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La diffusa visione secondo cui l’imprenditoria sarebbe guidata in primo luogo dal profitto è dannosa e inesatta. È dannosa, in quanto distorce la politica pubblica a vantaggio di chi ha come unica preoccupazione quella di fare soldi. È anche inesatta, perché il motivo principale che anima qualsiasi imprenditore degno di questo nome è quello di raggiungere un risultato che abbia un valore umano. Il profitto resta pur sempre una misura essenziale del successo per qualsiasi attività commerciale, ma, quando ne diventa l’obiettivo prioritario, è più che probabile che quell’iniziativa miri a sfruttare sia i clienti sia i dipendenti. La connessione tra imprenditorialità e valore umano è più che un nobile ideale: evidenzia il valore del fare impresa nella società umana. Nessuna società trae beneficio da coloro che hanno come unica preoccupazione il guadagno. All’imprenditore, invece, spetta un ruolo insostituibile nella promozione del bene comune.
Questo articolo intende mostrare che le proposte dell’enciclica di papa Francesco Laudato si’ (LS) possono aiutare a cambiare la concezione che il mondo del business ha di sé, passando dall’attuale modello orientato al profitto a uno che, con la giusta supervisione politica, possa porsi al servizio dei bisogni dell’umanità e, in particolare, possa promuovere la cura della nostra casa comune. Nel determinare questo cambiamento la politica pubblica ricopre un ruolo chiave, perché, quando chi è incaricato di determinarla considera il profitto come fine a se stesso, viene meno al proprio ruolo di supervisione, ossia a un controllo assolutamente essenziale affinché gli imprenditori responsabili non siano posti in una situazione di grave svantaggio e il bene comune non risulti compromesso.
Il ruolo primario delle imprese è quello di fornire beni e servizi. Esse inoltre sono le principali fornitrici di occupazione. Attraverso questi due ruoli, esse plasmano la vita quotidiana nelle sue linee essenziali. I leader nel mondo degli affari hanno un’influenza che va ben oltre la loro funzione economica, e il modo in cui considerano ciò che fanno ha una profonda influenza sul resto della società. Questo spiega perché, negli ultimi decenni, ciò che i leader aziendali hanno detto sui loro princìpi ispiratori riguardo al profitto abbia avuto un effetto così dannoso.
Una nobile vocazione
L’immagine degli affari, così come viene tratteggiata nella Laudato si’, a prima vista si fa leggere come una litania di condanne: inquinamento, sperpero delle risorse idriche, rilascio di rifiuti tossici, crisi occupazionali e degrado sociale (cfr LS 20; 46; 51). Il mondo digitale, nella sua forma attuale, distrugge le relazioni umane (cfr LS 47). Ma, nonostante tutto ciò, papa Francesco parla dell’attività imprenditoriale anche come di «una nobile vocazione orientata a produrre ricchezza e a migliorare il mondo per tutti» (LS 129).
Quando il Papa parla di «vocazione» o «chiamata», fa riferimento a una motivazione che ci spinge oltre l’interesse personale. Ce ne danno un esempio classico un buon insegnante o un infermiere che hanno cura della qualità del loro lavoro. Persone simili conquistano la nostra ammirazione. Non ci capita spesso di mettere in relazione quei nobili atteggiamenti con il mondo degli affari, ma la Laudato si’ ci invita a considerarne la possibilità.
Valorizzare la Terra
Lo scopo delle attività commerciali è valorizzare le risorse della Terra per accrescere la prosperità. Questo è più evidente in attività economiche fondamentali, come l’agricoltura, l’allevamento, la pesca e l’estrazione mineraria, ma in ultima analisi tutte le industrie e i servizi dipendono da queste quattro attività più antiche. Poiché nel corso dei secoli non sono mancati casi di territori depredati e di intere civiltà che di conseguenza sono andate in sfacelo, conviene pensare al commercio in termini di «valorizzazione» piuttosto che di «sfruttamento».
Sfruttare un animale fino in fondo non ha senso. Valorizzarlo, invece, significa sviluppare con un altro essere vivente una relazione che va al di là della mera dimensione funzionale. Quando si ha a che fare con la vita, viene chiamata in causa una relazione di cura, che coinvolge la dimensione del cuore non meno di quella dell’interesse personale. In un’impresa stabile, radicata in un luogo e in una rete di relazioni umane, questo senso di attaccamento e preoccupazione ha un ruolo reale e prezioso da svolgere. Forse un’organizzazione aziendale che ne sia priva può risultare redditizia, ma è improbabile che fornisca risultati di valore duraturo. I decisori politici devono essere consapevoli di questo elemento di radicamento nelle attività commerciali sostenibili.
