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Il 13 marzo 2023, in occasione del decennale dell’elezione di papa Francesco, «La Civiltà Cattolica» ha organizzato la presentazione del volume di p. Antonio Spadaro, «L’atlante di Francesco. Vaticano e politica internazionale» (Marsilio – Feltrinelli), alla presenza del presidente del Consiglio dei ministri, l’on. Giorgia Meloni, e del segretario di Stato della Santa Sede, il cardinale Pietro Parolin. Qui di seguito pubblichiamo il testo dell’intervento di Sua Eminenza.
Vorrei condividere con voi alcune riflessioni sul tema del volume L’atlante di Francesco. Vaticano e politica internazionale di p. Antonio Spadaro[1]. Esso è espressione del suo impegno di direttore de La Civiltà Cattolica, come anche della sua partecipazione ai viaggi apostolici del Santo Padre.
Approfitto della circostanza per salutare e ringraziare il Collegio degli Scrittori della rivista – «unica nel suo genere», l’ha definita papa Francesco – che da 173 anni, sempre fedele all’ispirazione originaria, svolge con creatività il suo servizio di cultura e riflessione sui vari aspetti del sapere.
Dieci anni fa, proprio oggi, in questa serata, il cardinale Jorge Mario Bergoglio veniva eletto Pontefice e assumeva il nome di Francesco. Affacciandosi dalla Loggia delle Benedizioni, in quei momenti che ricordiamo con emozione, egli lanciava un chiaro messaggio al mondo, messaggio che oggi comprendiamo sempre meglio: «Preghiamo per tutto il mondo, perché ci sia una grande fratellanza», disse. Il nostro essere qui è un modo per celebrare quell’evento.
Una visione spirituale e politica
All’inizio di questa mia riflessione vorrei citare un episodio accaduto a Berlino verso la fine del Secondo conflitto mondiale. Subito dopo la resa della Germania di Hitler, nella capitale tedesca ormai distrutta, un generale russo insisteva nel chiedere presso chi fosse accreditato il Nunzio apostolico, mons. Cesare Orsenigo, che si dava tanto da fare per le vittime di guerra. A Berlino non c’era più un governo, infatti. Il rappresentante francese degli Alleati rispose: «Presso Sua Maestà la miseria umana»[2]. È una risposta che ritengo mostri bene il senso della missione diplomatica della Santa Sede.
La diplomazia pontificia da una parte è ancorata a compiti ecclesiali, che la pongono a servizio della missione universale della Chiesa; dall’altra è impegnata nell’opera di garantire una convivenza mondiale ordinata, e quella pace da tutti auspicata, che è innanzitutto sinonimo ed effetto della giustizia.
Paolo VI nel suo intervento alle Nazioni Unite nel 1965 sottolineò il ruolo della Chiesa quale «esperta in umanità»[3], ed è questa esperienza che rende la diplomazia della Santa Sede una diplomazia dei valori. Francesco, nel suo recente viaggio nella Repubblica Democratica del Congo, ha evocato «una diplomazia dell’uomo per l’uomo, dei popoli per i popoli», al centro della quale «non vi siano il controllo delle aree e delle risorse, le mire di espansione e l’aumento dei profitti, ma le opportunità di crescita della gente»[4]. Nel contesto diplomatico la Santa Sede si pone come attore super partes, con un’autorità più morale che politica.
E il suo primo interesse è la vita dei popoli e delle persone, specialmente di coloro che soffrono. E questi, soprattutto quando scoppia una guerra, sono su tutti i fronti e gli schieramenti. Ricordiamo, ad esempio, che dopo l’inizio della guerra in Ucraina il Papa disse: «Chi fa la guerra dimentica l’umanità. Non parte dalla gente, non guarda alla vita concreta delle persone»[5].
Oggi alcuni analisti e commentatori ritengono che la diplomazia sia in profonda crisi. E tuttavia essi non possono e non devono ignorare le necessità di questo strumento – forse l’unico – che consente un rapporto permanente tra chi rappresenta la sorte di popoli e nazioni.
Semmai, nel tempo in cui i pezzi della «Terza guerra mondiale» vanno «saldandosi tra di loro»[6], occorre essere maggiormente consapevoli che l’attività diplomatica può essere efficace solamente quando riesce ad essere strumento di servizio alla causa dell’uomo e non semplicemente all’interesse nazionale. Questo comporta uno sforzo impegnativo ed esigente non soltanto per conoscere le situazioni, ma anche per interpretarle, comprenderne le radici prossime e remote, e fornire le soluzioni necessarie, anche quando il pessimismo domina e ogni intervento sembra quasi impossibile.
