a cura di V. FANTUZZI
Cars (USA, 2006). Regista: JOHN LASSETER. Film di animazione.
Il cinema di animazione, avvalendosi di tecnologie sempre più evolute, gareggia con il cinema di personaggi in carne e ossa nel conferire parvenza di realtà a un mondo scaturito dalla mente di chi lo inventa. Allo stesso tempo il cinema che si ispira direttamente alla realtà approfitta della manipolazione digitale delle immagini per imboccare con sempre maggiore frequenza la strada della fantasia più sfrenata. Le automobili antropomorfiche del film Cars di John Lasseter nascono dal computer, capace di elaborare e far muovere immagini a tre dimensioni, ma tra le possibilità offerte dalla tecnica, inimmaginabili fino a qualche decennio fa, e la realizzazione concreta del film c’è di mezzo l’apporto di una creatività geniale, in assenza della quale le immagini proiettate sullo schermo non avrebbero nessuna possibilità di attirare l’attenzione dello spettatore invitandolo a varcare la soglia di un mondo di sogni.
Per rendere «umane» le automobili del film, Lasseter ne ha arrotondato le forme e ha conferito loro movenze più da giocattolo che da vettura in dimensioni reali. Ha aggiunto sopracciglia e pupille dietro il parabrezza e una bocca nella parte bassa della testata. Ha inoltre modificato le sospensioni per consentire alle ruote di muoversi con realtiva autonomia.
Lightning (Saetta) McQueen, fiammante automobile da corsa in viaggio attraverso gli Stati Uniti per raggiungere la costa occidentale, dove deve disputare una gara per la conquista della Piston Cup, esce dall’autostrada e si avvia per una strada secondaria, la «mitica» Route 66, un tempo arteria vitale del sistema viario americano, ma ora tagliata fuori dalle grandi comunicazioni. Giunge nella città fantasma di Radiator Springs, abitata da automobili di vari generi, che la inducono a scoprire altri valori rispetto a quelli della competizione sfrenata e del successo da conseguire a ogni costo. Con Sally, giovane e graziosa Porsche 911, trova l’amore. Il giudice di pace, una Hudson Hornet del 1951, nasconde un passato di grande campione ed è pertanto in grado di impartire al giovane ed esuberante McQueen una lezione di sano e disincantato realismo. Con Mater, vecchio carro attrezzi arruginito, apprende la lealtà di un’amicizia spontanea.
Disegnatore precoce, ammiratore fin dall’infanzia (come accade a tanti) dei trucchi che sono alla base del cinema fantastico, ma (a differenza dei più) desideroso di impadronirsi dei procedimenti tecnici sui quali quei trucchi si basano, Lasseter ha frequentato i corsi di animazione istituiti da Disney presso il California Institute of the Arts. È stato assunto come tecnico dalla società Disney e ha collaborato alla realizzazione di Tron (1982), il primo film di animazione che inserisce nel contesto dei cartoni animati tradizionali alcune sequenze realizzate interamente con il computer. Successivamente ha fondato lo studio Pixar, specializzato in film di animazione realizzati con mezzi informatici, oggi consociato con la Disney.
Nel passare dalla matita e dal pennello alla tecnica informatica Lasseter non ha mai rinnegato i princìpi che reggono l’animazione tradizionale. Alla base di un film di animazione destinato al successo c’è, prima di tutto, la sceneggiatura, che è oggetto di interventi successivi, dovuti a collaboratori capaci di interagire gli uni con il lavoro degli altri. I personaggi devono essere dotati di caratteristiche che li rendano facilmente riconoscibili, tanto più quando si tratta di oggetti animati, ai quali è necessario conferire non soltanto fisionomie ben definite, ma emozioni, desideri, sentimenti e pulsioni che si traducono in movimenti e atteggiamenti dotati di dimensioni plastiche immediatamente percepibili.
In questo modo la computergrafica non si limita a tradurre in immagini il risultato di trovate più o meno estrose, ma entra in sintonia con le esigenze che derivano dall’elaborazione di un tutto coerente, animato dal soffio della poesia. Lo scopo di un simile lavoro non consiste nella ri-produzione fotograficamente perfetta di un mondo immaginario, che d’altra parte sarebbe impossibile ottenere, ma nell’offrire allo spettatore qualcosa che, pur essendo frutto dell’immaginazione, è chiaramente riconoscibile come un insieme di segni capaci di suggerire un’idea della realtà passata al vaglio della tecnologia più avanzata e tuttavia non disgiunta da quell’amore per le cose umili che spinge Lasseter a dar vita a vecchi giocattoli in Toy Story (1999) e a vecchie automobili in Cars.