Rischio e intuizione
Valorizzare e radicare, tuttavia, costituiscono solo una faccia della medaglia. Nell’altra scorgiamo che l’iniziativa imprenditoriale, in quanto riguarda l’avvio di nuovi progetti, comporta sempre dei rischi. E ciò a sua volta richiede un elemento intuitivo, in base al quale chi si assume il rischio nutre un rispetto essenziale per l’aspetto non razionale – o spirituale – dell’esperienza umana. Infatti egli si trova immancabilmente a considerarsi parte di una realtà su cui non ha alcun controllo, ma con cui può instaurare una «sintonia».
In questo contesto, è significativa la critica che papa Francesco rivolge alla «rapidizzazione». Egli parla di un rallentamento che deve avvenire nel contesto di quel «riposo contemplativo» senza il quale l’attività umana non ha senso (cfr LS 237)[1]. Il profittatore si preoccupa di fare quanti più soldi può il prima possibile. L’imprenditore, invece, si muove in quel territorio dove in ultima analisi si fa guidare da quell’intuizione secondo la quale otterrà i suoi scopi soltanto se si metterà in sintonia con una realtà più ampia.
Una soddisfazione più profonda
Il successo negli affari porterà sempre profitto, ma arrecherà anche una soddisfazione più profonda, che non si trova nei bilanci. Quando un albergatore guarda i conti della sua attività alla fine dell’anno, può darsi che sia contento, ma potrebbe esserlo di più per il fatto che i suoi dipendenti siano sicuri nel loro lavoro. Un promotore immobiliare può trarre soddisfazione da certe scelte di investimento, ma potrebbe trarne di più quando vede che un edificio, che fino a pochi anni fa non esisteva, offre nuove opportunità di incontro e di lavoro.
Questa esperienza umana rispecchia un altro valore che papa Francesco ha compendiato nel titolo stesso della Laudato si’. La capacità di dire «è cosa buona!» riguardo a uno specifico successo è estranea a chi si preoccupa soltanto di fare soldi, ma costituisce una seconda natura per quegli imprenditori che vedono realizzarsi i loro progetti.
Senso degli affari
Questo atteggiamento di lode, nel contesto degli affari, non va a scapito dei risultati pratici. Se quel senso di soddisfazione da cui scaturiscono gli elogi non si accompagna a organizzazioni ben gestite, non può sopravvivere. Una buona gestione richiede un’attenzione concreta al comportamento e alle motivazioni umane. Allo stesso modo dell’atto di investire, richiede un elemento di intuizione che nessuna logica e calcolo possono sostituire. Anche questa esperienza del rapporto con la natura umana costituisce un ulteriore motivo per spiegare l’influenza delle imprese sui decisori politici. Per sopravvivere nel loro ruolo, i leader aziendali devono sviluppare un’acuta percezione di come il comportamento umano interagisce con l’economia e la società. Questo «senso degli affari» non può essere banalmente ignorato, ma può anche venire distorto o andare smarrito, dal momento che il successo ottenuto quando si generano attività commerciali può portare all’adulazione e alla perdita della prospettiva critica.
Chi vuole restare ben radicato in questa prospettiva deve mantenersi in sintonia con i cambiamenti che sempre avvengono nella società umana. Nella transizione verso un’economia verde avranno molto da offrire le intuizioni che provengono dal mondo delle imprese, opportunamente focalizzate sulla sfida che ci attende. Una caratteristica delle buone iniziative commerciali è la volontà di affrontare i complessi problemi che rimandano al lato più oscuro e incerto della natura umana. Chi vuole raggiungere un qualsiasi risultato significativo deve sempre confrontarsi con una dimensione di irrazionalità insita nel comportamento umano. I governanti possono tenere a freno tale irrazionalità mediante la punizione dei crimini. Le imprese, d’altra parte, sono chiamate a trovare modi non coercitivi per aggirare la sfida dell’irrazionalità.
Affari come profitto
Ma storicamente l’impresa tende a guardare a se stessa nell’ottica del profitto. Poiché questa concezione resta dominante, coloro che la sostengono sono in qualche modo avvantaggiati. In primo luogo, i loro atteggiamenti di fondo li rendono più inclini a parlare in termini di «sfruttamento» o di «vantaggio» e a sminuire o ignorare qualsiasi discorso di valorizzazione e di cura. Siccome questa posizione riflette un convincimento molto condiviso, automaticamente concede loro un’influenza sia sui responsabili politici sia sull’opinione pubblica. In secondo luogo, essi non vedono la necessità di alterare schemi di pensiero che hanno modellato relazioni consolidate da tempo con i funzionari pubblici, che guardano a loro come a benefattori della società e li trattano quindi con la corrispondente deferenza.
