a cura di V. FANTUZZI
Michael Clayton (USA, 2007). Regista: TONY GILROY. Interpreti principali: G. Clooney, T. Wilkinson, T. Swinton, S. Pollack.
Mezzo avvocato e mezzo poliziotto, senza essere di fatto né l’uno né l’altro, Michael Clayton (George Clooney) lavora per uno studio legale che si occupa di pulire gli affari sporchi e inquinare quelli puliti: far sparire le tracce di reati compiuti da clienti che pagano lauti compensi, scoprire o fabbricare prove a carico dei loro avversari. Autore del film è Tony Gilroy, sceneggiatore di successo, qui alla prima prova come regista. Clayton è l’equivalente di quello che in un film degli anni Trenta sarebbe stato un investigatore privato assoldato da esponenti della buona società. Ma nel 2007 al posto delle cause di divorzio e dei furti di gioielli, che appassionavano gli spettatori di un tempo, ci sono le losche imprese concepite dietro le porte in mogano delle sale dove si riuniscono i dirigenti di società che ostentano una facciata impeccabile.
Lo studio per il quale Clayton lavora è incaricato di difendere un’industria che agisce nel settore agroalimentare e deve sostenere una causa intentata dai familiari di contadini morti a causa di un pesticida, distribuito in grandi quantità, che aveva effetti letali su coloro che lo ingerivano. L’avvocato Arthur Edens (Tom Wilkinson), compagno di lavoro e amico di Clayton, mentre prepara la difesa della U/North — è questo il nome della società incriminata — si imbatte in un documento dal quale risulta che i responsabili dell’impresa, pur essendo a conoscenza degli effetti tossici del prodotto, hanno deciso di metterlo ugualmente in circolazione, perché si sono resi conto che i denari che avrebbero dovuto sborsare per tacitare i parenti delle vittime erano meno di quelli che avrebbero perso qualora avessero evitato di smerciarlo.
Arthur soffre di crisi depressive. Quando si accorge che sta per diventare complice di una banda di criminali senza scrupoli, tralascia di prendere gli psicofarmaci, dei quali fa largo uso, e compie una serie di azioni stravaganti giungendo fino a spogliarsi nudo nel corso di una riunione ripresa da telecamere. La sua funzione, come quella di Clayton, è quella di «addetti alle pulizie». Nel delirio che invade la sua mente, espresso della voce fuoricampo all’inizio del film, ha l’impressione di essere diventato un pezzo di materia nauseabonda espulso da un organismo vivente. Il capo dello studio legale (Sydney Pollack) incarica Clayton di intervenire per limitare i danni che Arthur sta provocando con il suo comportamento sconsiderato.
Quando i responsabili della U/North si accorgono che Arthur, oltre a collaborare con loro, sta per mettersi in contatto con i familiari delle vittime, ai quali vuol far conoscere il documento compromettente in suo possesso, decidono di passare al contrattacco. La direttrice giuridica della società (Tilda Swinton) assolda killer che eliminano Arthur mettendo in scena un finto suicidio nel bagno dell’appartamento dove abita. Clayton non è per niente persuaso che Arthur si sia tolto la vita. Indaga per conto proprio e mette a sua volta le mani sul documento che attesta la responsabilità della U/North nella morte dei contadini. Adesso è lui a trovarsi nel mirino dei killer. Sfugge per un soffio a un attentato dinamitardo. Prima che la pellicola si concluda, Clayton ha un sussulto di orgoglio. La sua coscienza, a lungo intorpidita, si ridesta. Decide di prendere il toro per le corna e, come in ogni film americano che si rispetti, i colpevoli vengono smascherati e puniti.
Michael Clayton non è tanto un film di denuncia contro le malefatte delle multinazionali dell’agricoltura che avvelenano il pianeta con i loro micidiali prodotti chimici, quanto un atto di accusa nei confronti del diffuso degrado morale che trasforma i gangli delle società di cui facciamo parte in una sorta di rete fognaria intasata. Nei film di denuncia degli anni Settanta arrivava sempre un eroe senza macchia che in extremis risolveva i problemi e salvava la situazione. Oggi non è più così. Gli «addetti alle pulizie» sono inquinati non meno di quanto lo siano gli ambienti nei quali sono chiamati a intervenire. Non ci sono più eroi oppure, se ci sono, hanno l’aria stanca e sfiduciata che accompagna Clooney, sempre con la barba di due giorni e il nodo della cravatta allentato, mentre si muove come un fantasma tra altri fantasmi in una New York invernale e notturna, tra pareti metalliche illuminate da sinistri bagliori, dove il male ha l’aspetto apparentemente normale di una Swinton che sarebbe perfetta nel ruolo di una insospettabile vicina di casa.