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La casa editrice Adelphi in tempi recenti sembra continuare il cammino intrapreso negli anni Sessanta da Garzanti per riproporre in edizione critica l’opera di Carlo Emilio Gadda, e si dedica in particolare alla saggistica o a quei testi che hanno ancora bisogno di una edizione definitiva o di essere rimeditati. È il caso di Eros e Priapo (1944-45), un saggio sulla dittatura e insieme una satira molto feroce contro il fascismo. Gadda ne aveva proposto una prima stesura nel 1940; poi una parte (respinta) per la rivista Prosa attorno al 1945; ancora alcune pagine per la rivista di Pasolini e Roversi Officina (1955); e infine una versione (1967) per Garzanti, uscita con il sottotitolo «Da furore a cenere», ampiamente purgata di invettive e passaggi scabrosi, che Gadda, da vero gentiluomo, si rammaricava fossero stati letti da colleghe come Gianna Manzini[1].
Ritrovato, non molti anni fa, il manoscritto originale, si è sentita la necessità, per la cura di Paola Italia e Giorgio Pinotti, di una nuova versione, accuratissima, che, dopo le quattro parti del testo («Cos’è la dittatura»; «Cos’è l’erotismo»; «Erotismo e narcisismo»; «Teoremi centrali»), propone due grandi appendici («Avantesti e riscritture»; «La galassia di “Eros e Priapo”»), insieme ad altre minori, e molte pagine di note, per ricostruire in modo accurato la genesi dell’opera e illuminare il contesto di questo lavoro così particolare, una sorta di «mostro», specchio di quella «associazione a delinquere per più di un ventennio»[2] che Gadda vuole raffigurare. Il tutto a conferma di quanto è stato spesso sottolineato dalla critica, cioè che quello che ribolle nella grande fucina di Gadda può assumere le vesti di un altro grande componimento, di un’opera letteraria a sé stante, magari di interesse maggiore rispetto alla stesura ufficiale.
«Eros e Priapo»
Il regno dell’Eros, dunque, è lo sfondo del ventennio fascista, dove Priapo è figura del Duce. Le folle adoranti sembrano avere un bisogno fisiologico di essere soddisfatte dal Reggitore e, sebbene i maschi appaiano in prima linea nell’assecondare il delirio di potere, le «femmine» devote e osannanti – secondo Gadda – si pongono addirittura un passo avanti, e perciò meritano gli strali più colorati e piccanti dello scrittore, che aggiunge a piene mani citazioni erudite dai classici greci e latini, dai Padri della Chiesa, da Dante e dagli altri grandi della letteratura italiana.
Giova alla critica più recente l’aver considerato seriamente la scelta di Gadda di dedicarsi a studi accurati su Freud dal 1926 al 1940 e riscontrare come se ne notino tracce sia nei suoi scritti sia nella sua esperienza personale. Così, non è arbitrario leggere anche in Eros e Priapo una sorta di autoanalisi per non aver reagito a suo tempo agli eccessi del fascismo e non aver abbracciato, in generale, una condotta più coerente riguardo alla propria esistenza e alla propria opera letteraria.
Il prode Foscolo
Sicuramente meno virulenti di quelli indirizzati a Benito Mussolini, ma per nulla simpatici, sono gli strali scagliati nei confronti di Ugo Foscolo ne Il Guerriero, l’ Amazzone, lo Spirito della poesia nel verso immortale del Foscolo[3] (1959). Nelle prime battute e nelle prime pagine di questa «conversazione a tre voci» – tra il professore Manfredo Bodoni Tacchi, un critico molto agguerrito, l’avvocato Carlo (o Dàmaso) De’ Linguagi e Donna Quirina Frinelli, animatrice del salotto – non sembra esserci eccessiva virulenza. L’avvocato e Donna Quirina sono su posizioni più tradizionali, mentre il professore Manfredo dà voce al pensiero di Gadda e tende a esagerare.
