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L’ingiustizia strutturale che caratterizza le attuali relazioni sociopolitiche è una pesante eredità che l’epoca storica appena conclusa sta lasciando alla nuova che inizia. In questo cambio di epoca assistiamo infatti a situazioni, come la pandemia di Covid-19, che nel colpire l’intera umanità rivelano tuttavia chiaramente la portata e la profondità di questa ingiustizia strutturale. I divari sociali, la povertà, la migrazione forzata e altre calamità continuano a crescere. Pare impossibile fermare il degrado ambientale causato dai modelli di produzione e dagli stili di vita lussuosi che sono stati generati dal capitalismo consumista globalizzato. I conflitti armati continuano e aumentano, anche in luoghi in cui sembrava che fossero state trovate alternative per risolvere i contrasti. La politica globale si è dimostrata immatura, incapace di governare il mondo nell’interesse comune dell’umanità.
Culture e multiculturalismo
Fare dell’«incontro» la dimensione essenziale e permanente delle culture in cui ci muoviamo è il cuore delle riflessioni che desidero condividere in questa occasione. Abbiamo ricordato come l’ingiustizia strutturale generi situazioni di discordia o di «dis-incontro». La sfida della missione che abbiamo ricevuto è a compiere passi efficaci verso la fratellanza e la pace. Quella di sviluppare la dimensione dell’incontro all’interno delle culture che danno senso alla nostra vita diventa, quindi, un’esigenza indispensabile per il progresso. L’incontro è quella dimensione delle culture che fa da strumento per aiutare a superare l’ingiustizia, a trasformare la società e a raggiungere la riconciliazione con le persone, i popoli e l’ambiente naturale in cui si sviluppa l’esistenza.
Preferisco parlare di «culture», al plurale, per mettere in evidenza una delle più grandi ricchezze dell’umanità: la diversità culturale. Essa propone una delle vie più meravigliose per partecipare alla creazione che nasce in Dio e nella sua Parola. Attraverso le loro culture gli esseri umani sono co-creatori. La diversità culturale è per l’umanità ciò che la biodiversità è per la natura; è quindi un tesoro che va riconosciuto, difeso, preservato e promosso.
Attraverso le loro culture, individui e popoli danno e trovano un significato alle loro vite. La costituzione pastorale Gaudium et spes (GS) del Concilio Vaticano II offre una chiara descrizione di ciò che s’intende con la parola «cultura»[1], riaffermando così la realtà e l’importanza del pluralismo culturale nel passato, nel presente e nel futuro dell’umanità.
La Buona Notizia di Gesù Cristo si presenta come una luce per tutte le culture umane. Gesù è nato, cresciuto e vissuto in una certa cultura, eppure il suo Vangelo trascende ogni confine culturale. Lui e i suoi discepoli capirono, non senza difficoltà[2], che la parola di Dio si rivolge a ogni essere umano e a ogni cultura. Il Vangelo si può incarnare in qualsiasi cultura umana. Come il lievito penetra nella pasta, il Vangelo s’incarna nelle culture e le apre alla possibilità dell’incontro con Dio, con gli altri e con la natura. Tutte le culture hanno bisogno di questo incontro risanante per crescere in umanità.
Le culture sono il frutto dell’esercizio della libertà umana. Gli esseri umani stabiliscono liberamente relazioni attraverso le quali cercano di dare un senso all’esistenza, alla loro quotidianità personale e sociale. I rapporti culturali nascono dall’esigenza umana, in primo luogo, di dare un senso condiviso alla vita in comune (ideali, valori, atteggiamenti ecc.); in secondo luogo, di stabilire modalità di produzione, distribuzione e consumo dei beni materiali necessari alla vita (relazioni economiche); e, in terzo luogo, di prendere decisioni sull’orientamento e sul governo della società civile (relazioni politiche)[3]. Le religioni sono una parte importante delle idee, dei simboli e dei significati che attraverso la cultura vengono attribuiti alla vita dei gruppi umani[4].
Le relazioni umane sono quindi storiche, dinamiche e in continua evoluzione. Le culture sono in movimento; non esistono di per sé, e quindi non compongono una sorta di genetica sociale che si trasmette immutata da una generazione alla successiva. La cultura è al contempo personale e condivisa. Ogni persona, unica e irripetibile, assume un’identità attraverso la cultura. Allo stesso tempo, la cultura conferisce agli individui un’identità socialmente condivisa con altri esseri umani, ciascuno a sua volta unico e irripetibile.
