Il 15 ottobre 2006 la giornalista e attivista per i diritti umani Anna Politkovskaja fu uccisa nell’ascensore della sua casa nel centro di Mosca: aveva 48 anni, e gli autori di questo omicidio non sono stati ancora trovati. Esattamente 15 anni dopo, il direttore del giornale dove lavorava Anna, Dmitrij Muratov, assieme alla giornalista filippina Maria Ressa, ha ricevuto il premio Nobel per la pace. Secondo il Norwegian Nobel Commitee, questo premio è stato assegnato ai due giornalisti per i loro «sforzi per salvaguardare la libertà di espressione, condizione preliminare per la democrazia e una pace duratura».
È importante spiegare perché sia stato un giornalista relativamente sconosciuto al di fuori della Russia, e non un politico attivo, a ricevere questo premio. Muratov è la terza persona in Russia a ricevere il premio Nobel, dopo due noti personaggi come Andrej Dmitrievič Sakharov (1975) e Michail Gorbaciov (1990), ma il primo nella Federazione russa di recente indipendenza. Egli ora è accostato a due persone che hanno dato un contributo decisivo alla caduta della dittatura comunista nell’Urss, e in generale nell’Europa dell’Est. Al caos degli anni Novanta, che per il giornalismo indipendente non è stato meno letale della stessa dittatura, è seguita la «stabilità» di Putin, che, se forse ha portato un miglioramento economico per la maggioranza dei cittadini, non ha risolto i problemi per le persone che considerano la libertà di espressione un valore imprescindibile.
Nella redazione del quotidiano Novaja Gazeta c’è una parete a cui sono appese le foto dei colleghi uccisi mentre svolgevano il loro lavoro di giornalisti. Una di questi giornalisti è Anna Politkovskaja, che ha pagato il prezzo più alto per la libertà di informazione, e in Russia è un simbolo di questa libertà. Muratov ha dedicato ad essi il premio: «Questo è il premio dei miei colleghi morti che hanno dato la vita per altre persone, che hanno combattuto contro la dittatura e che hanno lottato per la libertà di espressione. Il Nobel per la pace non viene assegnato ai morti, ma ai vivi. Ovviamente hanno deciso di darlo a me, che sono vivo, ma in realtà intendevano darlo a Jurij Ščekočichin, Igor Domnikov, Anna Politkovskaja, Anastasija Barburova, Stanislav Markelov e Natalja Estemirova»[1].
Nella dichiarazione della Nobel Prize Foundation si legge: «Da decenni Dmitrij Andreevič Muratov difende la libertà di espressione in Russia, in un contesto sempre più difficile. Nel 1993, è stato uno dei fondatori della testata indipendente Novaja Gazeta. Dal 1995 ne è direttore, per un totale di 24 anni. Novaja Gazeta è la testata più indipendente in Russia oggi, con un atteggiamento fondamentalmente critico verso il potere. È divenuta una importante fonte di informazione su aspetti censurabili della società russa, raramente menzionati negli altri media. Dalla sua nascita nel 1993, Novaja Gazeta ha pubblicato articoli critici su una serie di temi che vanno dalla corruzione alla violenza della polizia, dagli arresti illegali alle frodi elettorali e dalle “fabbriche di troll” fino all’uso delle forze militari russe, sia entro che al di fuori dei confini della Russia. Gli oppositori della Novaja Gazeta hanno risposto con molestie, minacce, violenze e omicidi. Da quando il giornale ha iniziato a esistere, sei dei suoi giornalisti sono stati uccisi, compresa Anna Politkovskaja, che ha scritto articoli rivelatori riguardo alla guerra in Cecenia. Nonostante gli omicidi e le minacce, il direttore Muratov non ha rinunciato all’indipendenza della testata. Con coerenza ha difeso il diritto dei giornalisti di scrivere tutto ciò che vogliono su ciò che vogliono, purché nel rispetto degli standard professionali ed etici del giornalismo»[2].
Chi è Dmitrij Muratov?
