a cura di V. FANTUZZI
Oliver Twist (Francia – Gran Bretagna, 2005). Regista: ROMAN POLANSKI. Interpreti principali: B. Kingsley, B. Clark, J. Foreman, M. Strong, L. Rowe, H. Eden, E. Hardwicke, F. Cuka.
«Prego, signore, potrei averne ancora?», la supplica, rivolta dall’orfanello affamato che tende la ciotola vuota al corpulento custode dell’ospizio di mendicità, ha intenerito i cuori dei primi lettori de Le avventure di Oliver Twist, romanzo pubblicato a puntate da Charles Dickens a partire dal 1837 e ne ha assicurato la fortuna. La stessa supplica risuona nella colonna sonora del film a colori che Polanski ha ricavato dal romanzo con ineccepibile lavoro di messinscena, come risuonava in quella del film in bianco e nero realizzato nel 1948 da David Lean sullo stesso argomento. Il piccolo Oliver è stato sorteggiato tra i compagni come portaparola di una sommessa protesta. La razione di cibo è talmente scarsa che gli ospiti dell’istituto non arrivano a saziare la fame. Le immagini fanno risaltare, con efficace gioco di montaggio, il contrasto tra la sbobba destinata ai poveri ricoverati e il banchetto ipercalorico servito al comitato parrocchiale che gestisce l’ospizio.
Riproposta ai nostri giorni, questa situazione di palese disuguaglianza, unita alle immagini da lager con le quali Polanski descrive i «lavori forzati» compiuti dai bambini e dalle bambine che, a ranghi serrati, sfilacciano frammenti di cordame logorato e ne ricavano stoppa nuovamente utilizzabile «per la gloria della patria», richiama alla mente lo sfruttamento del lavoro infantile, piaga che affligge anche la società globalizzata dei nostri giorni. Polanski, il quale ha trascorso l’infanzia tra i bambini nomadi che affollavano le strade della Polonia in tempo di guerra (i suoi genitori erano stati deportati come ebrei a Mauthausen e ad Auschwitz), non intende tuttavia proporre un film a tesi.
Dopo aver sperimentato i rigori dell’assistenza pubblica e di quella privata (ceduto a un impresario di pompe funebri, è utilizzato come comparsa muta e dolente nei funerali dei bambini), Oliver abbandona la cittadina di provincia, dove ha trascorso i primi anni della sua vita grama, e fugge a Londra. Lungo la strada incontra un contadino repellente come il miserabile tugurio in cui abita, che lo caccia via in malo modo, e una vecchietta ospitale che, al contrario, lo accoglie e lo rifocilla in una linda casetta ai margini del bosco, circondata da un giardino fiorito. Rappresentazioni schematiche della generosità e della grettezza, della gentilezza e della brutalità, esempi tipici del «bene» e del «male» che il piccolo fuggitivo è destinato a incontrare sul suo cammino.
Giunto a Londra, Oliver si trova immerso (ed è questa la parte più spettacolare del film) nell’ambiente miserabile dei bassifondi, con strade luride come cloache, percorse da topi, straccioni che camminano a piedi nudi, traffico ingombrante di carrozze e altri veicoli, risse che scoppiano all’improvviso nella totale baraonda che vede, reciprocamente mescolati, benestanti e accattoni, commercianti e ladruncoli, meretrici e ruffiani. Il dedalo delle catapecchie, sulle quali incombe la cupola della cattedrale di San Paolo, è stato ricostruito con verosimiglianza negli studi cinematografici di Praga. La pioggia che cade ininterrotta, i toni cupi della fotografia, le luci che ravvivano con fiochi bagliori le ombre della notte conferiscono alle scene un’atmosfera da incubo. È il mondo di Fagin, il vecchio ebreo interpretato da Ben Kingsley, che schiavizza ragazzini abbandonati trasformandoli in piccoli furfanti.
Al mondo di Fagin si oppone quello di Mr. Brownlow «vecchio gentiluomo di buon cuore», che raccoglie Oliver dalla strada e lo sottrae alla triste sorte che lo perseguita. Polanski semplifica la trama del romanzo evitando di fare di Oliver il rampollo di una famiglia nobile, che dopo inenarrabili traversie recupera il titolo e l’eredità contesi da un fratellastro invidioso. Dickens ha scritto il romanzo con l’intento di dimostrare che la fondamentale natura dell’uomo non degenera anche se è costretto a passare attraverso le più truci esperienze. Pur condividendo le condizioni di vita con una banda di ladri, Oliver non perde il primitivo candore. Nel ribadire questo concetto, Polanski dosa con abilità gli ingredienti quando descrive le figure dei malviventi.
Solo e affamato per le vie della capitale, Oliver è soccorso da un ladruncolo (Artful Dodger), che ruba il cibo per dargli da mangiare. Ferito, è curato con una ricetta ancestrale da Fagin, il quale non manca di attenzioni quasi paterne nei suoi confronti. Quando è in pericolo di vita, viene salvato da una prostituta di buon cuore (Nancy), che muore al posto suo. Se inappellabile è la condanna emessa nei confronti di Sykes (ladro e assassino, malvagio come il suo cane, il quale però è meno stupido di lui), ancora più perentorio è il giudizio nei confronti degli ipocriti e di coloro che, occupando posti di responsabilità, invece di prodigarsi per alleviare i disagi altrui, li aggravano con un comportamento irresponsabile e scriteriato.