Nel mondo odierno, esistono esperienze e spazi multiculturali che si scontrano con la tendenza a favorire l’omogeneità culturale: quest’ultima viene promossa perché asseconda le dinamiche del mercato, che è la struttura dominante nei rapporti di produzione e consumo. Il multiculturalismo riconosce la diversità culturale come ricchezza umana, favorisce la convivenza tra culture diverse e ne promuove la conservazione. È un’esperienza complessa e fruttuosa di incontro tra esseri umani culturalmente diversi. Allo stesso tempo, riflette l’inevitabile tensione tra le radici locali di ogni essere umano o gruppo sociale e la visione universale, che genera identità globale e cittadinanza universale.
Incontrare l’umanità attraverso l’interculturalità
La missione che abbiamo ricevuto, di lavorare per la riconciliazione di tutte le cose in Cristo[5], ci impedisce di accontentarci del multiculturalismo. Ci mette di fronte alla sfida dell’interculturalità, che porta a uno scambio arricchente tra tutti i popoli e i gruppi sociali che s’incontrano e condividono le loro culture. Il costante aumento dei flussi migratori nel mondo rivela che esistono lesioni profonde, ma offre anche l’opportunità di uno scambio culturale su larga scala. Possiamo scorgere in questa realtà un importante segno dei tempi, che ci chiama ad approfondire la dimensione dell’incontro. Questo percorso ci porta a sentirci membri dell’intera umanità, veri cittadini del mondo.
L’inculturazione è la prima tappa di questo percorso, e richiede un incontro con la propria cultura che produca consapevolezza critica. Il secondo stadio è quello che abbiamo chiamato «multiculturalismo». Esso consiste nel vivere un incontro gioioso con gli altri esseri umani e con le loro culture e nel riuscire a condividere felicemente con loro una vita in pace. L’interculturalità è una tappa ulteriore, che richiede un incontro più profondo e complesso. Implica relazionarsi con gli altri esseri umani e le loro culture, condividere con loro il valore della propria cultura (esaminata criticamente) e arricchirsi dei contributi della diversità culturale. L’incontro interculturale diventa così un volano verso la giustizia sociale, la fraternità e la pace.
Se quello che abbiamo chiamato «multiculturalismo» riconosce la fitta esistenza di culture nel corso della storia umana e nel contesto geografico in cui i popoli hanno vissuto, e favorisce la pacifica convivenza tra loro, l’incontro interculturale va ancora oltre tale dimensione: cerca di costruire ponti e di promuovere uno scambio fluido tra tutte le culture in un processo complesso che implica la conferma e l’arricchimento della propria identità, mentre al tempo stesso ne viene arricchita anche quella degli altri. Nell’incontro è sempre implicito il rischio di provocare conflitti.
L’interculturalità non è solo un «incontro tra culture» che scansa la necessità di acquisire una visione critica della propria cultura, né permette che ci si accontenti del mero rispetto delle diversità culturali, come se in qualche modo fosse possibile produrre una sfera o uno spazio metaculturale o sovraculturale[6]. Viene incoraggiato l’incontro tra persone di culture diverse come mezzo di valorizzazione reciproca. L’interculturalità arricchisce coloro che s’impegnano nel processo, ed è possibile realizzarla perché tutte le culture posseggono la dimensione dell’incontro.
L’incontro interculturale è uno «scambio reciproco tra culture che porta alla trasformazione e all’arricchimento di tutti i soggetti coinvolti»[7]. Si tratta quindi di un incontro partecipativo e interattivo con il contesto storico, sociale, economico e politico in cui si dispiega. Attraverso l’incontro interculturale, le culture si sviluppano in modo più dinamico, concepiscono cambiamenti interni che le portano a crescere nella dimensione universale dell’umanità.
Incontro nello spezzare il pane
In Fratelli tutti, papa Francesco ricorre all’incontro del samaritano con il ferito abbandonato sulla strada per mostrare come si crea la fraternità[8]. Il samaritano non è irretito in un modo di vivere la sua cultura che gli impedisce di andare incontro alla persona bisognosa del suo aiuto. Al contrario, la dimensione dell’incontro gli apre gli occhi sulle necessità umane senza distinzioni. La dimensione culturale dell’incontro permette che ci si prenda cura di persone, popoli e culture feriti; consente di abbracciarli e di offrire ogni mezzo per guarire le ferite, costruire ponti e favorire la fraternità.
Un’altra scena del Vangelo di Luca[9] può aiutarci a comprendere l’incontro in quanto dimensione delle nostre culture umane alla ricerca di un mondo giusto e fraterno. Il racconto è noto: quei due discepoli, dopo aver vissuto la crocifissione di Gesù come un fallimento, si sentono delusi e vogliono tornare a Emmaus e alla loro vita precedente. Il Maestro nel quale avevano riposto tutte le loro speranze messianiche è stato condannato a morte. Lo scandalo della croce provoca in loro un dis-incontro. Mentre sono in cammino e rimuginano sulla loro delusione, Gesù, il risorto che è il crocifisso, si fa loro incontro. Li coinvolge in una conversazione che li spinge a invitarlo a condividere un pasto durante il quale lo riconoscono nello spezzare il pane. Con grande fretta, essi tornano a incontrare i compagni rimasti a Gerusalemme.