Il lavoro giornalistico di Muratov unisce tre epoche: gli ultimi giorni dell’Urss, il periodo post-sovietico e l’era di Putin.
Nato nel 1961 nella città di Kuybischev (ora Samara), Dmitry ha studiato alla facoltà di filologia dell’università locale. Ha iniziato a lavorare come giornalista nel 1985, anno in cui Gorbaciov ha dichiarato la perestroika. Nel 1992, non essendo d’accordo con la nuova linea editoriale della Komsomolskaya Pravda, dove lavorava all’epoca, ha lasciato il giornale e ha fondato l’associazione giornalistica «Il sesto piano» (Шестой этаж). Già un anno dopo, questa associazione ha dato vita a Novaja Gazeta (Новая ежедневная газета). Nel 1994-95 Dmitrij ha lavorato come corrispondente speciale in Cecenia. Nel 1995 è diventato direttore di Novaja Gazeta[3].
Secondo l’ex corrispondente da Mosca di Deutschlandfunk Sabine Adler, Muratov è il più coraggioso direttore di giornale che ci sia mai stato in Russia. Nessuno, tranne Novaja Gazeta, osa pubblicare analisi sulla situazione in Cecenia, dove, come lei dice, ancora oggi dominano il terrore e l’illegalità. Anche la pubblicazione di materiale sulle azioni del gruppo militare Wagner in Siria è stata molto coraggiosa, oltre che pericolosa; Muratov lo ha potuto sperimentare personalmente: si è trovato la testa mozzata di una pecora davanti alla porta del suo appartamento di Mosca.
Ina Ruck, che dal 2018 è redattrice e giornalista della trasmissione televisiva mattutina Ard a Mosca, ritiene che Novaja Gazeta abbia pagato un alto prezzo per le sue prese di posizione. Negli anni di governo di Putin, 37 giornalisti sono stati uccisi in Russia, e in una situazione del genere si deve avere molto coraggio e determinazione per difendere le proprie posizioni. Muratov, lei dice, ha tali qualità[4].
Sebbene sei dei suoi collaboratori siano stati uccisi negli anni in cui è stato direttore e nonostante le minacce ricevute, Muratov è rimasto per tutto questo tempo al suo posto. D’altra parte, il fatto che Novaja Gazeta sia diventata – e continui a essere – uno dei pochi mass media in Russia che si possa davvero definire «libero» lo si deve a lui, e ovviamente anche ai colleghi.
Il panorama dei media in Russia
Per comprendere meglio l’importanza del lavoro di Muratov si deve guardare alle condizioni in cui operano oggi i mass media indipendenti in Russia. Oltre alle minacce ai giornalisti a livello personale, la cosiddetta «legge sugli agenti stranieri» è l’ostacolo più grande alla funzione dei media. La legge è stata approvata nel 2012 e sanziona le organizzazioni non governative «politicamente attive» che ricevono sostegno finanziario dall’estero. Dal novembre 2017 anche i media possono essere dichiarati «agenti stranieri».
Si potrebbe scrivere un romanzo sulle ripetute modifiche apportate alla legge, e la sua conclusione provvisoria sarebbe l’emendamento approvato nel dicembre 2020, che consente di dichiarare «agenti» i movimenti sociali e gli individui che svolgono «attività politiche» nell’interesse di una «fonte straniera». Essi sono obbligati a inserire l’annotazione «agente straniero» nelle loro pubblicazioni. Anche i media devono indicarlo, quando citano tali persone o organizzazioni. Le leggi sono formulate in modo vago, e l’etichetta di «agente», che risale all’epoca di Stalin, spesso viene attribuita in modo arbitrario. Le organizzazioni così definite devono anche adeguarsi a regolamenti molto stringenti che rendono il loro lavoro notevolmente più difficile.