Il volume L’atlante di Francesco si concentra sulla diplomazia della Santa Sede a partire dai nostri anni e delle sfide che l’attuale Pontefice si trova ad affrontare. «Francesco si confronta con il nuovo ruolo globale del cattolicesimo nel contesto odierno. E in questo contesto la sua è e vuole essere essenzialmente una visione spirituale ed evangelica dei rapporti internazionali», scrive p. Spadaro. Il Papa, proprio di fronte alle difficoltà, affida alla diplomazia il compito di sviluppare visioni profetiche, idee originali e strategie innovative «affinché, con una maggiore audacia creativa, si ricerchino soluzioni nuove e sostenibili»[7]. La sua è un’idea di diplomazia viva, che opera non solo per superare crisi e risolvere contrasti, ma anche unendo idee divergenti, posizioni politiche contrapposte e visioni religiose distanti.
Una diplomazia della misericordia
Il volume che presentiamo articola ampiamente il valore profetico dell’azione svolta dal Romano Pontefice attraverso indirizzi dottrinali, nei viaggi apostolici, nella relazione con capi di Stato e di Governo, con le autorità pubbliche, nelle visite alle sedi di organizzazioni internazionali. La diplomazia della Santa Sede esprime questa visione nelle relazioni diplomatiche con gli Stati – oggi 183 – con tradizioni, visioni religiose e ideologiche diverse. Ma anche nelle organizzazioni intergovernative.
In tutte queste sedi internazionali, la diplomazia della Santa Sede dispiega la visione evangelica e profetica del Pontefice. Il volume ha il merito di approfondirla, eleggendo la definizione di «diplomazia della misericordia»[8]. Ricordiamo che nel gennaio 2016 – un anno per molti aspetti drammatico – Francesco, nel discorso al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, arrivò a citare la misericordia ben otto volte[9]. In quel discorso appariva chiaro il legame che egli pone tra la sua visione del mondo, la politica internazionale, la diplomazia e la misericordia.
Ricordiamo che già nella sua prima ampia intervista a La Civiltà Cattolica, nel 2013, Francesco disse che «Dio si manifesta nel tempo ed è presente nei processi della storia. Questo fa privilegiare le azioni che generano dinamiche nuove. E richiede pazienza, attesa»[10]. Dunque anche la misericordia, per Francesco, si distende nel tempo, orientando le persone verso processi di riconciliazione. La sua potenza è quella di cambiare il significato dei processi storici.
Che cosa significa la misericordia come categoria diplomatica, dunque? Risponde p. Spadaro: «In estrema sintesi, possiamo dire: non considerare mai niente e nessuno come definitivamente “perduto” nei rapporti tra nazioni, popoli e Stati»[11]. Questo, afferma l’autore, è il nucleo del suo significato. Se il cancelliere tedesco Otto von Bismarck aveva definito la politica come «arte del possibile», qui potremmo definire la diplomazia come «arte della pazienza»[12], ma anche artigianato della speranza.
Che cosa significa nel concreto? Siamo alla vigilia del 60° anniversario della Pacem in terris e vorrei richiamare un esempio ben noto, quello relativo alla mediazione di Papa san Giovanni XXIII in occasione della crisi dei missili di Cuba. Il 25 ottobre 1962 l’allora Pontefice indirizzò ai popoli del mondo e ai governanti un radiomessaggio con un appello a favore della pace nel mondo. Inoltre, san Giovanni XXIII scrisse una lettera al presidente Krŭšcëv in cui lo esortava a dimostrare con i fatti l’interesse dell’Unione Sovietica a preservare la pace. Si rivolse al presidente russo con queste parole: «Se avrete il coraggio di richiamare le navi portamissili proverete il vostro amore per il prossimo non solo per la vostra nazione, ma verso l’intera famiglia umana. Passerete alla storia come uno dei pionieri di una rivoluzione di valori basati sull’amore».
