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Era Natale e c’era la pandemia…
Natale 2021. In un mondo ancora immerso nella pandemia e circa un anno e mezzo dopo la preghiera di papa Francesco in piazza San Pietro (silenziosa e mistica), su un razzo Ariane 5 dell’Esa (European Space Agency), partito dalla Guyana Francese, il James Webb Space Telescope (Jwst) spicca il volo per raggiungere un punto nello spazio a 1,5 milioni di km dalla Terra. Per guardare lontano, molto lontano. La data – molto simbolica – è dettata più da motivi tecnici che da valori religiosi. Una coincidenza che però non toglie nulla a una certa poetica dell’evento; «non nuoce al mistero svelarne una piccola parte»[1], scrive Richard Feynman. E tutto è andato perfettamente.
Il Jwst è il telescopio spaziale[2] più potente mai realizzato dall’uomo, progettato principalmente per condurre l’«astronomia osservativa a infrarossi», ossia per raccogliere i segnali di bassissima energia, consentendoci così di indagare le epoche più remote dell’Universo visibile. Iniziato nel 1996, il programma ha richiesto più di 20 anni di lavoro per essere completato e un’intensa collaborazione tra Nasa (National Aeronautics and Space Administration), Esa (European Space Agency) e Csa (Canadian Space Agency). La data iniziale del lancio, prevista nel 2007, è stata posticipata di ben 14 anni, portando alcuni a dubitare perfino che il viaggio si sarebbe compiuto. Una delle maggiori preoccupazioni risiedeva nel fatto che, una volta inviato il telescopio nello spazio, anche il più piccolo intervento su di esso sarebbe stato impossibile a causa della sua distanza dalla Terra. Tutto il sistema, per complesso e intricato che fosse, doveva essere letteralmente perfetto. E il costo del programma si aggirava intorno ai 10 miliardi di dollari: una cifra certamente consistente, ma che corrisponde a meno dell’1% delle spese militari annuali di Usa, Eu e Canada[3], i principali gestori del programma.
Il Webb Telescope si trova, metaforicamente, sulle spalle di un altro gigante scientifico, il telescopio spaziale Hubble, e diventerà il prossimo esperimento di punta della Nasa. Il suo scopo scientifico è quello di osservare segnali molto più deboli, e quindi più distanti, nello spazio e nel tempo, di quelli che possono essere raggiunti da Hubble. Il sogno degli scienziati è che il Jwst possa svelare la storia dell’Universo dal «Big Bang» alla formazione dei numerosissimi pianeti extrasolari (o esopianeti) che sono stati osservati, e molto altro. Un programma scientifico ambizioso, rilevante e assai delicato.
Il satellite ha impiegato 30 giorni per percorrere quasi 1,5 milioni di chilometri e giungere al «secondo punto di Lagrange» (L2)[4]. L2 è una regione di equilibrio gravitazionale posizionata tra la Terra e il Sole: posizione che permetterà di orbitare intorno al Sole in sincronia con la Terra. Il sistema è dotato di uno scudo solare a forma di aquilone – a cinque strati, ciascuno dei quali sottile come un capello umano –, che lo protegge dai raggi solari, dal calore che proviene dalla Terra e perfino dal calore della pallida e gelida luce riflessa della Luna. In questo modo la strumentazione può essere mantenuta a una temperatura al di sotto dei 50 Kelvin (K), ossia a 223°C sotto lo zero, cruciali per permettere l’osservazione dei debolissimi segnali infrarossi.
Ma perché è così importante scrutare l’infrarosso per conoscere l’Universo? Dobbiamo raccontare un po’ di vicende.
Un giocatore di basket e un monsignore
La storia inizia molto prima del Natale 2021. Soprattutto due grandi uomini hanno sfidato le visioni del mondo dominanti nella loro epoca, accompagnando ambiziosi progetti umani e tecnologici, che hanno spinto i limiti della conoscenza umana ben al di là, verso l’ignoto. Si tratta forse del «folle volo» dell’Ulisse dantesco[5], o del coraggioso desiderio che proviene dalla natura umana, chiamata a essere virtuosa e divina[6]?