Come funziona in pratica questa legge? L’esperienza della «legge sugli agenti stranieri» dimostra in primo luogo che la sua attuazione non è uniforme e avviene in modo selettivo. Da una parte, ciò può essere dovuto alle diverse strategie di difesa delle Ong interessate; dall’altra parte, è anche dovuto alla formulazione deliberatamente vaga della legge stessa: il concetto centrale di «politicamente attivo» non viene definito in modo esaustivo. Le leggi ambivalenti concedono di fatto agli organi statali un alto grado di discrezionalità e aprono la porta a un’applicazione selettiva della legge. La giustizia sta diventando sempre più un fattore di influenza politica. Il fatto stesso che nei tribunali siano insolitamente lente le sentenze su casi che hanno a che fare con la legge sugli agenti spesso è stato interpretato nel senso che si dovesse innanzitutto aspettare un’istruzione «dall’alto».
Nel 2013 sono iniziate le ispezioni alle Ong, ad ampio raggio e senza preavviso, alcune delle quali hanno portato a sanzioni, sulla base della legge. La campagna contro le Ong nella primavera del 2014 ha ricevuto un ulteriore impulso in seguito a una modifica alla legge, che autorizza il ministero della Giustizia a inserire di propria iniziativa le Ong nel registro degli agenti stranieri. Nell’agosto 2015 ne sono state censite 85. Poiché molte organizzazioni hanno successivamente cessato le loro attività, il registro contiene ora solo 75 organizzazioni.
Dal novembre 2017, anche i media possono essere definiti «agenti stranieri». Anche in questo caso, la legge è formulata in modo così vago che il semplice fatto di partecipare a una conferenza di giornalisti in un Paese straniero è sufficiente per dichiarare l’intera testata «agente». Nel complesso, queste leggi dovrebbero servire a rendere più difficile il lavoro delle organizzazioni politicamente attive, ma esse funzionano anche come deterrente che stronca sul nascere le attività politiche «indesiderate»[5].
Non tutti nell’opposizione sono contenti del premio Nobel
Purtroppo, non soltanto la pressione dello Stato, ma anche le accuse reciproche e i litigi personali nell’opposizione liberale ostacolano la situazione di coloro che vogliono difendere le libertà politiche e i diritti umani, e molto spesso li rendono politicamente insignificanti, come è stato dimostrato anche dalle ultime elezioni della Duma: l’unico partito di tradizione liberale, Yabloko, non è riuscito a superare lo sbarramento del 5%, avendo ricevuto soltanto l’1,34% dei consensi[6].
Si poteva immaginare che un riconoscimento come l’assegnazione del premio Nobel per la pace a un giornalista dell’opposizione russa avrebbe suscitato una generale reazione positiva nel Paese, specialmente tra i compagni di lotta di Muratov. Ma la soddisfazione non è così generale. L’opposizione liberale in Russia è endemicamente frammentata, anche sull’opposizione al governo. Lo stesso Muratov è disposto a lavorare con Putin su interessi comuni: ad esempio, nella fondazione Krug Dobra («Il cerchio della gentilezza»), sostenuta dallo Stato, che aiuta i bambini malati. Per questo gli oppositori più radicali non lo considerano uno di loro.
Mentre alcuni funzionari del governo e i media ufficiali hanno espresso la loro soddisfazione per la decisione, alcuni oppositori del governo si sono chiesti perché un giornale come Novaja Gazeta, che è considerato un bastione della libertà di stampa, non sia stato ancora dichiarato «agente straniero» come quasi tutti i mass media più o meno indipendenti, e se non venga quindi premiato per la sua «leale opposizione» al regime. Questo è difficile da spiegare, se si considera che le relazioni tra il potere e i mass media in Russia vengono descritte con espressioni come «repressione generale». Tuttavia, sebbene il governo non tolleri media e giornalisti veramente indipendenti, sembra che non agisca poi in modo così radicale e faccia alcune eccezioni.