Questo esempio – uno tra tanti, ma certo oggi molto evocativo – mette in evidenza l’impegno della Santa Sede, volto a interpretare le situazioni alla luce sia dei princìpi evangelici sia delle regole internazionali. E questo non tralasciando mai gli elementi che pur minimamente possono favorire la concordia e la soluzione delle dispute. La Santa Sede con la sua azione diplomatica sarà, infatti, «sempre disponibile a collaborare con quanti si impegnano per porre fine ai conflitti in corso e a dare sostegno e speranza alle popolazioni che soffrono»[13]. Oggi Francesco lo ripete avendo presenti i vari conflitti in corso nel mondo, e lo ha ripetuto di recente a proposito del conflitto in atto nella «martoriata Ucraina». Il dialogo, anche nelle situazioni più difficili, è voluto in ragione della pace, che sembra essere la grande assente nelle attuali circostanze, a favore della voce solista – alta e tonante – delle armi.
È bene precisare qui che l’idea di pace di cui la Santa Sede è portatrice non si ferma a quella che le Nazioni esprimono nel contemporaneo diritto internazionale. Essa è infatti convinta che nessuna azione avente a cuore la pace, compresa quella esercitata dalla diplomazia, può essere ragionevole e valida se, anche tacitamente, mantiene ancora riferimenti alla guerra.
Dialogo con tutti
Occuparsi della politica internazionale di Francesco – come fa L’atlante di Francesco – «significa immergersi in una visione spirituale che si nutre di un profondo senso sia della catastrofe possibile sia delle forze del male in azione, e nello stesso tempo di una fiducia unica nel mistero di Dio che porta ad accettare i piccoli passi, i processi, l’autorità mondana, i colloqui, le trattative, i tempi lunghi, le mediazioni»[14]. E ad alcuni questi tempi e queste mediazioni possono persino apparire insostenibili.
Ma questa accettazione – è la tesi del volume che presentiamo – si fonda sulla coscienza che la soluzione dei conflitti non giunge dividendo e polarizzando il mondo rigidamente tra chi è buono e chi è cattivo, quasi fosse un film del quale si suppone il lieto fine. La scelta non è il discernimento delle forze partitiche, politiche o militari con le quali allearsi e da sostenere per far trionfare il bene. L’accettazione della conversazione diplomatica si fonda sulla certezza che non si dà a questo mondo «l’impero del bene». Proprio per questo nessuno è l’incarnazione del demonio.
Se si accetta questo presupposto, allora è possibile lasciare aperta una porta (a volte davvero stretta, ma aperta comunque) anche in situazioni politicamente problematiche. Vale, dunque, per Francesco il principio di Pio XI: «Quando si trattasse di salvare qualche anima, di impedire maggiori danni di anime, ci sentiremmo il coraggio di trattare col diavolo in persona»[15].
La Santa Sede, inoltre, opera favorendo un vero dialogo, anche quando il dialogo presuppone la presenza e l’apporto di chi è scomodo o di chi, secondo una visione tradizionale, non sembra avere la legittimità di attore in un negoziato. Infatti – bisogna averlo sempre chiaro – «l’unica soluzione realistica davanti alla minaccia di una guerra rimane ancora il negoziato»[16].
Per questo la Santa Sede dialoga con tutti.
Francesco sa che il «popolo eletto» che diventa «partito» entra in un intreccio di dimensioni religiose, istituzionali e politiche che gli fanno perdere il senso del suo servizio universale, e lo contrappongono a chi è lontano, a chi non gli appartiene, a chi è «nemico». L’essere «parte» crea il nemico: bisogna sfuggire a questa tentazione.
In questo senso – leggiamo suggestivamente nel volume – l’immagine di san Pietro assume i tratti di san Francesco. L’aureola del santo di Assisi coincide con quella del vicario di Cristo.
Ricordiamo che il Pontefice è radicalmente evangelico, ed è giunto a chiamare gli stessi terroristi con un’espressione densa di condanna e compassione insieme: «povera gente criminale». Ha usato questa espressione a Betania, durante il suo viaggio apostolico in Terra Santa nel 2014[17]. In filigrana, vediamo sempre il peccatore – in questo caso il terrorista – come il «figlio prodigo», e mai come una sorta d’incarnazione diabolica. Fino all’affermazione per cui fermare l’aggressore ingiusto è sì un diritto dell’umanità, ma è anche postulato come «un diritto dell’aggressore», cioè il diritto «di essere fermato per non fare del male». In tal modo si vede la realtà da una prospettiva duplice, che include e non esclude il nemico e il suo maggior bene. Torna in mente Dante, che nel De Monarchia collega l’auctoritas spirituale del Papa direttamente con la paternitas.