Il primo di questi uomini è Edwin Powell Hubble (20 novembre 1889 – 28 settembre 1953). È stato un astronomo statunitense che ha avuto un ruolo fondamentale nella cosmologia osservazionale, al punto che, come visto sopra, la Nasa gli ha dedicato il primo telescopio spaziale della storia. Hubble è stato grande anche di costituzione fisica: le sue prodezze atletiche erano più evidenti delle sue capacità intellettuali, e nel 1907 portò la squadra di pallacanestro dell’Università di Chicago a vincere il titolo accademico. Edwin fu grande anche rispetto al senso del dovere: in seguito a una promessa fatta al padre malato, nonostante il suo enorme interesse per l’astronomia, concentrò i suoi studi universitari in legge, lettere, giurisprudenza e spagnolo. Riuscì, però, più o meno nascostamente, a seguire anche corsi di matematica e di fisica. Alla morte del padre, nel 1913 divenne insegnante di spagnolo, ma anche di fisica e matematica; e allenò la squadra di basket degli studenti. L’anno successivo entrò nella scuola di specializzazione di astronomia all’Osservatorio Yerkes, dove nel 1917 conseguì il dottorato. Si trasferì successivamente all’Osservatorio di Monte Wilson, dove rimase fino alla morte.
Quando Hubble si recò all’Osservatorio, era stato da poco completato il telescopio Hooker[7], un apparato con uno specchio principale di 2,5 metri di diametro e all’epoca il più potente del mondo. Le osservazioni condotte tra il 1923 e il 1924 stabilirono che molte delle cosiddette «nebulose[8] a forma di spirale» – osservate precedentemente con telescopi meno potenti – non facevano parte della nostra galassia, bensì erano esse stesse galassie al di fuori della nostra Via Lattea. Hubble fu in grado di determinare la distanza di tali nebulose, e ciò permise di comprendere la loro natura extragalattica, rivoluzionando le conoscenze del tempo[9]. E cosa forse ancora più rilevante fu che Hubble, usando lo stesso telescopio, misurò il redshift (un elemento di fondamentale importanza, su cui torneremo dopo).
L’altro grande uomo si chiama Georges Henri Joseph Édouard Lemaître (17 luglio 1894 – 20 giugno 1966). Belga, fisico teorico, matematico, astronomo, professore di fisica all’Università Cattolica di Lovanio, e prete cattolico o, più precisamente, monsignore, Lemaître studiò ingegneria civile, fisica e matematica nel collegio dei gesuiti di Charleroi. Venne ordinato sacerdote nel 1923 e nello stesso anno andò a Cambridge, in Inghilterra, dove si dedicò alla cosmologia e all’astronomia stellare. Nel 1924 si trasferì all’Osservatorio dello Harvard College e al Mit (Massachusetts Institute of Technology). Fu tra i primi a comprendere che la recessione delle galassie – ossia il fatto che le galassie si allontanino una dall’altra – può essere spiegata con il modello di un Universo che è in espansione, ed è noto come colui che per primo ha proposto l’ipotesi dell’«atomo primordiale» come origine cosmica[10].
Le sue posizioni però non furono accolte in maniera giusta né dal mondo scientifico né da quello religioso: ironia e derisione nel primo caso, ed eccessivo, ingenuo entusiasmo nel secondo. Infatti, scientificamente, la teoria più in voga allora era quella dello «stato stazionario», che annoverava tra i suoi principali sostenitori astronomi del calibro di Hermann Bondi[11], Thomas Gold[12] e Fred Hoyle[13]; e anche Einstein era piuttosto di tale avviso. Secondo questi scienziati, l’Universo non ha avuto affatto un inizio, e non c’è stata alcuna «singolarità iniziale»[14]; piuttosto, il cosmo è rimasto, e rimane tutt’oggi, lo stesso in ogni regione e in tutte le epoche[15]. E fu proprio Hoyle che per primo inventò, con intento irrisorio, l’espressione «teoria del Big Bang», come se ci fosse stato un «grande botto» iniziale da cui tutto ha avuto origine. Sarcasmo da fisici…
Ben più rispettoso è stato invece lo scambio tra Lemaître e papa Pio XII. Precisiamo innanzitutto che la visione dell’astrofisico belga può essere sintetizzata in un chiaro rifiuto del concordismo[16] e del creazionismo[17], in favore di un Dio nascosto nella creazione. Lemaître mostrava un profondo, duplice rispetto: da un lato, per Dio, che «vive» nell’eternità e lascia esistere la creazione in una relativa, ma effettiva, autonomia e, dall’altro, per l’uomo, che ha la straordinaria capacità di comprendere il creato, pur salvaguardando l’incommensurabile trascendenza di Dio. «Ho troppo rispetto per Dio, per fare di Lui un’ipotesi scientifica», soleva ripetere il monsignore scienziato. Pio XII sembrava invece sostenere una visione diversa, che poteva offrire il fianco a possibili equivoci e incomprensioni. Il Pontefice, a conclusione di un suo discorso, aveva affermato: «La creazione nel tempo, quindi, e perciò un Creatore; dunque Dio! È questa la voce, benché non esplicita né compiuta, che Noi chiedevamo alla scienza»[18]. Frasi del genere rischiano di spalancare le porte a una visione concordista e per nulla scientifica.
