|
ABSTRACT — Il tema della riforma della Curia romana, ritornato di grande attualità con le recenti indicazioni di papa Francesco di ripensare un «aggiornamento» dell’apparato curiale, divenne centrale all’inizio della seconda sessione del Concilio Vaticano II nelle discussioni sul De Ecclesia, un lungo schema dottrinale sulla chiesa. Esso così si intrecciava con il nuovo modello di ecclesiologia di comunione fondata sul concetto di collegialità, che poco alla volta il Concilio stava mettendo a punto, per superare una concezione ecclesiologica gerarchica.
Le questione emergente, e ancora oggi attuale, era essenzialmente quella del ruolo dei vescovi nel Governo della Chiesa universale e delle forme concrete dell’esercizio del primato universale del Pontefice, incluso il ruolo e l’organizzazione della Curia.
Fu soprattutto con la discussione del I capitolo dello schema di decreto De episcopis che questo problema occupò l’attenzione dell’aula conciliare, dando luogo anche a un confronto serrato fra la «maggioranza» riformatrice e la «minoranza» conservatrice.
Alla fine il Pontefice decise secondo una prospettiva di mediazione. Il 15 settembre 1965 fu promulgato il motu proprio Apostolica sollicitudo, con il quale veniva istituito il Sinodo dei vescovi, un organismo di rappresentanza dell’episcopato universale con funzioni consultive nei confronti del Papa. E soprattutto, la riforma della Curia non fu fatta dal Concilio, ma direttamente da Paolo VI (che la considerava materia riservata al pontefice), con la Costituzione apostolica Regimini ecclesiae universae, del 15 agosto 1967. La riforma montiniana in particolare consegnava una posizione di preminenza alla Segreteria di Stato, ponendo così fine al «primato» — più de facto che de iure — fino ad allora detenuto dal Sant’Uffizio.
Successivamente questa riforma venne rivista dalla Pastor bonus di Giovanni Paolo II, tuttora in vigore, che ha puntato soprattutto sulla semplificazione della struttura e su una maggiore attenzione alla dimensione pastorale.
Nella ricca introduzione della Costituzione di Giovanni Paolo II, si ricordano il ruolo e i compiti specifici della Curia romana. Ma si dice anche chiaramente che essa è una istituzione umana e non fa parte «della costituzione essenziale, voluta da Dio, della Chiesa» (n. 7). Ciò significa che una sua eventuale riforma è un dovere morale che il Papa ha nei confronti di tutta la Chiesa, al fine di rendere l’esercizio petrino più efficace e, soprattutto, più partecipato, come avrebbe desiderato il Concilio Vaticano II.