Troviamo all’inizio alcuni epiteti come «scimpanzé» e «satiro villoso»[4], ma quando Foscolo è definito un incallito «seduttore»[5] e, poco più avanti, un improvvisato «eroe militare», debitore delle occasioni offerte dalle guerre napoleoniche del suo tempo[6], l’invettiva si scioglie, anche se non raggiunge i vertici di Eros e Priapo. Gadda, che non aveva buoni rapporti non solo con le donne, ma un po’ con tutti, sopportava ancora meno chi sfruttava la guerra per farsi bello, avendone sperimentato direttamente gli orrori.
Questo breve e non troppo scherzoso componimento di Gadda ha assunto sia la veste di una conversazione radiofonica, andata in onda sul Terzo programma della Rai il 5 e 7 dicembre 1958, sia la forma di una pièce teatrale, andata in scena il 16 febbraio 1967 al Teatro di via Belsiana a Roma, per la compagnia del Porcospino. In questa pubblicazione, inserita come la precedente nella «Biblioteca Adelphi», gli apparati critici e gli allegati, per la cura di Claudio Vela, superano di due terzi la dimensione del testo e contengono, a conforto delle contumelie di Gadda e anche a dimostrazione della sua grande conoscenza del poeta, un corposo «Dossier Foscolo»[7] e un meno imponente «Dossier Napoleone»[8].
Il tempo e le opere
Prima di distaccarci definitivamente dalle collane di Adelphi, troviamo, nella «Piccola Biblioteca», la raccolta di saggi Il tempo e le opere[9], che fa da pendant al libro Le bizze del capitano in congedo e altri racconti[10], dedicato alle pagine sparse o incompiute di narrativa. Seguendo per l’ultima volta il filone delle «contumelie», troviamo in «Grandezza e biografia»[11] una tirata di orecchie nei confronti di Gabriele D’Annunzio, anch’egli eroe di guerra, grande amatore e profittatore di occasioni in molteplici frangenti, che Gadda considera uomo di spalle tanto larghe da non temere la verità di chi non vuole farne un «idolo inane e ridipinto, tra fumi di idolatre bugie»[12].
La raccolta di saggi, lettere, note e divagazioni Il tempo e le opere non solo costituisce un insieme di «dritte» su Gadda, ma contiene svariate perle che ci avvicinano finalmente a uno dei narratori più interessanti di tutto il Novecento, paragonabile a Boccaccio per la parte più seriosa di novelliere.
Prima di tutto il linguaggio. Ne «Il dolce riaversi della luce»[13], che il curatore Dante Isella ha collocato come una prefazione, sembra che Gadda proceda quasi inconsapevole nello snocciolare le considerazioni che nascono nel rapporto tra le opere – anche quelle materiali e architettoniche – e l’implacabile scorrere del tempo che ne fa giustizia. Nel procedere dell’esposizione, il linguaggio diviene sempre più erudito, solenne, aulico, e le considerazioni si trasformano in una sorta di Carme secolare, per ricordare le origini della lingua e della storia italica.
In secondo luogo, troviamo in questa raccolta la difesa e la valorizzazione degli autori più stimati da Gadda, a iniziare da Alessandro Manzoni, a cui egli dedicò il primo saggio «Apologia manzoniana» (1924)[14], andato per la prima volta in stampa sulla rivista Solaria nel gennaio 1927. Nella sua maniera netta e polemica di argomentare, colpiscono battute come quella che, nello scritto successivo, egli rivolge a Moravia, che in «Alessandro Manzoni e l’ipotesi di un realismo cattolico» rimprovera al romanziere molti atteggiamenti e scelte, come quella di «far troppo cattolico» il mondo che descrive nei Promessi Sposi. Gadda risponde sinteticamente: «Cattolico era, lui non poteva farlo turco»[15].