Quando i cosiddetti «discepoli di Emmaus» avevano seguito Gesù di Nazaret, erano ancora intrappolati nelle prospettive rigide della loro cultura. Non avendone raggiunto una visione critica, non potevano incontrare davvero il Maestro, il cui messaggio non trovava posto nelle categorie culturali che fino ad allora avevano dato senso alla loro vita. Quelle categorie interpretavano l’arresto, la passione e la morte di Gesù come un totale fallimento rispetto alla missione di liberare Israele. Di conseguenza, incapaci di comprendere, essi stavano tornando alla vita che avevano sempre condotto.
Gesù prende l’iniziativa. All’inizio cammina a fianco dei discepoli disillusi. Per un lungo tratto li accompagna e ascolta con attenzione la loro storia. Sta cercando di costruire ponti con i due discepoli e di comprendere le categorie culturali attraverso le quali essi interpretano ciò che è accaduto. È la dinamica dell’inculturazione a cui ho accennato sopra. Gesù crea le condizioni che arricchiranno la visione e la sensibilità dei discepoli. Usando il loro stesso linguaggio e le loro categorie culturali, propone un modo diverso di intendere ciò che è accaduto. Lo fa condividendo la propria esperienza degli eventi, utilizzando categorie culturali originali, che gettano nuova luce sull’esperienza dei due discepoli.
A questo punto avviene ciò che abbiamo chiamato «incontro interculturale». Non fermandosi al discorso razionale esposto in parole comprensibili, Gesù ha provocato un incontro personale. Per questo i discepoli lo esortano a restare con loro: si sentono arricchiti da questa esperienza e vogliono che egli condivida la loro casa e la loro mensa. Infine, attraversano il «ponte» che Gesù ha costruito e si aprono all’incontro: «Lo riconoscono nello spezzare il pane». L’incontro interculturale ha prodotto una profonda comunione in quegli esseri umani, la cui comprensione della realtà prima era limitata da categorie culturali che non avevano ancora incorporato la dimensione dell’incontro.
La comunione interculturale rende l’incontro contagioso. I discepoli non possono restarsene tranquilli a casa loro, da soli intorno a un tavolo. Devono uscire a incontrare gli altri e condividere la nuova luce che hanno ricevuto dall’incontro con Gesù. La strada per Emmaus è un percorso a doppio senso: avanti e indietro, attraverso il ponte costruito sulle fondamenta della dimensione dell’incontro interculturale che arricchisce e trasforma.
«Dirigere i nostri passi sulla via della pace» (Lc 1,79b)
Il desiderio di pace è stato presente nelle culture umane nel corso di una lunga storia piena di violenze e di guerre. Ora, nel mezzo di una «terza guerra mondiale a pezzi», come la descrive papa Francesco, aspiriamo a una pace duratura che vada oltre il silenzio delle armi. La pace si fonda sulla giustizia sociale.
Finché non c’è trasformazione della struttura socioeconomica che genera povertà e sostiene le scandalose differenze tra alcuni popoli e altri, tra pochi ricchissimi e le maggioranze povere, e finché non scompaiono le giustificazioni religiose fondamentaliste e le ideologie fumose, la violenza non finirà, né diminuiranno il flusso delle migrazioni forzate e il traffico di esseri umani. Anche l’aggressione contro l’ambiente naturale non cesserà, sebbene minacci la vita sul pianeta Terra.
La presenza permanente del Signore nella storia è volta a guidare i passi dell’umanità sulla via della pace attraverso incontri umani che accolgono con gioia la diversità, apprezzano la libertà, incoraggiano il dialogo e costruiscono la fraternità[10].
La pace richiede di camminare insieme lungo il complesso cammino della riconciliazione che conduce dal tragico dis-incontro e dalle relazioni umane infrante verso un autentico incontro fraterno. La pace richiede che si cammini insieme nella stessa direzione, per creare le condizioni del dialogo. Implica l’accompagnamento di processi personali e di gruppo che sono per natura complessi e asincroni: avanzano, cioè, a ritmi diversi e possono essere armonizzati solo dalla presenza paziente, incondizionata di chi li accompagna.
L’incontro interculturale è possibile quando c’è collaborazione tra molte persone, non solo di culture diverse, ma anche di caratteristiche e capacità diverse e complementari. La collaborazione implica la condivisione della responsabilità del processo ed è quindi una condizione indispensabile per l’incontro interculturale.