L’amore tipico del cristiano non è, in realtà, quello per il «prossimo», ma quello per il «nemico». Quando si arriva a guardare l’uomo che commette l’orrore con una qualche forma di pietas, trionfa in maniera umanamente inspiegabile – e forse anche «scandalosa» – quella che invece è proprio la forza intima del Vangelo di Cristo: l’amore per il nemico. Ecco, dunque, il trionfo della misericordia.
Un mondo fratturato
E oggi? Il volume L’atlante di Francesco fa giustamente notare come nell’enciclica Fratelli tutti il Pontefice, osservando il mondo come in un esercizio spirituale ignaziano, lo descrive sinteticamente come fratturato e frammentato: le distanze tra di noi aumentano e la marcia dura e lenta verso un mondo unito e più giusto oggi subisce una nuova e drastica battuta d’arresto[18]. Un mondo che non ha imparato nulla dalle tragedie del Novecento, senza senso della storia[19].
Sembra che ci sia un regresso: i conflitti si esasperano[20]; i nazionalismi riaffiorano[21]; la globalizzazione e l’apertura al mondo celano interessi economici e finanziari e non desiderio di fratellanza. Se poi contiamo il numero dei conflitti armati che affliggono il mondo verifichiamo che esso è il più alto dal 1945, con circa due miliardi di persone che vivono in aree di conflitto e molti milioni di persone dislocate a forza. E questo mentre il nostro mondo continua a dover affrontare le sfide del cambiamento climatico, della migrazione, dell’insicurezza alimentare e della scarsità d’acqua, problemi che riguardano larghe porzioni della popolazione mondiale. Le grandi sfide del nostro tempo sono tutte globali. Come possiamo superare questo senso di «incertezza e instabilità», del quale lo stesso Pontefice ha parlato? Da dove iniziare?
La famiglia umana e il multilateralismo
Con la Fratelli tutti il Papa ha chiaramente dato una risposta, che è ampiamente approfondita ne L’atlante di Francesco. Anzitutto e in primo luogo dobbiamo recuperare il senso della nostra comune identità di unica «famiglia umana». I Pontefici hanno amato l’espressione «famiglia delle nazioni»[22]. Esiste, infatti, un bene comune internazionale. Questo senso della nostra identità di unica «famiglia umana» è radicato nell’inalienabile dignità che abbiamo in comune.
Così si misura la vera qualità di un Paese: valutando la capacità di pensare non solo come Paese, ma anche come famiglia umana, specialmente nei periodi critici. Invece quelli che Francesco definisce i «nazionalismi chiusi» manifestano l’errata persuasione di potersi sviluppare a margine della rovina altrui e che chiudendosi agli altri saranno più protetti[23]. Chiaramente l’approccio della diplomazia della Santa Sede è in radice non nazionalistico e respira al ritmo dell’universalità.
Proprio per questo la Santa Sede crede fermamente nel multilateralismo. Invece «stiamo assistendo a un’erosione del multilateralismo, ancora più grave di fronte allo sviluppo delle nuove tecnologie delle armi; questo approccio sembra piuttosto incoerente nell’attuale contesto segnato dall’interconnessione e costituisce una situazione che richiede urgente attenzione e anche dedizione da parte di tutti i leader»[24], ha sottolineato papa Francesco in Giappone, di fronte agli effetti della guerra nucleare.
Per questo, secondo Francesco, occorre fare una riflessione sulle istituzioni internazionali. Nel XXI secolo il potere degli Stati nazionali si è indebolito, soprattutto perché la dimensione economico-finanziaria, con caratteri transnazionali, tende a predominare sulla politica. Per questo è indispensabile il ruolo di organizzazioni mondiali, dotate di autorità per assicurare il bene comune a livello globale, lo sradicamento della fame e della miseria e la difesa certa dei diritti umani fondamentali.
Pace: non obiettivo ma condizione
Lo scenario delle relazioni internazionali è in genere descritto come luogo d’incontro e di dialogo tra visioni politiche, economiche, culturali e persino religiose diverse. San Giovanni Paolo II ricusò con forza l’idea dello «scontro di civiltà» dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. E non dimentichiamo il suo gesto di riunire i leader delle religioni mondiali ad Assisi per promuovere la pace e togliere qualsiasi giustificazione all’abuso del nome di Dio per fini di violenza e di terrorismo.