Si parla poi del latino, dell’italiano, di questioni stilistiche e molto del Belli e del Porta, che con Folengo, Rabelais, Baudelaire, Freud, Cervantes, Joyce, Praga, Dossi, Lucini, De Marchi, Montale, Ungaretti sono tra i numi tutelari di Gadda. Lo scrittore si interessa anche di pittura (De Chirico, Crivelli), di arte sacra, di diversi aspetti culturali. L’ultima parte della raccolta è riservata a lettere – a Sinisgalli, al direttore de Il Mondo –, e perfino a interventi occasionali su giornali e riviste. Gadda, inoltre, appare molto informato sugli avvenimenti spiccioli della vita quotidiana.
Il giovane Gadda
Dopo queste abbondanti premesse, eccoci pronti a esaminare brevemente la figura di Gadda nelle sue opere maggiori, rivisitate in ordine cronologico. Gli essenziali accenni biografici entrano pienamente nei contenuti dei suoi scritti.
Carlo Emilio Gadda nasce a Milano il 14 novembre 1893 da Francesco Ippolito, ingegnere tessile, e dalla professoressa Adele Lehr, ungherese. Il conforto di un tenore di vita abbastanza agiato si interrompe alla morte del padre, nel 1909, ma la madre cerca di non far sentire privazioni ai figli ancora giovani. Carlo Emilio consegue la maturità classica al Liceo Parini e, come suo fratello Enrico, si iscrive al Politecnico di Milano, rinunciando in un primo tempo, dolorosamente, a ogni inclinazione letteraria.
Convinto interventista, allo scoppio della Prima guerra mondiale si arruola come volontario negli alpini e viene dislocato nelle retroguardie. Dopo la disfatta di Caporetto è confinato a Celle-lager, nell’Hannover, e si ritrova con Ugo Betti e Bonaventura Tecchi. Gadda aveva tenuto un minuzioso diario dall’agosto del 1915 al dicembre del 1919. Una parte di questo materiale venne pubblicato parecchi anni dopo come Giornale di guerra e di prigionia (1955).
Le insensatezze della guerra, la morte del fratello pilota, i dissapori della sorella Clara con la madre segnano decisamente Carlo Emilio, che, ripresi gli studi, si laurea in ingegneria elettrotecnica nel 1920. Lavora come ingegnere, soggiornando alcuni anni anche all’estero, fino al 1940. Contemporaneamente svolge altre attività, prima frequentando la facoltà di Filosofia senza arrivare alla laurea; poi, dal 1926, iniziando una collaborazione più spiccatamente letteraria con la rivista fiorentina Solaria, presso cui pubblica nel 1931 La Madonna dei Filosofi, che comprende «Manovre di artiglieria da campagna» e otto «Studi imperfetti», di genere, argomento e peso molto diverso.
«Il Castello di Udine»
Anche se in un primo momento Gadda si avvicina al movimento fascista, il clima del dopoguerra lo lascia sempre più scontento, ed è forse anche per questo che si sente spinto a cercare lavoro all’estero. Dal 1922 al 1924 è addirittura nel Chaco argentino, come impiegato della Compañía General de Phósphoros. Da questo lungo soggiorno, quasi operando una fusione tra l’ambiente latinoamericano e quello lombardo, ricava le atmosfere che saranno alla base de La cognizione del dolore, da alcuni ritenuto il suo capolavoro.
Altri momenti professionali, sebbene non così impegnativi, Gadda li vive, dal 1925 al 1931, in Italia, in Belgio e in Francia. La costruzione di una centrale elettrica per la Città del Vaticano – in coincidenza con il termine della quale egli vince il Premio Bagutta del 1934 con Il castello di Udine – è forse la sua maggiore affermazione professionale.
Come in altre sue raccolte, ne Il castello di Udine troviamo inizialmente un ampio cenno autobiografico relativo alla sua vita militare, mentre negli altri racconti prevale l’aspetto del viaggiare alla ricerca di sé (si veda anche il successivo Le meraviglie d’Italia), occasione di frequenti divagazioni, ma anche di approfondimenti sorprendenti.