Nel 1952, Lemaître, avendo saputo che Pio XII avrebbe tenuto un discorso all’Assemblea dell’International Astronomical Union, chiese di essere ricevuto da lui[19]. È plausibile che egli abbia offerto al Pontefice qualche chiarimento, più per evitare un’invasione della scienza nella teologia che – come generalmente si potrebbe pensare – per frenare l’ingerenza della teologia (o dei papi) nella scienza. La determinazione di Lemaître nel difendere le due aree della conoscenza umana – scientifica e teologica – fu fondamentale per rafforzare la libertà della ricerca, svincolandola dalle pressioni filosofico-teologiche, e per distinguere chiaramente la sua ipotesi dell’«atomo primitivo» da possibili interpretazioni metafisiche di stampo concordista o creazionista. La «singolarità iniziale» – se mai c’è stata – va posta a un livello molto diverso rispetto alla creazione soprannaturale del mondo[20]. «Ci sono due strade per la verità, la fede e la scienza. Io ho scelto di seguirle entrambe»[21], affermava Lemaître.
La timidezza delle stelle
Torniamo al redshift. Esso descrive l’aumento della lunghezza d’onda[22] della radiazione elettromagnetica, dovuto all’allontanamento della sorgente. Si pensi al suono di una sirena – dell’ambulanza o della polizia – che si allontana da noi: l’oscillazione ci sembra rallentata, se la confrontiamo con lo stesso suono di quando si avvicina. Quando la luce è emessa da un oggetto che si allontana, la lunghezza d’onda che riceviamo è più lunga rispetto a quella emessa, e si dice che è spostata «verso il rosso», corrispondente all’estremo inferiore dello spettro del visibile[23]. Senza entrare nella descrizione matematica, precisiamo che il redshift – detto «cosmologico» – dipende dal fatto che non è semplicemente la sorgente, stella o galassia, ad allontanarsi, ma è lo spazio-tempo stesso a dilatarsi.
All’inizio del XX secolo, Vesto Slipher[24], Carl Wirtz[25] e altri fecero le prime misurazioni del redshift delle galassie oltre la Via Lattea e interpretarono questo come un effetto dei movimenti «casuali» dei corpi osservati. Più tardi, Lemaître (nel 1927) e poi Hubble (nel 1929) formularono, l’uno indipendentemente dall’altro, la legge che oggi porta il nome di Hubble-Lemaître e che lega il redshift alla distanza dei corpi celesti, collegando così l’allontanamento degli oggetti con l’espansione della metrica dello spazio-tempo[26], e di conseguenza l’allungamento della lunghezza d’onda. Questa «distensione» dell’onda comporta ovviamente la diminuzione della frequenza della radiazione luminosa e, quindi, la riduzione dell’energia a essa associata. Edward Harrison[27], eminente astronomo e cosmologo britannico, affermò: «La luce lascia una galassia, la quale è stazionaria nella sua regione di spazio, e alla fine viene ricevuta da osservatori anch’essi stazionari nella propria regione locale. Tra la galassia e l’osservatore però la luce attraversa vaste regioni in cui è lo spazio a essere in espansione. Come conseguenza, tutte le lunghezze d’onda della luce aumentano a causa dell’espansione cosmica»[28]. Facciamo notare che lo spazio che separa gli oggetti può espandersi più velocemente della luce, senza che questo violi il ben noto limite imposto dalla teoria della relatività di Einstein. La prospettiva secondo la quale «le galassie distanti si allontanano», o quella secondo la quale è «lo spazio tra le galassie a essere in espansione», è un fatto relativo alla scelta di coordinate e alla metrica utilizzata nella teoria della relatività generale[29]. Dunque, la radiazione viaggia in un reticolo – spazio-temporale – che si dilata, e le stelle, o le galassie, più sono lontane rispetto a noi, più si allontanano velocemente; e più «arrossiscono», in quanto la luce emessa ci arriva più «spostata verso il rosso», come se arrossissero nel mostrarsi «signore di una certa età».
