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ABSTRACT – Negli interventi che mirano a costruire un clima di pace nel mondo, papa Francesco ha usato spesso le metafore dei muri e dei ponti, contrapposti tra loro. I muri come simbolo eloquente di divisione, di incomunicabilità, e i ponti come simbolo altrettanto chiaro di incontro tra sponde diverse, tra nazioni, religioni e popoli differenti. Le citazioni sono innumerevoli.
La ripetuta attenzione pontificia a questa immagine riflette una situazione oggettiva. Il dossier della Caritas italiana, All’ombra del muro, presenta il fenomeno negativo dell’aumento di muri e barriere tra i vari Paesi del mondo, o anche al loro interno. Secondo uno studio pubblicato nel 2016, quando venne abbattuto il Muro di Berlino esistevano 16 recinzioni in tutto il mondo. Oggi esse sono 63 e riguardano 67 Stati. Molte sono state già completate, altre sono in via di progettazione e in allestimento.
I muri di cui si è parlato di più e sui quali si è maggiormente polemizzato sono quelli costruiti per fermare il flusso dei migranti provenienti dal Medio Oriente. Naturalmente queste barriere, e la relativa sorveglianza per assicurarne l’efficacia, hanno comportato massicci investimenti, sia da parte dei singoli Stati sia utilizzando i fondi europei. La spesa per queste barriere e per la militarizzazione delle frontiere è enormemente aumentata. Nel caso dei fondi impiegati per di Frontex (l’agenzia europea per il controllo dei confini esterni), essi sono stati destinati alla costruzione dei muri e alla militarizzazione delle frontiere; quindi in primo luogo a beneficio anche di molte aziende militari, tecnologiche e di sicurezza, cioè sostanzialmente delle aziende che producono armi. Esse paradossalmente sono anche quelle che vendono armi ai Paesi africani e del Medio Oriente, alimentando così le guerre che costringono i migranti a fuggire.
Il «muro» più trafficato al mondo è quello tra il Messico e gli Stati Uniti. Si parla di molti milioni di attraversamenti legali ogni anno, ma si continuano a spendere cifre enormi per poterlo meglio costruire e sorvegliare. Dal 2005 a oggi gli Usa hanno speso 132 miliardi di dollari per rafforzarne la sicurezza.
Ogni situazione ha una storia diversa e motivazioni e gradazioni pure differenti. Ma vorremmo mettere in evidenza questa triste tendenza a costruire muri, anziché cercare di demolirli. Contemperare l’accoglienza con l’integrazione è un compito tutt’altro che facile, ma necessario specialmente per l’Italia, la cui popolazione sinora non è diminuita solo grazie all’arrivo dei migranti stranieri. La costruzione di muri e barriere, sia sul terreno sia sul mare, non può essere l’unica risposta, soprattutto tenendo conto dell’esperienza storica dei Paesi oggi sviluppati, e dell’Europa in particolare.
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THE NUMBER OF WALLS BETWEEN PEOPLES ARE INCREASING
The text, which takes as its starting point a dossier produced by the Italian Caritas, presents the tendency of the increase in the number of walls and barriers between various Countries throughout the world, or even within them. To illustrate this increase: in 1989 there were 15 repressive or defensive walls, today there are currently more than 60 barriers, and others are under construction. These are situations which have also become eloquent symbols of division, while bridges would be their counterpoint, and which instead should be built to facilitate the meeting of people and their collaboration with each other.