A ciò si aggiunga l’enorme numero di persone che per la loro sussistenza dipendono dalle industrie tradizionali ad alta intensità di carbonio, e allora capiremo quale sia la natura della lotta insita nello sfidare una visione delle imprese commerciali che sostanzialmente si basa sull’assioma «facciamo soldi e avrete tutti un lavoro». Implicita in questa affermazione ce n’è un’altra: «Non ascoltate nessuno tranne noi». Quel «noi» comprende coloro che fanno soldi e che, quindi, sanno tutto del mondo reale.
Chiunque metta in discussione la loro visione delle cose viene tacciato di essere inaffidabile, non perché sia disonesto, ma perché ha perso il contatto con la realtà. Al contrario, poiché essi sanno come fare soldi, si presentano come se sapessero tutto ciò che c’è da conoscere. L’economista canadese John Kenneth Galbraith si era ben reso conto della natura illusoria di tali atteggiamenti quando parlava di «quanto sia diffusa nella gente l’impressione che l’intelligenza […] vada di pari passo con il possesso del denaro»[2]. L’influenza della ricchezza deriva non solo da ciò che essa è in grado di fare, ma anche dal modo in cui impone l’ossequio e mina la facoltà critica.
Un elemento di «pathos»
I cambiamenti che stanno avvenendo nella società mondiale sono presentati dalla Laudato si’ come una serie di sfide – sociali, spirituali, educative, politiche, economiche ed etiche –, ma vengono anche inseriti nel contesto di una narrazione nuova. Papa Francesco si riferisce a «sora nostra matre terra», che «protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei» (LS 2). Cita il suo predecessore Benedetto XVI: «I deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, perché i deserti interiori sono diventati così ampi»[3]. Parla di un movimento crescente, che trae la propria forza principalmente dalla condivisione dei sentimenti che lo animano. Egli stesso dà una delle migliori spiegazioni di questa lievitante influenza: «L’autentica umanità […] sembra abitare in mezzo alla civiltà tecnologica, quasi impercettibilmente, come la nebbia che filtra sotto una porta chiusa» (LS 112).
In questi sentimenti è contenuto un elemento di pathos, volto a fare appello alla generosità degli ascoltatori, e quindi a risvegliarne la solidarietà e la responsabilità. Il richiamo alla dimensione di pathos è una componente chiave della leadership politica, sebbene pochi leader politici oggi sembrino esserne consapevoli. Essa trova posto anche nel mondo degli affari, tra coloro che vogliono coinvolgere altri nella percezione di un impegno per un progetto che ha potenzialità commerciali proprio perché rispecchia valori umani.
Investire nella tecnologia verde
Questo elemento di pathos è strettamente legato a quell’elemento di immaginazione intuitiva che sostiene la decisione di investire. Ne sono un esempio le cifre attualmente investite nella tecnologia verde. Certamente coloro che sono impegnati in questa area di investimento, che è in rapida crescita, stanno perseguendo i vantaggi finanziari delle loro iniziative, ma stanno anche correndo dei rischi. Non basta dire che «il futuro è nelle energie rinnovabili». Chi investe in quel futuro deve decidere in anticipo quale forma particolare esso assumerà, quali risorse e processi saranno più efficaci, e quali programmi di ricerca saranno necessari. Nelle pieghe di simili decisioni ci sono molte incognite, che rendono il rischio inevitabile. L’opzione finale di un investitore può essere definita solo in termini di speranza, di cui il pathos costituisce una nota forte e accattivante.
Ma chi investe nella tecnologia verde corre anche un altro rischio. Il fatto stesso di immaginare un futuro senza industrie ad alta intensità di carbonio costituisce una sfida lanciata a interessi consolidati e diffusi, e non solo a coloro che oggi realizzano i profitti. Quando le persone si trovano davanti alla prospettiva che l’industria dove lavorano potrebbe cessare di esistere, non devono confrontarsi soltanto con la prospettiva di perdere il lavoro, ma anche con quella di vedersi rimpiazzare il loro intero mondo. Nessuno può contemplare uno scenario del genere senza paura, e le persone paurose sono passibili di manipolazione. Se si vuole scongiurare questo rischio, bisogna comprendere quanto potere una situazione come questa conferisca a chi controlla le aziende.
