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Cultura e società

PICCOLI LADRI

Virgilio Fantuzzi

4 Dicembre 2004

Quaderno 3707

a cura di V. FANTUZZI

Piccoli ladri (Iran, 2004). Regista: MARZIYEH MESHKINI. Interpreti principali: G. Gothi, Zahed, A. Rezaii, S. Akhbari.

Qualche mese fa, parlando di un film girato da un regista afghano per le strade polverose di Kabul, Osama di Siddiq Barmak (cfr Civ. Catt. 2004 II 390), tiravamo in ballo i nostri Rossellini e De Sica dell’immediato dopoguerra quando, essendo inagibile Cinecittà come ogni altro teatro di posa, avevano trasformato le strade di Roma in set cinematografico ricavandone capolavori della portata di Roma città aperta (1945) e Ladri di biciclette (1948). A Kabul accade la stessa cosa — dicevamo —. Oggi come ieri il buon cinema nasce tra le macerie di una guerra rovinosa. Non siamo i soli a pensarla in questa maniera. Lo dimostra Piccoli ladri, film girato a Kabul dalla regista iraniana Marziyeh Meshkini, dove si vedono due bambini, fratello e sorella, entrare in una miserabile sala cinematografica per imparare, su suggerimento di un coetaneo più esperto di loro, come si fa a rubare. «È un film d’arte. Non ci va nessuno a vederlo. Fate attenzione che, se non vi piace, non restituisco i soldi», avverte il bambino bigliettaio prima di staccare i biglietti. I due piccoli spettatori assistono alla proiezione di Ladri di biciclette, le cui immagini in bianco e nero si alternano con quelle relative alla loro vita disagiata e infelice.

Moglie del regista Mohsen Makhmalbaf, autore de Il silenzio (cfr Civ. Catt. 1999 I 529 s) e di Viaggio a Kandahar (cfr ivi 2001 IV 383-396), la Meshkini dice di essersi ispirata nel suo lavoro più a Zavattini che a De Sica. La teoria del «pedinamento», formulata da Zavattini, trova un terreno di applicazione ideale nell’Afghanistan odierno, che ha alle spalle 25 anni di guerra. «Basta seguire un bambino per strada e osservare quello che fa dalla mattina alla sera — dice la regista —. Negli ultimi due decenni, sono morte in Afghanistan due milioni di persone a causa delle guerre, della fame e della povertà: circa il 10% della popolazione. Sono molti i bambini orfani o abbandonati che vivono in istituti o per strada. I loro padri si sono combattuti per anni senza misericordia. Adesso i piccoli vivono gli uni accanto agli altri, e la loro convivenza è come un monito dal quale gli adulti dovrebbero sentirsi spronati a deporre antichi rancori per collaborare di comune accordo alla ricostruzione del Paese distrutto».

Il film si apre con una banda di «bambini cattivi» che, armati di torce accese, insegue un elegante barboncino (accompagnatore abituale della regista, qui trasformato in attore provetto) minacciando di bruciarlo vivo. «È un russo! — gridano —. No. È un americano! È un lurido inglese!». Ripropongono così, alla loro maniera, il terribile gioco che hanno appreso dai grandi. La piccola Gol Gothi, sporca, cenciosa e bellissima, salva la povera bestia che le si affeziona e, d’ora in avanti, non l’abbandonerà più. Gol, 7 anni, ha un fratellino di 9 anni, Zahed. I due, come centinaia di loro coetanei, trascorrono l’intera giornata nella discarica, dove cercano di recuperare qualche pezzo di legno da ardere, che rivendono per procurarsi un po’ di pane. La bambina tiene il pane sui vapori della carne alla brace, che non può comprare, per invogliare il cagnolino schifiltoso a mangiarlo. Di notte i due bambini si rifugiano nella prigione dove è rinchiusa la loro madre, accusata di adulterio, per poter dormire al coperto. Il direttore del carcere riceve nuove disposizioni che non prevedono più lo status di «prigioniero di notte». Il secondino, che prima li faceva entrare, non è disposto a chiudere un occhio. Disperati e senza tetto, i due cercano di sopravvivere alla fame e al freddo.

Il loro papà, un talebano, è rinchiuso in un’altra prigione. Ai due piccoli tocca fare la spola da un carcere a un altro per supplicare il padre di perdonare la madre, la quale, dopo cinque anni di assenza del marito, partito per la guerra, non avendo notizie di lui e credendolo morto, si è risposata. Ora, se il marito non la perdona, sarà condannata alla lapidazione. I due bambini tentano invano di impietosire il padre, che è irremovibile nel suo proposito di vendetta. Per i piccoli l’ostinazione dei grandi che non accettano di mettere una pietra sul passato è un male incomprensibile alla pari di altri mali come la fame e il freddo, che li attanagliano e minacciano di farli morire. Pure, in mezzo a tante difficoltà, non si scoraggiano e non desistono un solo istante dalla lotta che è loro imposta dalla legge della sopravvivenza. Cuore del film è una sequenza, ripresa con tecnica da documentario, che illustra un combattimento cruento tra cani feroci. Uomini baffuti trovano nel sadismo esercitato sugli animali uno sfogo alla loro aggressività repressa. La visione del film di De Sica, sopra ricordato, spingerà i due fratellini verso la catastrofe finale. Dal film apprendono come rubare una bicicletta. Sperano in questo modo di essere rinchiusi in carcere e potersi così ricongiungere con la madre. Il furto sortisce l’effetto. Zahed, colto in flagrante, è arrestato e imprigionato, salvo accorgersi, con estremo rammarico, che il carcere dove è condotto non è quello dove è rinchiusa la madre. Gol finisce raminga per le strade di Kabul, sola e con un barboncino a carico.

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PICCOLI LADRI

Virgilio Fantuzzi

Già scrittore de "La Civiltà Cattolica" (1937 - 2019).


4 Dicembre 2004

Quaderno 3707

  • pag. 523
  • Anno 2004
  • Volume IV

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