La frequentazione assidua di Carlo Bo lo spinge tra l’altro a ufficializzare la sua passione per le traduzioni, soprattutto dallo spagnolo – Quevedo e Barbadillo in particolare –, confermandolo nei fondamenti dei suoi potenziali di letterato.
Ormai la scrittura diviene la sua professione dominante, e determina anche la scelta dei luoghi e delle città in cui vivere e lavorare; e così, anche per motivi di amicizia e collaborazioni, egli finisce per stabilirsi a Firenze nel 1941. In questa città matura la convinzione del progressivo degrado della società italiana, e l’entrata in guerra del Paese non lo coglie del tutto impreparato. Approfondendo il rapporto tra lingua e linguaggio, Gadda produce saggi come Tecnica e poesia (1940) e Lingua letteraria e lingua dell’uso (1942).
«L’ Adalgisa, disegni milanesi»
È interessante – per la consueta, lunga gestazione degli scritti di Gadda e il riflesso di echi e nostalgie per i personaggi e gli ambienti del mondo borghese e imprenditoriale lombardo (amicizie, consuetudini, svaghi, concerti, ritagli di tempo…) – la successiva raccolta di racconti. L’ Adalgisa, disegni milanesi viene pubblicata da Le Monnier nel 1944 e segna l’affinarsi del faticoso artigianato narrativo di Gadda, con le sue elaborate maniere e con il suo linguaggio composito.
Gadda è sempre attivo, con acribia da ingegnere, nel suo laboratorio di studioso, ed è significativo che due di questi racconti confluiranno ne La cognizione del dolore. Nella raccolta de L’ Adalgisa, forse più che altrove, si manifesta quella inclinazione a ricercare dei punti di appoggio nella scienza e quella passione di divulgatore che aveva particolarmente a cuore la chimica e le applicazioni pratiche dell’elettricità.
Dopo i fatti drammatici della Resistenza e dell’immediato dopoguerra, la vena di Gadda trova nuovo slancio e nuove motivazioni, e la conferma della positività del momento viene dal conferimento dei premi Taranto (1950) e Viareggio (1953). Intanto, nel 1951, si trasferisce a Roma e ricopre l’incarico di direttore del Terzo programma della Radio, che svolge un’importante opera di servizio divulgativo in quegli anni di ricostruzione.
«Quer pasticciaccio brutto de via Merulana»
Nella parte conclusiva della sua parabola di autore vedono infine la luce quelli che sono considerati senza dubbio i veri e grandi romanzi di Gadda. Per portare a termine Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, che viene pubblicato da Garzanti nel 1957 e merita in quello stesso anno il premio Editori, lascia addirittura l’incarico alla Rai. Costato un’enorme fatica nella prima stesura del 1945 – pubblicata su vari numeri di Letteratura –, questo romanzo è tenuto sempre presente da Gadda, che vi allude indirettamente in un’intervista alla Radio nel 1950, quando parla della speranza «di arrivare ancora a narrare qualche cosa, qualche fatterello un po’ piccante»[16].
In questo romanzo Gadda approfondisce la sua poetica e la porta avanti fino al virtuosismo con il quale non soltanto mescola i dialetti dei vari personaggi (romanesco, napoletano, molisano, veneto), ma si scopre anche a pensare e a scrivere, seguendo a tratti il gergo degli stessi personaggi, nel tentativo di «portare ordine nel caos»[17] in una materia in perenne ebollizione, così come accade nell’esperienza letteraria di Italo Calvino.