Transizione, ma non solo
Investire in tecnologia verde significa guardare a un futuro in cui l’odierna competizione nel mondo del business si risolverà a favore di chi guarda principalmente al valore umano piuttosto che al profitto. Iniziative come il Green Deal europeo e analoghi passi avanti compiuti negli Stati Uniti e nella Cina puntano in quella direzione, ma da ciò non consegue che il progresso verso la sostenibilità sia inevitabile. L’attenzione che il Green Deal ripone nel «tutelare i cittadini e i lavoratori più vulnerabili di fronte alla transizione»[4] s’incentra su questa lotta per conquistare i cuori e le menti di coloro che maggiormente sono esposti a un senso di smarrimento e tradimento quando sentono parlare di transizione.
L’istituzione del meccanismo di transizione giusta[5] è significativa, ma di per sé non è sufficiente. Non basta, infatti, se il messaggio di fondo è quello di un disastro imminente, a porre rimedio all’ansia di quanti si trovano di fronte alla realtà sconvolgente della transizione. È difficile sopravvalutare la percezione di sentirsi intrappolati che può nascere in coloro che vedono la loro cultura del lavoro minacciata di estinzione. Servono un senso di speranza e una chiamata alla generosità, ma anche l’utilizzo di simili parole in tale contesto può apparire un atto di derisione.
La sfida del dialogo
È bene che quanti di noi desiderano utilizzare simili parole siano invitati a prestare attenzione alle riflessioni di papa Francesco sulla «rapidizzazione». Si tratta di una situazione che invita all’accettazione dei nostri limiti. Richiede un silenzio rispettoso e umile, unito a una vigilanza su possibili aperture al dialogo. È soprattutto grazie agli incontri e ai momenti imprevedibili che verrà superata la profonda frattura che si sta aprendo. L’attenzione data nella Laudato si’ alla spiritualità e alla necessità della conversione personale non equivale affatto a rinunciare alla sfida più ampia. Al contrario, per affrontare quest’ultima in modo davvero efficace, dovremo fare appello alle nostre motivazioni più profonde.
Se la spiritualità non coltiva uno spirito generoso, diventa un esercizio di narcisismo. Nel contesto della transizione verso un’economia e una società verdi, uno degli obiettivi più evidenti per uno spirito animato dalla generosità è la prossima generazione. Chiedere ai genitori come i loro figli plasmeranno il loro futuro, e su quali aiuti potranno contare nel farlo, rappresenta una sfida che nessuno può ignorare a cuor leggero.
Tutti compresi
In definitiva, bisogna trovare un modo per superare la divisione e il sospetto, e l’accento che la Laudato si’ pone sul dialogo ci indica la direzione giusta. Nel capitolo quinto, intitolato «Alcune linee di orientamento e di azione» (LS 163-201), la parola «dialogo» viene usata in relazione alla comunità internazionale, al governo nazionale e locale, alla politica e all’economia, alla trasparenza nei processi decisionali e ai rapporti tra religioni e scienza. Papa Francesco non fa un esplicito riferimento al dialogo con il mondo delle imprese, ma non c’è dubbio che il suo invito sia a un’apertura totale. Egli parla di «un confronto che ci unisca tutti» (LS 14). In definitiva, il dialogo riguarda la speranza, e l’attuale alternativa tra aggrapparci a ciò che ci è familiare in un mondo in cui questo sta svanendo e affrontare un futuro del tutto sconcertante e sconosciuto offre poche speranze.
Coloro che investono nelle tecnologie alternative sono in posizione di vantaggio nell’affrontare tale sfida. In primo luogo, essi hanno dichiarato la loro speranza in un futuro alternativo non soltanto a parole, ma nell’atto stesso di investire. In secondo luogo, il loro investimento in forme di tecnologia innovative può offrire opportunità di inedite forme di occupazione. Questa sfida rappresenterà un nuovo campo di azione sia per gli investitori sia per i loro dipendenti e potrebbe offrire una cornice di dialogo nell’interesse di entrambe le parti. Inoltre, l’attenzione pragmatica al comportamento umano, che è una caratteristica della buona imprenditoria, rende gli investitori in tecnologia verde capaci di offrire un contributo ponderato al dialogo che sarà necessario con quanti vengono resi vulnerabili dalla transizione.