Impegnarsi nell’incontro interculturale significa aumentare e affinare la capacità di dialogo, dimensione chiave del processo. Il dialogo dovrebbe essere interculturale e allo stesso tempo intraculturale, come abbiamo cercato di spiegare sopra. Le resistenze e gli ostacoli sono chiari a tutti.
L’incontro interculturale avviene nell’ambito della politica, cioè in quelle relazioni sociali attraverso le quali i gruppi umani definiscono la loro raison d’être, i loro obiettivi e i mezzi che utilizzano per raggiungerli[11]. In questi mesi i media hanno ripetuto all’infinito la falsa affermazione che la guerra è «la politica con altri mezzi». Non è così. Piuttosto, la guerra rimpiazza la politica con la violenza e la forza delle armi. La guerra è la discontinuità della politica; di più, è una rinuncia alla politica, che ci porta nella direzione opposta rispetto alla meta della pace[12].
L’incontro interculturale avviene in mezzo a conflitti di ogni tipo. È impossibile immaginare processi politici intraculturali o interculturali senza conflitto. Il cammino verso la giustizia e la pace, attraverso l’incontro interculturale, è un complesso processo di riconciliazione tra gli esseri umani, e il suo acme è il perdono, senza il quale la pace manca di solide basi[13]. La riconciliazione che porta alla giustizia sociale comprende il restaurarsi di una relazione armoniosa con la natura e con l’intero ambiente in cui si sviluppa la vita.
La vera pace è la riconciliazione di tutte le cose in Cristo[14], l’obiettivo finale dell’incontro interculturale.
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[1]. «Con il termine generico di “cultura” si vogliono indicare tutti quei mezzi con i quali l’uomo affina e sviluppa le molteplici capacità della sua anima e del suo corpo; procura di ridurre in suo potere il cosmo stesso con la conoscenza e il lavoro; rende più umana la vita sociale, sia nella famiglia che in tutta la società civile, mediante il progresso del costume e delle istituzioni; infine, con l’andar del tempo, esprime, comunica e conserva nelle sue opere le grandi esperienze e aspirazioni spirituali, affinché possano servire al progresso di molti, anzi di tutto il genere umano. Di conseguenza la cultura presenta necessariamente un aspetto storico e sociale e la voce “cultura” assume spesso un significato sociologico ed etnologico. In questo senso si parla di pluralità delle culture. Infatti dal diverso modo di far uso delle cose, di lavorare, di esprimersi, di praticare la religione e di formare i costumi, di fare le leggi e creare gli istituti giuridici, di sviluppare le scienze e le arti e di coltivare il bello, hanno origine i diversi stili di vita e le diverse scale di valori. Così dalle usanze tradizionali si forma il patrimonio proprio di ciascun gruppo umano. Così pure si costituisce l’ambiente storicamente definito in cui ogni uomo, di qualsiasi stirpe ed epoca, si inserisce, e da cui attinge i beni che gli consentono di promuovere la civiltà» (GS 53).
[2]. Cfr At 10,1-11,18; 15,1-35.
[3]. Affermando il carattere relazionale della cultura e riconoscendo l’uguaglianza delle culture – non esistono culture superiori e culture inferiori –, non intendiamo proporre un relativismo culturale che apra la via al relativismo morale. Non assumiamo il falso principio secondo cui tutto è valido, che porta a una tolleranza ingenua.
[4]. Per un’interessante sintesi degli elementi della cultura, cfr L. T. Stanislaus – M. Ueffing (edd.), Interculturalidad. En la vida y en la misión, Estella, Verbo Divino, 2017, 18-22.
[5]. La Compagnia di Gesù, secondo le parole della XXXVI Congregazione Generale (2016), è «in missione con Cristo Riconciliatore» (Decreto 1, nn. 21-30).
[6]. Cfr L. T. Stanislaus – M. Ueffing, Interculturalidad, cit., 586.
[7]. Ivi, 23.
[8]. Cfr Francesco, Fratelli tutti (FT), c. 2. Cfr Lc 10,25-37.
[9]. Cfr Lc 24,13-35.
[10]. Durante il lungo cammino verso la libertà attraverso il deserto, gli israeliti collocarono al bordo dei loro accampamenti la «tenda del convegno», in cui Mosè parlava «faccia a faccia» con il Signore, e chiunque volesse consultare il Signore vi si recava (cfr Es 33,7-11).
[11]. «La migliore politica» è l’espressione che papa Francesco usa nel capitolo dedicato a questo tema in Fratelli tutti.
[12]. Cfr FT 255-263.
[13]. Cfr FT 236-245.
[14]. Cfr Col 1,20; 2 Cor 5,18; Rm 5,10.