È arduo riassumere la trama di questo romanzo. Siamo nel 1927, ma potremmo anche essere nel secondo dopoguerra, come suggerisce la volutamente poco fedele trasposizione cinematografica di Pietro Germi[18]. Negli appartamenti dirimpetto di un palazzo, in una zona centrale di Roma, tra Santa Maria Maggiore e San Giovanni in Laterano, dove abita gente bene e danarosa, avvengono, a distanza di pochi giorni, prima un furto e poi un efferato omicidio. Preposto alle indagini è il commissario Francesco «Ciccio» Ingravallo, che conosce bene la famiglia della vittima (Liliana Balducci), e quindi è convinto di essere in una posizione di vantaggio, annullata invece dalla scoperta di fatti da interpretare – come il testamento della defunta e le rivelazioni del suo parroco, don Lorenzo Corpi – e dal groviglio dei rapporti e dei sentimenti tra le persone implicate.
Ingravallo – e il lettore con lui – fa dunque fatica a seguire gli atteggiamenti del marito della vittima (Remo), del cugino (Giuliano Valdarena) e poi di alcune delle ragazze che, originarie della campagna, vengono ospitate nel tempo dai Balducci in città, perché possano studiare ed elevarsi socialmente.
È significativo che, dopo tanti fraintendimenti e più di una pista intrapresa, come quella che porta ai Castelli Romani, la narrazione si arresti bruscamente quando la sospirata confessione di colpevolezza sembrerebbe scaturire scontata.
«La cognizione del dolore»
Più complesso e più ambizioso – senza il sostegno di quella particolare trama che rende quasi popolare Quer pasticciaccio brutto de via Merulana – il romanzo La cognizione del dolore, frutto di una gestazione ancora più lunga (1930-41), viene pubblicato a puntate su Letteratura[19], poi in alcune edizioni non definitive, e infine da Einaudi nel 1963, con l’incoraggiamento di Elio Vittorini e la prefazione di Gianfranco Contini.
Fin dalle prime pagine è chiaro che si tratta di una storia autobiografica, fortemente simbolica, arricchita da un’ambientazione fantasiosa, che mescola un ipotetico e improbabile paese dell’America Latina, il Maradagàl, con la Lombardia del primo dopoguerra, cioè con gli ambienti, ma soprattutto con i personaggi della vita dello scrittore.
C’è stata dunque una guerra, e l’ingegnere Gonzalo Pirobutirro d’Eltino vive ormai solo (il fratello aviatore è morto) in un’imponente villa con l’anziana madre, una donna che si vorrebbe mite e insignificante, ma la cui figura di fatto giganteggia nella vicenda e nella coscienza del figlio.
Gonzalo ha molti difetti e frequenti scatti d’ira. È lettore accanito ed esclusivo dei classici e non nutre particolare interesse per le persone e per le cose. Licenzia il servitore José, non riesce a intendersi con il medico personale Higueróa, e si lascia coinvolgere dalle osservazioni e dalla lettura della sua situazione che si permette di insinuare un medico militare, il colonnello Di Pascuale (sic!), una sorta di suo alter ego, mentre è la domestica Battistina a deprecare ad alta voce i lati più appariscenti del suo comportamento negativo. Di Pascuale è venuto a indagare sulla vera identità di Manganones, in realtà Palumbo, che rappresenta quanti hanno profittato della guerra per accaparrarsi ricompense immeritate.
La vita sembra andare avanti più nei ragionamenti del protagonista che negli accadimenti quotidiani, per altro poco degni di nota, a parte i rapporti sempre molto difficili con la madre. Dopo un’ennesima esplosione d’ira, Gonzalo prepara la sua valigetta e si allontana da casa senza dare precise spiegazioni. Quasi subito dopo la sua partenza, la madre viene trovata la sera in fin di vita, vittima di una misteriosa aggressione.
Il romanzo, in una delle sue versioni, si chiudeva con la poesia Autunno («Tàcite immagini della tristezza»), che era apparsa sulla rivista Solaria nel 1932.
