a cura di V. FANTUZZI
Un film parlato (Portogallo, 2003). Regista: MANOEL DE OLIVEIRA. Interpreti principali: L. Silveira, C. Deneuve, J. Malkovich, S. Sandrelli, I. Papas, L. M. Cintra, F. De Almeida.
Una madre, Rosa Maria (Leonor Silveira), e una figlia, Maria Joana (Felipa de Almeida), bambina di 8 anni, partono da Lisbona per raggiungere il rispettivo marito e padre, pilota civile, a Bombay. Invece di salire su un aereo di linea, che le porterebbe in breve tempo dal Portogallo in India, scelgono una nave da crociera che fa scalo a Marsiglia, Napoli, Atene, Istanbul, Il Cairo, Aden… Rosa Maria insegna Storia all’Università. Il viaggio per tappe le consente di vedere con i propri occhi i luoghi di cui parla agli alunni nelle sue lezioni. Maria Joana, bambina dalla mente sveglia e dalla lingua sciolta, ha in serbo una miniera di domande da rivolgere alla madre, la quale risponderà a lungo nel corso di questo «film parlato».
Manoel De Oliveira, maestro instancabile del cinema portoghese, alla verde età di 96 anni, dopo aver presentato allo scorso festival di Venezia Un film parlato, si è affrettato a mettere in cantiere una nuova pellicola dal titolo provvisorio Il quinto impero, ieri come oggi, tratta da una pièce del drammaturgo portoghese José Régio, che rievoca la storia leggendaria di Sebastiano re del Portogallo (1544-78), misteriosamente scomparso nel corso di una rovinosa guerra in Africa, una delle tante storie narrate da Rosa Maria a Maria Joana, mentre la nave sfiora le coste del Marocco nei pressi di Ceuta. Il regista non cessa di stupire gli spettatori che lo seguono fedelmente di film in film, pronti a lasciarsi coinvolgere in sottili giochi della mente, ai quali le immagini cinematografiche offrono orizzonti sconfinati.
Rosa Maria parla, Maria Joana ascolta. La figlia domanda, la madre risponde. Gli scavi di Pompei con il profilo del Vesuvio sullo sfondo, l’Acropoli di Atene, Santa Sofia di Costantinopoli, le piramidi d’Egitto. Sullo schermo e nella colonna sonora del film passano i capisaldi di un passato remoto: l’origine della civiltà occidentale e i punti nodali del suo plurimillenario percorso. Mentre la madre racconta storie, la figlia impara a conoscere nuove parole. «Narra la leggenda…». «Che cos’è una leggenda?». «La civiltà…». «Che cos’è la civiltà?». Oppure: «Perché gli uomini sono così cattivi?». «È la loro natura». «Che cos’è la natura?».
Sul ponte della nave tre sirene (incarnazione moderna di quelle che, secondo il racconto di Rosa Maria a Maria Joana, incantarono i compagni di Ulisse), ma sarebbe forse più giusto indicarle come fate o streghe, osservano il capitano (John Malkovich), un americano di origine polacca, mentre fa la corte alla giovane professoressa portoghese. Sono tre star: una manager francese (Catherine Deneuve), un’ex-modella italiana (Stefania San-drelli), un’attrice e cantante greca (Irene Papas). Le avevamo viste in eleganti abiti (rispettivamente rosso, nero e blu) a cena con il comandante (in impeccabile divisa bianca).
La conversazione a quattro si era svolta dispiegando un impasto multilinguistico che consentiva alle tre interpreti e al comandante di esprimersi ciascuno nella propria lingua materna. Gli interventi si susseguivano con parole squisite, giri di frasi raffinati, eleganza di tono nel conferire un tocco di leggerezza perfino agli argomenti meno gradevoli. La Papas era stata perfetta nel deplorare che la lingua greca oggi sia parlata soltanto in Grecia mentre un tempo era la lingua comune di tutti i popoli civili, e la Grecia stessa era considerata centro irradiatore di civiltà. Dalle lontane premesse, che parevano assicurare all’umanità un futuro coronato da una serie di successi ininterrotti, qualcosa nel corso dei secoli deve essersi inceppato.
Qualche errore, nascosto negli insondabili grovigli della storia, deve essere stato compiuto, anche se non è facile stabilire dove, quando e da chi. Forse nella lontana antichità quando i romani, conquistando la Grecia, hanno inaridito la fonte della sua creatività. Forse ancora prima, in Egitto, quando i faraoni costringevano i popoli vinti a trascinare le pietre per costruire le piramidi. Oppure, più tardi, quando gli arabi hanno distrutto la famosa biblioteca di Alessandria con un gesto che è considerato da alcuni come l’atto di nascita del fondamentalismo. O quando, ancora più tardi, Napoleone (che Miguel Luis Cintra evoca nella scena ambientata ai piedi della sfinge) ha preteso di esportare in Medio Oriente, con la forza del suo esercito, i princìpi della Rivoluzione francese.
Oggi l’Occidente è malato. Lo dimostrano, con la loro eleganza estenuata ed estenuante, i quattro interlocutori: l’uomo e le tre donne, che funzionano come meccanismi perfetti, ma improduttivi. Sono senza figli. Intorno c’è un mondo che pullula di bambini laceri e malnutriti, che reclama diritti che non ha mai avuto: primo fra tutti il diritto a esistere. Nell’ultima scena del film il comandante invita la Papas a cantare nel ristorante della nave. Il suo canto, dolce e malinconico, è l’inno funebre per un mondo che muore. Due bombe a orologeria sono state collocate nella stiva durante l’ultimo scalo. I passeggeri sono invitati a prender posto sulle scialuppe di salvataggio. Maria Joana ha dimenticato nella cabina la sua bambola. Rosa Maria si attarda per raggiungere la figlia. Le scialuppe sono state calate in mare. «Saltate!» grida il capitano prima di veder esplodere la nave con a bordo la madre e la bambina.