Uno sguardo al passato
Effettivamente, la luce degli oggetti che noi vediamo adesso è partita milioni o miliardi di anni fa, e quegli stessi oggetti potrebbero essere già sprofondati nell’abisso della «non-esistenza cosmica». Forse è un po’ triste venirlo a sapere, ma molte delle stelle che vediamo con i telescopi oggi potrebbero già non esistere più. Anche il Sole che osserviamo ora è in realtà un’immagine che corrisponde a 8 minuti, il tempo che la luce impiega per compiere il percorso dal Sole fino al nostro Pianeta. Ciò dipende dal fatto che la luce ha una velocità finita, anche se incredibilmente elevata, corrispondente a circa 300.000 km/s. Vedere un oggetto significa che la luce – emessa o riflessa da esso – colpisce i nostri occhi e, poiché ci vuole del tempo affinché essa copra la distanza che ci separa dall’oggetto, è evidente che noi vedremo sempre le cose non come sono nel momento «presente», ma come erano al tempo «passato» rispetto a noi.
Ma fino a che punto ulteriore possiamo spingere il nostro sguardo, grazie a telescopi sempre più potenti? Certo non possiamo pretendere di vedere oggetti la cui luce, per giungere fino a noi, debba aver viaggiato un tempo più lungo dell’età dell’Universo stesso, ossia circa 14 miliardi di anni. Sarebbe un po’ come vedere una foto di noi stessi scattata prima che noi nascessimo… È impossibile! La distanza limite, oltre la quale non possiamo spingere il nostro sguardo, si chiama «Orizzonte cosmico» e nessun telescopio, per quanto potente, può valicarlo. Esso dista da noi tanto quanto la distanza che la luce è riuscita a coprire dopo che l’Universo è diventato trasparente, permettendo alla radiazione luminosa di viaggiare liberamente. Ma l’Universo non è soltanto molto esteso, bensì, come abbiamo visto precedentemente, si espande, e questo fenomeno causa la riduzione ulteriore dell’energia della luce emessa all’inizio. Si vede quindi come le osservazioni cosmologiche siano essenzialmente una profonda e accurata ricerca «storica» di segnali molto deboli, una sorta di «immenso scavo archeologico cosmico», che indaga sulle nostre origini comuni, per scrutare la fonte condivisa da tutti noi: il cosmo. Nessuno di noi è un alieno in questo Universo, la nostra suprema casa comune.
«E quindi uscimmo a riveder le stelle…»
Torniamo al telescopio spaziale James Webb e al suo sguardo rivolto alle stelle, e al di là. Come il telescopio Hooker, anche il Jwst ha preso il nome di qualcuno che non era scienziato di professione, ma che ha comunque reso possibile la realizzazione di enormi programmi scientifici: James Edwin Webb (7 ottobre 1906 – 27 marzo 1992), funzionario del governo americano e secondo amministratore della Nasa dal 1961 al 1968. Webb è stato direttore durante ognuna delle prime missioni spaziali americane con equipaggio – i programmi Mercury[30] e Gemini[31] –, fino ai giorni del lancio della prima missione Apollo.
Invitiamo il lettore a riflettere per qualche istante sull’immane complessità tecnica – e umana – che un programma spaziale comporta; e il Jwst rappresenta oggi l’apice di questa sfida, portando fino alle estreme conseguenze le innumerevoli capacità che il genere umano ha sviluppato: un viaggio cominciato circa 300.000 anni fa (con la comparsa dell’Homo Sapiens sulla Terra), che è passato per il 12 aprile 1961, quando Jurÿ Gagarin[32] divenne il primo essere umano a viaggiare nello spazio esterno, e che è giunto fino a noi[33].