Francesco ha proseguito su questa linea e ci ha offerto in questo senso un esempio luminoso il 4 febbraio 2019 quando ad Abu Dhabi, insieme ad Aḥmad al-Tayyib, il Grande Imam di al-Azhar, ha firmato uno storico documento sulla fratellanza umana. Come ricorda p. Spadaro, davanti a una situazione mondiale «dominata dall’incertezza, dalla delusione e dalla paura del futuro e controllata dagli interessi economici miopi»[25], i due leader hanno parlato non solamente in nome del Dio in cui credono, ma anche in nome di poveri, orfani, vedove, cioè di coloro la cui soggettività appare mutilata o persa[26].
Per questo le iniziative di «pace», in un mondo che vive una drammatica «Terza guerra mondiale a pezzi», – fa notare ampiamente l’autore de L’atlante di Francesco – devono essere sempre collegate ai due grandi temi sociali che preoccupano maggiormente il Papa: la pace sociale e l’inclusione dei poveri. I conflitti armati hanno in questi temi la loro radice.
Infatti, ad esempio, il discorso di Francesco al corpo diplomatico del 2016 si è concentrato sul tema della migrazione, che produce situazioni di «scarto» e di «debolezza»[27]. Il Papa ha chiesto di «stabilire progetti a medio e lungo termine che vadano oltre la risposta di emergenza. Essi dovrebbero, da un lato, aiutare effettivamente l’integrazione dei migranti nei Paesi di accoglienza e, dall’altro, favorire lo sviluppo dei Paesi di provenienza con politiche solidali, che però non sottomettano gli aiuti a strategie e pratiche ideologicamente estranee o contrarie alle culture dei popoli cui sono indirizzate»[28].
La pace non è un obiettivo da raggiungere, ma solo il primo passo, la condizione dello sviluppo e del superamento delle ingiustizie[29]. Essa per Francesco non si fonda su un semplice desiderio di ordine sociale né di facile copertura delle ingiustizie perpetrate e subite. Questa sarebbe una pseudo-giustizia. Al contrario, come ha detto in Colombia, la pace nasce dal «desiderio di risolvere le cause strutturali della povertà che generano esclusione e violenza»[30].
Ricordiamo pure che nella Fratelli tutti è durissimo il giudizio sulla politica come a volte oggi è ridotta: non più «una sana discussione su progetti a lungo termine per lo sviluppo di tutti e del bene comune, bensì solo ricette effimere di marketing»[31]. Più volte il Pontefice ha lamentato il fatto che la politica sia sottomessa all’economia, e questa al paradigma efficientista della tecnocrazia. Al contrario, è la politica che deve avere una visione ampia in modo che l’economia sia integrata in un progetto politico, sociale, culturale e popolare che tenda al bene comune[32].
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La voce del Pontefice è profetica: se gli attori del confitto non ascoltano le sue parole, essa resta «una voce che grida nel deserto». Era accaduto così nel 1917, con la famosa Nota di pace di Benedetto XV durante l’«inutile strage» della Prima guerra mondiale, ignorata dalle potenze belligeranti di allora. Gli esempi si possono moltiplicare fino all’accorata richiesta di san Giovanni Paolo II, che nel 2003 supplicò di non attaccare l’Iraq. Il volume che presentiamo ci può aiutare a comprendere meglio la voce di Francesco e il suo appello alla fratellanza della famiglia umana, che restano una testimonianza di altissimo valore.
Il lettore potrà percorrere le «mappe» offerte nella seconda parte del volume che approfondiscono alcuni quadranti dell’impegno del Pontefice: Europa, Ucraina, Cina, Amazzonia, Medio Oriente, i Paesi «mosaico» e «crocevia» che egli ama visitare nei suoi viaggi apostolici. Alla fine, si comprenderà che oggi più che mai «abbiamo bisogno di leader che, a livello internazionale, permettano ai popoli di comprendersi e dialogare, e generino un nuovo “spirito di Helsinki”, la volontà di rafforzare il multilateralismo, di costruire un mondo più stabile e pacifico pensando alle nuove generazioni»[33].
Seguire lo spirito di quella Dichiarazione significa andare nella direzione opposta a Yalta, più volte criticata esplicitamente dal Pontefice[34]. E significa affermare con forza la volontà di non arrendersi alla logica senza uscita dell’escalation militare degli «schemi di guerra», e il rifiuto di una politica basata su sfere di influenza. Serve un’altra logica, un altro schema. Francesco propone quello della fratellanza che, intesa nel suo senso più profondo, «è un modo di fare la storia»[35].