Ovviamente si può anche ritenere che in Russia ci sia un’«opposizione privilegiata», tutelata dal governo, che la usa come vetrina della libertà. La reazione del Cremlino alla decisione di assegnare il premio Nobel per la pace 2021 a Muratov sembra confermarlo. L’agenzia di stampa ufficiale Ria Novosti ha riferito che il Cremlino si è congratulato con Muratov per il premio. Dmitrij Peskov, portavoce del presidente Putin, ha detto che Muratov è un giornalista coraggioso e devoto ai suoi ideali e lavora sempre seguendo tali ideali[7]. Ma alcuni ritengono ciniche queste congratulazioni, dal momento che lo stesso governo non rispetta la libertà di stampa e gli «ideali» che Peskov loda.
Andrey Kolesnikov del Carnegie Moscow Center, che conosce Muratov da molto tempo, spiega che Novaja Gazeta e la radio Echo Moskvy («Eco di Mosca») con il suo direttore Aleksej Venediktov, uno dei più noti e agguerriti critici del governo, non soltanto possono continuare a esistere, ma anche a lavorare in maniera relativamente libera, perché sia Muratov sia Venediktov hanno un tale peso politico e sono così noti – almeno in Russia – che viene tutelata non soltanto la loro libertà personale, ma anche quella del giornale e della radio di cui sono responsabili. Muratov e Venediktov si sono guadagnati il rispetto anche di chi è al potere, perché sono considerati – e di fatto lo sono – molto importanti nel panorama giornalistico e politico russo. Essi infatti sono stati al centro della vita politica e giornalistica della Russia durante tutto il periodo post-sovietico e sono riusciti a sopravvivere, cosa purtroppo non scontata per la loro professione. Hanno usato – e continuano a usare – con chi è al potere un linguaggio che non si può in alcun modo ignorare. Prova del loro peso è stata la vicenda di Ivan Golunov, il giornalista investigativo arrestato e di cui poi essi sono riusciti a ottenere il rilascio. Questo è stato uno dei pochi casi in cui la società civile in Russia si è dimostrata più forte dell’apparato della polizia, al punto che i poliziotti che hanno arrestato illegalmente Golunov sono stati puniti[8].
Ci sono anche punti di contrasto tra questi due noti giornalisti e l’opposizione politica che circonda Navalny. Durante le ultime elezioni parlamentari del settembre 2021, Venediktov ha fortemente sostenuto il voto online, e così si è attirato aspre critiche da molti politici dell’opposizione. Muratov ha esplicitamente preso le sue difese, e così è entrato in contrasto con Leonid Volkov, il candidato sostenuto da Navalny. Secondo Muratov, il fatto che un’opposizione liberale sempre più ridotta attaccasse Venediktov ed Echo Moskvy sarebbe stato un suicidio e avrebbe aiutato il governo a screditare questo pressoché ultimo bastione della libertà di stampa in Russia. Lo stesso Venediktov ha parlato del premio Nobel assegnato a Muratov come di un premio pienamente meritato: «Questa è una vittoria per la libertà di stampa, ed è importante per tutto il Paese, indipendentemente da ciò che si pensa della Novaja Gazeta e di Muratov personalmente. Questa decisione non è una manifestazione di russofobia, ma una conferma che la libertà di stampa e il giornalismo libero esistono in Russia nonostante tutto»[9].
Sebbene le decisioni della Fondazione Nobel riguardo all’assegnazione del premio per la pace negli ultimi anni a volte siano state contestate, la decisione di quest’anno sembra essere equilibrata e saggia. Alcuni si chiedono perché il premio non sia stato assegnato a un politico – uomo o donna – come Navalny in Russia o Tikhanovskaya in Bielorussia. Potremmo rispondere che è stata una saggia decisione non assegnare a una figura politica un premio destinato a promuovere approcci umanistici, tanto più se si tratta di un personaggio politico giovane e piuttosto controverso. Questo è il caso di Navalny, che si è lasciato andare ad alcune dichiarazioni nazionaliste, e che in generale non è molto prevedibile.