Ecco alcune ed elementari note tecniche circa il Jwst. Il suo specchio primario è un riflettore – ossia uno specchio concavo che raccoglie la luce concentrandola nel fuoco, dal quale può essere osservata – al berillio rivestito d’oro di 6,5 m di diametro, con un’area di raccolta di 25,4 m2. Questo corrisponde a circa tre volte lo specchio di cui era dotato il telescopio Hubble. Il Jwst osserverà in una gamma di frequenze che va dalla lunga lunghezza d’onda visibile – rosso – al medio infrarosso (0,6 – 28,3 μm, dove μm sta per micrometro e indica 1 milionesimo di metro). Per queste osservazioni ci sono quattro sistemi principali che opereranno per la durata di 10-15 anni, senza necessità di revisione. Essi sono: 1) NirCam (Near InfraRed Camera), 2) NirSpec (Near InfraRed Spectrograph), 3) Miri (Mid-InfraRed Instrument), 4) Fgs/Niriss (Fine Guidance Sensor e Near Infrared Imager and Slitless Spectrograph).
Gli obiettivi scientifici del Jwst possono essere raggruppati in quattro campi principali, che verranno svolti con l’utilizzo interconnesso degli strumenti: 1) le capacità infrarosse del telescopio permetteranno di guardare indietro nel tempo fino a oltre 13,5 miliardi di anni, così da poter rivelare la nascita delle prime stelle e delle prime galassie apparse nell’Universo primordiale; 2) gli astronomi potranno quindi confrontare questo modo di formazione con quello in cui avviene l’«assemblaggio» nei miliardi di anni successivi e comprendere meglio l’evoluzione dell’Universo; 3) il Jwst descriverà più precisamente il processo con cui nascono i singoli sistemi proto-planetari, riuscendo a guardare attraverso le enormi nubi di polvere cosmica: un’operazione che è praticamente impossibile per i telescopi terrestri; 4) lo studio dei singoli sistemi esoplanetari e la possibile origine della vita extraterrestre, fornendo informazioni sull’atmosfera dei pianeti extrasolari.
Cosa troveremo?
«Non vedo nessun Dio quassù»: è una frase che è stata attribuita a Jurÿ Gagarin, quando in realtà sembra sia stata pronunciata da Nikita Krusciov[34], il quale si servì, un po’ indebitamente, dell’autorevolezza dell’astronauta nell’immaginario popolare per rafforzare la visione atea. Noi vorremmo suggerire di avere il coraggio di rispondere all’«invito delle stelle», provando sia stupore di fronte al cosmo sia ammirazione per la natura umana, «fango impastato con uno sputo di divino»[35], sapendo che non siamo soli in questa avventura. Ci affascina il racconto evangelico dell’incontro tra Nicodemo e Gesù (cfr Gv 3,1-21): di notte, come i tempi oscuri di pandemia o di guerra e buio, così come l’immane spazio che ci ospita. Nel dialogo con il visitatore notturno il Signore non spiega affatto il mistero della vita, ma dà un riferimento: non ci lascerà soli. Non sappiamo cosa il Jwst riuscirà a rivelarci, ma certamente quel Dio che ha avuto l’ardire di incarnarsi nell’uomo ci sorprenderà oltre misura.
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[1]. R. Feynman, Six easy pieces, New York, Basics Books, 1963, 59.
[2]. Un telescopio spaziale è uno strumento, posizionato su un satellite artificiale, che osserva lo spazio oltre l’atmosfera terrestre.
[3]. Stockholm International Peace Research Institute.
[4]. Joseph Louis Lagrange, nato Giuseppe Luigi Lagrangia (25 gennaio 1736 – 10 aprile 1813), fu un matematico e astronomo italiano, poi naturalizzato francese.
[5]. Dante Alighieri, Inferno, XXVI, vv. 121-126.
[6]. Ivi, vv. 118-120.
[7]. John Daggett Hooker (1838 – 1911) era un fabbro americano, filantropo e scienziato dilettante, che fece le donazioni iniziali per il telescopio che porta il suo nome, uno dei telescopi più famosi del XX secolo.
[8]. «Nebulosa» deriva dal termine latino nebula (nuvola) – immagine suggerita dal fatto che questi elementi sono costituiti da agglomerati interstellari di polvere, idrogeno e plasma –, originariamente utilizzato per indicare qualsiasi oggetto astronomico di grandi dimensioni, che non fosse stella, pianeta o cometa.
[9] . Cfr M. Hack – W. Ferreri – G. Cossard, Il lungo racconto dell’origine, Milano, Baldini Castoldi, 2012.