Una crescente preoccupazione per la Terra
Il dialogo è, in definitiva, un incontro di storie, e la fiducia che si costruisce tramite un dialogo fecondo non deriva tanto da ciò che viene detto, quanto da come gli interlocutori che vi prendono parte percepiscono le rispettive azioni. Le loro parole sono coerenti con le loro azioni? E, cosa forse ancora più importante, essi sono in grado di accogliere le critiche e di modificare di conseguenza il loro comportamento? Nel capitolo sesto – «Educazione e spiritualità ecologica» (LS 202-246) – papa Francesco insiste molto sul modo in cui la spiritualità modella l’azione. Lo collega strettamente alla morale, evidenziando come il fallimento nell’esercizio di una certa virtù possa avere in definitiva una ripercussione sull’ambiente (cfr LS 224). Sottolinea che il mutare dello stile di vita personale può esercitare pressioni sui responsabili politici. La contemplazione impedisce all’azione umana di diventare preda di un vuoto attivismo e porta a una rinnovata sensibilità per i diritti degli altri (cfr LS 237).
Un numero crescente di leader aziendali in tutto il mondo concorda sul fatto che il profitto reso fine a se stesso, senza alcun riguardo per l’ambiente e senza alcuna preoccupazione per il sostentamento degli altri, è distruttivo. Molti sono sempre più inclini a scorgere il senso del prendersi cura delle risorse della Terra e di assumersene la responsabilità. Questo impegno per la cura della Terra viene accolto sempre più come parte integrante di quel rapporto di fiducia con i clienti su cui si basa ogni attività commerciale. Questa relazione apporta i suoi vantaggi – finanziari, e non soltanto –, ma coloro che sono giustamente orgogliosi di tale risultato devono affrontare una sfida ulteriore. Tanto più che questa crescente preoccupazione per la Terra non è supportata adeguatamente.
Un compito più complesso
Il Green Deal europeo ha sicuramente spostato l’attenzione nella giusta direzione, ma quanto più i suoi ambiziosi obiettivi politici si avvicinano all’attuazione, tanto più diventeranno un campo di battaglia tra due visioni inconciliabili di cosa sia «fare impresa». Ci sarà una lotta in cui entrambe le parti avranno grandi possibilità di prevalere, e il campo di battaglia principale non sarà il servizio pubblico o la politica o la scienza, ma il mondo degli affari. Coloro che si oppongono al cambiamento lo faranno in nome dei buoni affari. Metteranno in evidenza il lavoro che forniscono. Andranno alla ricerca di eventuali gruppi vulnerabili che vengono trascurati nel processo di transizione e si ergeranno a loro difensori. Cercheranno di minare la credibilità di qualsiasi ricerca che metta in discussione i loro interessi. D’altra parte, la loro ossessione per questi interessi manterrà anche la loro visione del mondo semplice e facile da difendere.
Coloro che cercano il cambiamento avranno un compito più complicato, perché la crisi che devono affrontare è multiforme. Avranno a che fare con una struttura complessa di incentivi, spesso nascosti, per il profitto a breve termine. Dovranno persuadere gli amministratori pubblici dei danni causati da molte politiche ben consolidate. Gli effetti dannosi di tali politiche sono sempre più riconosciuti, ma pochi leader politici sono inclini a raccogliere una sfida che non era stata affrontata prima, se non in un contesto di guerra. Una cosa è parlare di ambizione e di obiettivi a lungo termine, un’altra è tradurli in cambiamenti sia nella politica sia nel sentimento pubblico.
Un punto semplice e chiaro
Janez Potočnik, nella prefazione a Business and the Earth [6], dipinge un quadro fosco. Quasi un milione di specie è a rischio di estinzione. Il 75% degli ecosistemi terrestri è significativamente alterato. Il 29% dei terreni è degradato a livello globale, il che mette a rischio oltre tre miliardi di persone. L’inquinamento atmosferico provoca ogni anno tra i sei e i sette milioni di morti premature[7]. Questi gravi rischi sono causati dal «consumo dispendioso, inefficiente e ineguale delle risorse naturali»[8].
Questa prefazione è essa stessa un esercizio di dialogo, da parte di una figura rilevante nella lotta per un mondo sostenibile (Potočnik è co-presidente dell’International Resource Panel del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente), con le intuizioni della dottrina sociale cattolica. Riprende un tema sviluppato nel volume, riguardante i «buoni affari» nello sfruttamento delle risorse della Terra: «Non si valorizza un animale senza prendersene cura, rispettando i limiti delle sue capacità e assicurandosi che sia nutrito e riposato adeguatamente. […] Nel caso della terra, così come avviene con un animale da soma, se la sfruttiamo, la distruggiamo. E se distruggiamo la terra, distruggiamo noi stessi»[9].