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[1]. A. Spadaro, L’atlante di Francesco. Vaticano e politica internazionale, Venezia, Marsilio–Feltrinelli, 2023.
[2]. Cfr M. M. Biffi, Mons. Cesare Orsenigo: Nunzio apostolico in Germania (1930-1946), Milano, Ned, 1997, 294.
[3]. Paolo VI, Discorso del Santo Padre alle Nazioni Unite (lunedì, 4 ottobre 1965).
[4]. Francesco, Incontro con le Autorità, con la Società Civile e con il Corpo diplomatico. Discorso presso il Giardino del Palais de la Nation (Kinshasa) Martedì, 31 gennaio 2023.
[5]. Id., Parole dopo l’Angelus del 27 febbraio 2022.
[6]. Id., Contro la guerra. Il coraggio di costruire la pace, Introduzione, Milano, Solferino, 2022, 7.
[7] . Id., Discorso ai Membri del Corpo Diplomatico accreditati presso la Santa Sede, 11 gennaio 2016.
[8] . Cfr Id., Incontro con i Rappresentanti di alcune Opere caritative. Discorso presso la Nunziatura Apostolica (Kinshasa) Mercoledì, 1° febbraio 2023.
[9] . Cfr Id., Discorso in occasione degli auguri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, Sala Regia, Lunedì, 11 gennaio 2016.
[10]. A. Spadaro, «Intervista a papa Francesco», in Civ. Catt. 2013 III 449-477, 468.
[11]. Id., L’atlante di Francesco…, cit., 48.
[12]. Discorso commemorativo tenuto da S. E. Rev.ma mons. Giovanni Battista Montini, Sostituto della Segreteria di Stato, in occasione del 250° anniversario di fondazione della Pontificia Accademia Ecclesiastica.
[13]. Francesco, Discorso in occasione degli auguri del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede. Sala Regia Lunedì, 9 gennaio 2017.
[14]. A. Spadaro, L’atlante di Francesco…, cit., 24.
[15]. Pio XI, Allocuzione ai professori e agli alunni del Collegio di Mondragone «Ecco una», 14 maggio 1929.
[16]. Giovanni Paolo II, Messaggio alla II Sessione speciale delle Nazioni Unite per il disarmo, 7 giugno 1982.
[17]. Francesco, Incontro con i rifugiati e con giovani disabili. Discorso, Chiesa latina, Bethany beyond the Jordan, Sabato, 24 maggio 2014.
[18]. Cfr Id., Fratelli tutti n. 16.
[19]. Ivi, n. 13.
[20]. Ivi, n. 25.
[21]. Ivi, n. 11.
[22]. Cfr Giovanni Paolo II, Messaggio all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la Celebrazione del 50° di Fondazione. Palazzo delle Nazioni Unite di New York, Giovedì, 5 ottobre 1995. Cfr Francesco, Messaggio ai partecipanti alla Conferenza internazionale «I diritti umani nel mondo contemporaneo: conquiste, omissioni, negazioni», Roma, 10-11 dicembre 2018.
[23]. Cfr Id., Fratelli tutti n. 141.
[24]. Francesco, Discorso sulle armi nucleari, Atomic Bomb Hypocenter Park (Nagasaki), domenica, 24 novembre 2019.
[25]. Documento sulla Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, n. 29.
[26]. A. Spadaro, L’atlante di Francesco…, cit., 229.
[27]. Francesco, Discorso in occasione degli auguri del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, Sala Regia, Lunedì, 11 gennaio 2016.
[28]. Id., Fratelli tutti n. 132.
[29]. Cfr Id., Evangelii gaudium n. 202.
[30]. Id., Incontro con le Autorità, il Corpo Diplomatico e Rappresentanti della Società Civile, Discorso, Plaza de Armas della Casa de Nariño (Bogotá) Giovedì, 7 settembre 2017.
[31]. Id., Fratelli tutti n. 15.
[32]. Ivi, n. 177 e 17.
[33]. Id., Incontro con le Autorità, con la Società civile e con il Corpo Diplomatico, Discorso al Qazaq Concert Hall (Nur-Sultan) Martedì, 13 settembre 2022.
[34]. Ad esempio cfr F. Sisci, Intervista del Santo Padre Francesco al quotidiano online Asia Times, 2 febbraio 2016.
[35]. Francesco, Fratelli tutti n. 116.