
Sotto le volte della cattedrale la folla pregava in ginocchio. Brémond pensò: «Quanti sono quelli che pregano realmente? Se fossi padrone della mia vita, vorrei che fosse interamente dedicata alla ricerca di una risposta a questa domanda». Poi si chinò profondamente e disse a fior di labbra: Signore fammi trovare una definizione della preghiera che mi permetta di estendere senza limiti il numero di coloro che pregano realmente.
Passava i giorni e le notti curvo sulle sue carte. Benché fosse di natura alquanto pigra, Brémond non amava il lavoro di terza mano. I pesanti in-folio, l’inchiostro mal rappreso sulle pagine porose, tormentavano la sua vista. Per questo motivo aveva dovuto rinunciare a Erasmo.
Nella sua giovinezza aveva scelto, come tesi di dottorato, gli scrittori spirituali del XVII secolo, tesi di letteratura pura e di lessicologia. Ma ben presto, fissando la sua curiosità sulle cose della vita interiore, e non più sulle parole, sentì crescere in sé l’ambizione di scrivere una Storia universale della preghiera cristiana. In seguito, fatto più saggio, o meno dissennato, dall’età, si persuase che una sola parte di questo immenso argomento sarebbe bastata ad assorbire quel tanto di energia che ancora gli restava.
«Ve ne prego – gli aveva scritto il reverendo padre Leonzio de Grandmaison –, dateci un libro che possa stare tra le mani di tutti i credenti. Sarà più utile e più nuovo della logora diatriba sulla predestinazione e sul libero arbitrio».
Già i primi sei volumi della sua Storia letteraria del sentimento religioso in Francia erano allineati con ordine nello scaffale. Il dibattito sulla «poesia pura» e la discussione sull’ascetismo lo avevano distolto per brevi momenti dalla compilazione di quest’opera monumentale, paragonabile a una cattedrale, «la basilica del dottorato di san Francesco di Sales». Dai solidi basamenti si elevavano le navate a volta gotica. L’edificio era incompleto, mancava la torre.
Sentiva che il momento era giunto di dare all’opera l’atteso coronamento. L’autorità acquisita con le precedenti pubblicazioni gli permetteva di tentare un colpo più audace.
Malgrado i consigli dell’amico Blondel che gli raccomandava prudenza, credette di dover uscire, finalmente, allo scoperto. Nei precedenti volumi aveva cercato di mascherare le proprie idee, limitandosi a parlare con la voce dei diversi antagonisti che popolavano i suoi scritti (Newman e Manning, Fénelon e Bossuet, Bérulle e i gesuiti). «Mi si vedrà passare successivamente attraverso tante metamorfosi, che si finirà col credermi settario», aveva detto un giorno in vena di confidenze.
Mise dunque in
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