La prefazione parla del libro ponendo «un punto semplice e chiaro: quando il mondo delle imprese dialoga con l’intera ampiezza dell’esperienza umana, ha un ruolo insostituibile da svolgere per la prosperità umana, e quando non riesce a farlo, diventa una forza al servizio della distruzione»[10].
Aver cura dei pionieri
Sono necessarie due forme complementari di dialogo. In primo luogo, l’intero mondo delle imprese sta rispondendo, con livelli di entusiasmo molto diversi, alla sfida della transizione. Si passa da un modello più tradizionale a uno in cui l’attenzione all’ambiente è considerata parte integrante di una buona impresa, così come l’evitare le pratiche scorrette. Ciò richiederà un processo di riflessione che potrebbe trarre vantaggio dal dialogo con una prospettiva esterna al mondo degli affari, come la dottrina sociale cattolica. Questo dialogo dovrebbe avvenire con l’intero mondo imprenditoriale.
In secondo luogo, all’interno del mondo delle imprese ci sono imprenditori che stanno avviando il cambiamento e non si limitano a rispondervi. Rientrano in questa categoria i leader aziendali che si sono riuniti al Parlamento europeo il 25 settembre 2019 per partecipare a una conversazione che ha portato alla stesura del libro Business and the Earth. Non li accomuna un interesse evidente, come quello che deriva dall’appartenenza a un determinato settore. Il gruppo che si è riunito al Parlamento europeo aveva interessi molto diversi – dall’alluminio ai cosmetici, dall’abbigliamento all’industria mineraria, dai giocattoli al cibo, ai prodotti chimici –, ma era chiaro che aveva un interesse comune a sfidare le politiche attuali dal punto di vista della sostenibilità. Qui la Chiesa potrebbe avere un ruolo da svolgere nell’invitare questi pionieri del business sostenibile a riunirsi per esprimere una visione del loro ruolo capace di sostituire i modelli di pensiero che per troppo tempo hanno accecato, nei confronti dei valori umani, sia il mondo degli affari sia la società in generale.
Un’immensa influenza
Nella sua postfazione al libro, il card. Jean-Claude Hollerich sottolinea che nessuna forma di saggezza umana deve essere ignorata nella nostra risposta alla crisi ecologica. I leader aziendali dovranno «esprimere una concezione della cultura umana di cui essi stessi fanno parte»[11]. La realtà imprenditoriale ha una sua cultura specifica, ma pur sempre connessa alla più ampia realtà umana. «Il mondo degli affari sarà sempre potente, i leader aziendali avranno sempre un’enorme influenza attraverso il modo in cui si esprimono e la loro comprensione di ciò che fanno»[12].
Questi sentimenti saranno considerati irrilevanti da coloro per i quali gli affari riguardano principalmente il guadagno, ma verranno accolti da quanti vedono il profitto come una misura di fattibilità all’interno del compito generale di utilizzare le risorse della Terra in modo responsabile e sostenibile.
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[1]. Cfr E. Grace, Business and the Earth: A reflection on Laudato si’, Bruxelles, Jesuit European Social Centre, 14 s. (www.uniapac.org).
[2]. J. K. Galbraith, A Short History of Financial Euphoria, London, Penguin, 1994, 106 (in it. Breve storia dell’euforia finanziaria, Milano, Rizzoli, 2000).
[3]. Benedetto XVI, Omelia per il solenne inizio del ministero petrino, 24 aprile 2005, citata in LS 217.
[4]. Commissione europea, Il «Green Deal» europeo, Bruxelles, 11 dicembre 2019, 18.
[5]. Cfr ivi.
[6]. Cfr E. Grace, Business and the Earth…, cit., 5.
[7]. Cfr ivi.
[8]. Ivi, 6.
[9] . Ivi.
[10]. Ivi, 7.
[11]. Ivi, 59.
[12]. Ivi.
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ENTREPRENEURSHIP AND PLANET EARTH
This article shows how the proposals in Pope Francis’ encyclical Laudato si’ can help change the business world’s conception of itself, turning away from the current profit-driven model to another that, with the right political oversight, can serve the needs of humanity and, in particular, can promote the care of our common home. Pioneers in the field of business wish to engage in dialogue with the wider culture and articulate a vision that promotes a new understanding of the relationship between business and society. The Church can play a valuable role in this process.