[10]. Cfr D. Lambert, Un atome d’univers – la vie et l’œuvre de Georges Lemaître, Paris, Lessius, 2000.
[11]. Sir Hermann Bondi (1° novembre 1919 – 10 settembre 2005) è stato un matematico e cosmologo austro-britannico.
[12]. Thomas Gold (22 maggio 1920 – 22 giugno 2004) è stato un astrofisico statunitense di origine austriaca, professore di astronomia alla Cornell University, membro della U.S. National Academy of Sciences e Fellow della Royal Society.
[13]. Sir Fred Hoyle (24 giugno 1915 – 20 agosto 2001) è stato un astronomo inglese, che ha formulato la teoria della nucleosintesi stellare (la creazione di elementi chimici nelle fusioni nucleari delle stelle). Ha anche assunto posizioni controverse su diverse questioni scientifiche: per esempio, il rifiuto della teoria del «Big Bang».
[14]. Il concetto di singolarità descrive una grande varietà di fenomeni, che hanno in comune il fatto che piccole variazioni in una grandezza possono causare variazioni enormi in altre grandezze. Nel caso della cosmologia, la singolarità consiste nel fatto che tutto l’Universo sia stato originato da un punto infinitesimale, da un «oggetto» che ha oggi circa 93 miliardi di anni luce di diametro.
[15]. Certamente non bisogna confondere le osservazioni su scale cosmologiche con quelle che possiamo fare nella vita quotidiana. Nelle nostre giornate osserviamo naturalmente cambiamenti e differenze, ma rispetto alle dimensioni cosmiche questo non prova affatto che ci sia stato un inizio e che ci siano variazioni nell’Universo.
[16]. Il concordismo tende a far coincidere le verità della scienza e della fede. Secondo questa visione, c’è un passaggio diretto dall’uno all’altro ambito in modo praticamente automatico, senza la necessità di una mediazione o di un lavoro interpretativo; la scienza e la fede appartengono allo stesso orizzonte e allo stesso livello di conoscenza. Per la «scuola concordista» la scienza e la religione occupano lo stesso terreno e, in definitiva, sono in concorrenza tra loro, anche quando si vuole mostrare il loro accordo.
[17]. In filosofia e in scienza, si intende per creazionismo ogni concezione che ponga la genesi delle cose in relazione diretta con l’atto creatore divino, in qualunque modo esso venga inteso.
[18]. Pio XII, Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze, 22 novembre 1951, in Vatican Va.
[19]. Non abbiamo testimonianze scritte dell’incontro tra Lemaître e il Pontefice, di cui abbiamo avuto conoscenza grazie all’intervento di p. Daniel O’Connell della Specola Vaticana e a D. Lambert, Un atome d’univers – la vie et l’œuvre de Georges Lemaître, Paris, Lessius, 2000. Cfr G. Gionti, «L’inizio dell’Universo e la questione di Dio», in Civ. Catt. 2020 I 234-248.
[20]. Cfr ivi, 291-295.
[21]. D. Aikman, «Lemaître follows two paths to truth», in The New York Times Magazine, 19 febbraio 1933, 3.
[22]. In fisica, la lunghezza d’onda è la distanza fra due creste, o fra due ventri, della sua forma d’onda.
[23]. Solo una parte assai limitata dello spettro elettromagnetico è visibile per l’occhio umano, che non può vedere oltre la zona violetta e al di sotto della zona rossa. La lunghezza d’onda della luce visibile va indicativamente dai 390 ai 700 nm, dove nm sta per nanometro, e 1 nm = 1×10-9 metri, ossia un miliardesimo di metro.
[24]. Vesto Melvin Slipher (11 novembre 1875 – 8 novembre 1969) è stato un astronomo americano che per primo scoprì che le galassie lontane sono «spostate sul rosso», fornendo così la prima base empirica per l’espansione dell’Universo.
[25]. Carl Wilhelm Wirtz (24 agosto 1876 – 18 febbraio 1939) è stato un astronomo tedesco, noto per aver dimostrato statisticamente l’esistenza di una correlazione redshift-distanza per le galassie di forma a spirale.
[26]. Per «spazio-tempo» si intende la struttura quadridimensionale dell’Universo, e per «metrica» la funzione che fornisce la distanza tra ogni coppia di elementi puntiformi.
