a cura di V. FANTUZZI
Johan Padan a la descoverta de le Americhe (Italia, 2002). Regista: GIULIO CINGOLI. Cartone animato dal testo teatrale di Dario Fo.
Agli inizi del Cinquecento, il giovane bergamasco Johan Padan fugge da un campo di addestramento militare di lanzichenecchi. Johan è tenero e simpatico, ma anche egoista, furbo e pronto a tutto pur di sopravvivere. Dopo una serie di avventure fantastiche e di magici incontri, si ritrova in Spagna da dove s’imbarca su una nave diretta verso il Nuovo Mondo. Giunto in Florida, il ragazzo conquista la fiducia degli indigeni. Insegna agli indios come ribellarsi alla violenza dei soldati spagnoli e impara da loro a diventare un uomo migliore e finalmente libero.
Ci è capitato di vedere il cartone animato che Giulio Cingoli ha ricavato dal monologo di Dario Fo Johan Padan a la descoverta de le Americhe in una proiezione pomeridiana, nel «Cinema dei piccoli» a villa Borghese, tra bambini muti e immobili, con gli occhi sgranati sulle immagini che piovevano dallo schermo come una cascata di coriandoli, e mamme capitate lì per caso, intente sulle prime a intrecciare tra loro conversazioni su argomenti futili, progressivamente conquistate dal contenuto tutt’altro che banale della pellicola.
Il protagonista del film assomiglia a Dario Fo: stesso nasone, stessi dentoni, stesso modo di muoversi dondolando sulle ginocchia e allargando i gomiti… La sua voce appartiene a due doppiatori: da giovane ha la voce di Rosario Fiorello, da vecchio quella di Fo. Le immagini del film ridondano di citazioni colte, che provengono dalla grande pittura veneta e toscana, ma anche dall’arte sudamericana.
La vicenda inizia in una valle prealpina dove nasce il personaggio, che ha rapporti di parentela con Arlecchino, la maschera intramontabile della commedia dell’arte. Co-stretto a difendersi fin da piccolo dalle angherie dei prepotenti, Johan lascia le valli bergamasche e, per sopravvivere, si trasferisce in città. Conosce Venezia, che dispiega davanti ai suoi occhi trasognati il fascino delle sue feste, nelle quali Oriente e Occidente profondono tesori in reciproca gara. Cibo troppo raffinato per il palato di Johan, estraneo a quel mondo, che si perde in scorribande notturne tra calli e campielli, dove incontra una zingarella che la sa lunga e dalla quale apprende qualche segreto che si rivelerà utile nel seguito avventuroso della sua vita.
Pur essendo innamorato della zingara, Johan non esita ad abbandonarla al suo destino quando viene arrestata per stregoneria. Si imbarca per Siviglia, dove entra in contatto con un nuovo aspetto dell’Europa, protesa verso la conquista e lo sfruttamento del continente appena scoperto da Cristoforo Colombo. Ingaggiato come mozzo su una nave che fa vela per l’America, Johan sbarca in Florida, dove entra in contatto con i selvaggi del luogo (indiani della tribù Seminole). Superata la fase della diffidenza iniziale (i Seminole sono antropofagi e Johan, assieme a un suo corpulento compagno di viaggio, rischia di finire in una grande pentola), ecco che tra gli indigeni, minacciati dalla violenza dei conquistatori, e il sopravvissuto a tante disavventure si istaura un rapporto reciproco di solidarietà e fiducia.
L’europeo reietto scopre così i piaceri dello «stato selvaggio». Non è insensibile nei confronti dell’alone di magia che scaturisce dalla mentalità dei primitivi, ma allo stesso tempo ha modo di riscoprire i valori del mondo contadino dal quale proviene. Insegna agli indigeni cose che per lui sono normalissime (domare un cavallo o usare la polvere da sparo). Di particolare interesse è la scena nella quale Johan si serve della superficie liscia di una roccia e di un pezzo di carbone come se fossero una lavagna e un gesso per impartire agli indigeni una lezione di dottrina cristiana. La creazione, il peccato dei progenitori con le sue conseguenze e la Redenzione sono concetti che, anche se in maniera sommaria, trovano un’espressione efficace nelle parole del catechista improvvisato e nell’incisività del segno grafico tracciato con il carbone.
Una favola a lieto fine, dunque, anche se il tessuto del racconto, intrecciato a suo tempo da Fo, lascia trasparire osservazioni sulle debolezze degli uomini e sulla meschinità degli interessi dai quali in molti casi si lasciano dominare. Non mancano riferimenti a situazioni attuali: la disparità nella distribuzione delle risorse del pianeta, la necessità di stabilire un rapporto fecondo tra culture diverse… Una parabola valida per grandi e piccini, abitatori di un mondo nel quale chi ha la forza tende sempre a prevaricare, mentre chi non ce l’ha è costretto a ricorrere all’astuzia per non soccombere.