti che minacciano noi e la vita nella nostra magnifica casa comune […] e della necessità di una sempre più profonda solidarietà di fronte alla pandemia globale e alla crescente preoccupazione per la nostra casa comune»[1].
Durante questo incontro è emersa una forte convergenza delle diverse tradizioni religiose e spirituali presenti sull’urgente necessità di un cambiamento di rotta, per allontanarsi con decisione e fermezza dalla «cultura dello scarto», che prevale nelle nostre società, e andare verso una «cultura della cura». In che modo la Cop26 può essere un passo in questa direzione?
Contesto e «governance» del clima
Nel dicembre 2015, le 196 parti presenti alla Cop21 hanno adottato l’Accordo di Parigi. Il suo intento principale è mantenere il riscaldamento globale «ben al di sotto dei 2°C» e proseguire gli sforzi per mantenerlo a +1,5°C rispetto ai livelli di due secoli fa, per raggiungere l’obiettivo finale della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc), che è di «prevenire pericolose interferenze antropogeniche con il sistema climatico terrestre». Per riuscirci, i Paesi devono fissare un tetto e quindi diminuire le proprie emissioni di gas serra, al fine di raggiungere un equilibrio tra emissioni e assorbimenti nella seconda metà di questo secolo[2]. Sapendo che le tecniche di cattura e stoccaggio del carbonio industriale permetteranno verosimilmente di assorbire solo una quantità marginale del carbonio rilasciato nell’atmosfera, questo significa che tutta l’umanità deve puntare a emissioni prossime allo zero entro l’ultimo quarto di questo secolo. L’Ipcc ha confermato, nel suo rapporto dell’agosto 2021, che il raggiungimento di tale equilibrio permetterebbe di stabilizzare la temperatura globale. Resta inteso che i Paesi
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