[27]. Edward R. Harrison (8 gennaio 1919 – 29 gennaio 2007) è stato un astronomo e cosmologo britannico, noto per il suo lavoro sull’aumento delle fluttuazioni nell’Universo in espansione.
[28]. E. Harrison, Cosmology: The Science of the Universe, Cambridge, Cambridge University Press, 2000, 306 s.
[29]. Esistono due teorie della relatività in fisica. 1) La Relatività ristretta, sviluppata da Albert Einstein, nel 1905, come una riformulazione ed estensione delle leggi della meccanica. Questa teoria descrive eventi che avvengono ad alte energie e a velocità prossime a quella della luce. 2) La Relatività generale, o «teoria della gravità di Einstein», è la teoria geometrica della gravitazione pubblicata dal fisico tedesco nel 1916, ed è la descrizione della gravitazione nella fisica contemporanea.
[30]. Il progetto Mercury (1958 – 1963) fu il primo programma di volo spaziale umano degli Stati Uniti.
[31]. Il progetto Gemini (1961 – 1966) fu il secondo programma di volo spaziale umano della Nasa.
[32]. Jurÿ Alekseyevich Gagarin (9 marzo 1934 – 27 marzo 1968), pilota e cosmonauta sovietico, fu il primo essere umano a viaggiare nello spazio esterno, nella capsula Vostok 1. Egli completò un’orbita della Terra il 12 aprile 1961.
[33]. Una lastra riflettente unica sarebbe risultata troppo grande e impossibile da inserire nei vettori di lancio esistenti; pertanto, lo specchio è formato da 18 segmenti esagonali ripiegati, che vengono dispiegati e allineati, dopo il lancio, una volta nello spazio, grazie a 132 piccoli motori. Questo è uno dei momenti più delicati di tutta la procedura: il dispiegamento e l’allineamento perfetto dei vari specchi, al fine di formare il grande specchio principale capace di generare un’immagine precisa e a fuoco degli oggetti osservati, che distano miliardi di anni. Nir Cam è un sistema ottico sensibile all’infrarosso, che servirà anche per allineare e mettere a fuoco i segmenti dello specchio principale. È stato costruito da un gruppo guidato dall’Università dell’Arizona. Nir Spec è un sistema che effettuerà anche la spettroscopia nella stessa gamma di lunghezze d’onda. È stato costruito principalmente dall’Agenzia Spaziale Europea. Miri misurerà la gamma di lunghezze d’onda del medio-lungo infrarosso, compresa tra 5 e 28 μm. È stato sviluppato in collaborazione tra la Nasa e un consorzio di Paesi europei, e condotto dall’Università dell’Arizona dall’UK Astronomy Technology Centre. Fgs/Niriss è un sistema guidato dalla Csa e utilizzato per stabilizzare la visuale dell’osservatorio. Fgs controllerà l’orientamento generale del veicolo spaziale e guiderà lo specchio per la stabilizzazione dell’immagine, mentre Niriss sarà utilizzato per la visualizzazione astronomica e per la spettroscopia nella gamma di lunghezze d’onda nel vicino infrarosso, corrispondente a lunghezze d’onda tra gli 0,8 e i 5 μm. Lo strumento è operato sotto la guida dell’Université di Montréal. Un esopianeta o pianeta extrasolare è un pianeta al di fuori del sistema solare. La prima prova dell’esistenza di questi corpi celesti sembra risalire al 1917, ma non fu riconosciuta come tale. La prima conferma incontestabile avvenne nel 1992. Fino a oggi più di 5.000 esopianeti sono stati ufficialmente osservati dalla Nasa.
[34]. Nikita Sergeevič Krusciov (15 aprile 1894 – Mosca, 11 settembre 1971) è stato un politico e militare sovietico, segretario generale del Partito Comunista dal 1953 al 1964. Cfr l’intervista a V. Vasil’evič Petrov, I am proud to be accused of having introduced Yury Gagarin to Orthodoxy, 12 aprile 2006 (Interfax è un’agenzia di stampa russa indipendente); e G. Bensi, «Giallo su Gagarin: l’ateo di Stato era un cristiano nascosto?», in Avvenire, 13 aprile 2006, 30.
[35]. V. Capossela, Eclissica, Milano, Feltrinelli, 2021, 310.