Il premio Nobel per la pace non è destinato a promuovere i giovani politici, ma a onorare meriti. In questo senso, la Novaja Gazeta con il suo direttore è stata una buona scelta, soprattutto nel momento in cui l’anniversario dell’assassinio di Anna Politkovskaya ricordava il ruolo che questo giornale ha svolto per decenni nella lotta non soltanto per la libertà di stampa, ma anche per la difesa dei diritti umani in Russia. Il fatto che questa lotta sia stata necessaria negli ultimi anni dell’Urss, al tempo di Eltsin, e che lo sia ancora, rende l’assegnazione del premio Nobel per la pace a una personalità che ha dedicato tutta la sua vita a tale lotta una decisione che può essere importante anche per il futuro della Russia.
Non possiamo aspettarci che l’assegnazione del premio Nobel a un giornalista famoso ponga fine alla persecuzione di altri giornalisti che non sono così noti. Il governo lo ha anche dimostrato chiaramente: poco dopo che si è saputo che Muratov avrebbe ricevuto il premio, altri giornalisti in Russia sono stati dichiarati «agenti stranieri». E il direttore del giornale che, come abbiamo detto sopra, è uno dei pochi mass media indipendenti che non sono dichiarati «agenti stranieri», dopo aver ricevuto la notizia del Nobel, ha affermato: «Cercheremo di aiutare coloro che sono stati designati agenti stranieri, coloro che sono stati perseguitati e cacciati dalla Russia»[10].
Non si può dubitare che i membri della Fondazione Nobel non conoscessero tutti questi dettagli e le difficili relazioni all’interno dell’opposizione liberale. Ciò che è importante, tuttavia, è che essi hanno attirato l’attenzione del mondo su persone che, come Muratov, difendono valori quali la libertà e i diritti umani e che sono in grado di mettere i loro princìpi e valori al di sopra delle loro ambizioni e dei loro sentimenti. Questo premio vuole essere un segnale non soltanto per il governo russo, ma soprattutto per tutti i giornalisti che hanno gli stessi ideali di Muratov e incoraggiarli a unirsi per un obiettivo comune, invece di litigare per qualsiasi piccola questione.
Copyright © La Civiltà Cattolica 2021
Riproduzione riservata
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[1]. «Il premio appartiene ai colleghi che ho perso», Meduza, 8 ottobre 2021, in Meduza.
[2]. «The Nobel Peace Prize 2021. Announcement», in www.nobelprize.org/prizes/peace/2021/press-release
[3]. Биография Дмитрия Муратова: что известно о лауреате Нобелевской премии мира из России («Biografia di DmitryMuratov: che cosa si sa del vincitore del premio Nobel dalla Russia»).
[4]. «Il premio Nobel a Dimitry Muratov: che cosa dicono di lui i colleghi tedeschi», 8 ottobre 2021, in DW.
[5]. «Alles Propaganda? Russlands Medienlandschaft» («Tutta propaganda? Il panorama dei media in Russia»), Dekoder.
[6]. «Политолог объяснил провал «Яблока» на выборах в Госдуму» («Un politologo spiega il fallimento di “Yabloko” nelle elezioni per la Duma»), in RIA, 21 settembre 2021.
[7]. «Congratulazioni del Cremlino a Muratov per il premio Nobel per la pace».
[8]. «I poliziotti che hanno messo la droga addosso a Ivan Golunov hanno ricevuto condanne fino a 12 anni», BBC.
[9]. «За усилия по защите свободы выражения мнений» («Per gli sforzi nella difesa della libertà di espressione»), in Kommersant, 8 settembre 2021.
[10]. «Russia labels reporters foreign agents after Nobel award», in BBC, 8 ottobre 2021.
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THE NOBEL PEACE PRIZE 2021 TO THE FREE PRESS
The 2021 Nobel Peace Prize has been awarded to the journalists Maria Ressa from the Philippines and Dmitry Muratov from Russia. The latter is the editor of one of the few newspapers in Russia that can still express itself freely. The price for journalists who dare to do so can be very high: six employees of Dmitry’s newspaper have been killed in the last twenty years. The award should make all those in Russia who fight for freedom and human rights proud, but unfortunately, the division in the liberal opposition is so strong that even on this occasion they have not been able to reach an agreement, thus weakening their influence and voice, which would be so important for Russian society.
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