a cura di V. FANTUZZI
Inside Man (USA, 2005). Regista: SPIKE LEE. Interpreti principali: D. Washington, C. Owen, J. Foster, W. Dafoe, C. Ejiofor, C. Plummer.
«Questa è una rapina!». L’azione, calcolata al millimetro, non consente smagliature. In pieno giorno, nel cuore di Manhattan, presunti imbianchini si introducono in una banca di Wall Street. Dentro le borse hanno fucili mitragliatori. Calano sui volti i passamontagna. «Tutti a terra!». Per clienti e impiegati ha inizio la trafila che è già stata vista in altri film: Quel pomeriggio di un giorno da cani, 1975, di Sidney Lumet insegna. C’è naturalmente una variante nella quale consiste l’originalità di questo prodotto di genere: un film commerciale che si inserisce come eccezione nella serie dei film di un regista impegnato, come Spike Lee, nell’affrontare problemi sociali a sfondo razziale.
Il capo della banda che assalta la banca nel film ha un’idea geniale che consiste nel far spogliare tutti gli ostaggi (una trentina di persone appartenenti a età, razze e condizioni diverse) e nel costringerli a indossare tute rigorosamente uguali: le stesse che indossano gli assalitori. In questo modo la polizia, accorsa sul posto, non riesce a distinguere tra banditi, ostaggi e «basisti». L’espediente riesce, e lo spettatore ne è presto informato, poiché all’azione del film si mescolano anticipazioni degli interrogatori con i quali i poliziotti, dopo aver compiuto una grande retata, cercano invano di separare il grano dal loglio.
La trovata, a pensarci bene, è di natura cinematografica: si basa su un trucco che inganna la vista togliendo al pubblico, non meno che ai poliziotti, la possibilità di farsi con sufficiente rapidità un’idea chiara di ciò che sta accadendo. Non è questo il solo inganno ordito dalla «mente» che ha ideato e sta portando avanti quello che, sotto ogni punto di vista, risulta un colpo perfetto. Gioco di intelligenza, che vede impegnato un personaggio enigmatico (interpretato dall’attore Clive Owen), il quale appare sullo schermo prima dei titoli di testa per dire, rivolto alla platea: «Fate attenzione a quello che dico e a quello che mi vedrete fare. Dietro ogni mio gesto e ogni mia parola si cela infatti un’intenzione che non coincide con la prima impressione che può passarvi per la mente».
Una rapina? Alla fine dell’azione verremo a sapere che nessuna delle banconote, accumulate nel caveau della banca, è stata toccata. La progressiva uccisione degli ostaggi, minacciata nel caso che non vengano forniti ai banditi i mezzi necessari per fuggire con il bottino? Una finta. L’esecuzione plateale, compiuta per far sapere alle forze dell’ordine che le cose stanno prendendo una piega tragica, è compiuta con armi caricate a salve e con schizzi di vernice rossa per simulare la fuoriuscita del sangue. Anche i fucili mitragliatori, visti all’inizio, risulteranno alla fine armi giocattolo. Ma che razza di scherzo è mai questo? Il colpo grosso si conclude senza conseguenze di rilievo, almeno in apparenza. Per le autorità inquirenti è semplicemente un caso da archiviare.
La verità va cercata, come diceva Owen, al di là delle apparenze. Alla mente che guida i banditi si contrappone quella del poliziotto di colore (Denzel Washington) incaricato di condurre le trattative per la liberazione degli ostaggi. La partita è tra loro due. Si tratta, come è ovvio, di una partita truccata, piena di mosse false e di trabocchetti. Chi dei due riuscirà a spuntarla? Nel frattempo, c’è un’altra partita che si svolge a livelli più alti. Vedi un po’ come può essere complicato un thriller quando c’è di mezzo il tocco di un maestro del cinema.
Il padrone della banca (Christopher Plummer) ha qualche scheletro nell’armadio: all’epoca dell’olocausto ha speculato sui beni sottratti dai nazisti agli ebrei. Per impadronirsi della documentazione relativa a quelle malefatte, vecchie di mezzo secolo, Owen, probabile agente dell’intelligence israeliana, ha organizzato la messinscena della rapina. Plummer, per proteggere la sua onorabilità, messa in pericolo dall’iniziativa di Owen, si rivolge a un avvocato con i tacchi a spillo (Jodie Foster), che ha il compito di togliere dai guai chiunque sia disposto a pagare cifre da capogiro per rifarsi una verginità perduta.
Con la complicità del sindaco di New York, la Foster passa sopra la testa del poliziotto e giunge a stabilire un contatto, sia pure indiretto, tra Owen e Plummer. Superate le schermaglie, che li costringeva a essere temporaneamente rivali per via dei ruoli reciprocamente contrapposti, l’ebreo Owen e l’afro-americano Washington non tardano a trovarsi d’accordo nello smascherare i tre Wasp (White Anglo-Saxon Protestants), detentori di un potere basato sul sopruso e sulla corruzione: l’avvocato, il sindaco e il padrone della banca.