Forza e ambiguità degli affetti
I grandi nomi della critica e della letteratura avevano già dedicato a Gadda importanti tributi. Possiamo ricordare le considerazioni che Pietro Citati scrive sul «procedimento espressivo»[20] di Gadda, con particolare riguardo a Il castello di Udine. Con la pubblicazione del Pasticciaccio e de La cognizione del dolore i riconoscimenti si fanno ancor più circostanziati, e perfino entusiastici, da parte di studiosi quali Emilio Cecchi[21] e Gianfranco Roscioni[22]. Riportiamo qui qualche tratto delle riflessioni di Angelo Guglielmi, sia per confermare l’«incoronazione europea di Gadda», avvenuta anche con il Prix international de litérature, sia per indicare gli esiti del tutto eccezionali dei suoi due ultimi romanzi. «Il personaggio di Gadda, si chiami Ciccio o Gonzalo, non è un personaggio ideologico […], ma la descrizione fisiologica di un modo di essere… in un mondo che è quello che è [purtroppo]. Sono poi gli odi dell’autore, le sue gigantesche rabbie, la sua scontrosità intellettuale a conferire a ciò di cui parla una vitalità fisica, che, insieme al suo linguaggio e al virtuosismo con cui adopera i dialetti, acquisisce pure un’effervescenza incontenibile»[23].
Da queste qualità ideali deriva il fatto che il Pasticciaccio, pur non essendo un tipico «giallo», è considerato un modello da alcuni scrittori che si cimentano nel genere, dall’esigente Leonardo Sciascia al prolifico Camilleri con il suo commissario Montalbano[24].
Vorremmo concludere non tanto con un disvelamento a sensazione dei veri colpevoli nei romanzi di Gadda, quanto con alcune considerazioni che Elio Gioanola propone in un ampio studio intitolato Carlo Emilio Gadda. Topazi e altre gioie familiari[25], alludendo al parallelismo tra i gioielli scomparsi e le due morti misteriose, tra il valore intrinseco dei gioielli e l’incommensurabile valore della perdita delle due persone care.
Dando per scontato che Gadda si identifica dichiaratamente con il commissario Ingravallo e con l’ingegnere Pirobutirro, ne La cognizione del dolore è facile collegare la morte della madre con l’incapacità del figlio di non farla soffrire, di rendere sereni i suoi ultimi giorni.
Con l’aiuto della psicoanalisi e argomentazioni più articolate, nel Pasticciaccio si può argomentare che Ciccio Ingravallo si sente colpevole dell’assassinio di Liliana Balducci, alla quale la maternità è stata impedita da due aborti, ma che ha cercato di riversare il suo affetto, non adeguatamente corrisposto, sulle ragazze che teneva in casa. Liliana è figura di donna ideale, e suscita molteplici sentimenti anche nel commissario Ingravallo, che non riesce a intessere con lei veri legami, pur avvertendone profondamente il fascino, e quindi si sente doppiamente responsabile dell’omicidio di una persona innocente e benevola.
Tra le note positive dei due romanzi, emerge in più di un’occasione una squisita pietas, imparentata con la pietas christiana, e questo nei riguardi soprattutto degli umili, dei sofferenti, dei disprezzati. Questa pietas Gadda la deve chiaramente all’amatissimo Manzoni, che egli nelle ultime settimane di vita volle che gli venisse continuamente letto da Gianfranco Roscioni e da altri amici, fino al giorno della sua morte, sopraggiunta il 21 maggio 1973.
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CARLO EMILIO GADDA, ENGINEER AND WRITER
Like Calvino, Sciascia, Pavese and a few others, Carlo Emilio Gadda has never ceased to interest his readers, in fact his work could be considered a classic of Italian and European literature. The Italian publisher Adelphi publishes, with a certain regularity, critical editions which give us the opportunity to rediscover his writing. This article commences by examining three of Gadda’s republished works, while in the second part, picks up on suggestions arising from a rereading of these three publications, retracing some of Gadda’s most memorable writing.
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[1]. Cfr P. Mauri, «L’ingegner Gadda e quer pasticciaccio bello di “Eros e Priapo”», in la Repubblica, 4 gennaio 2017, 33.
[2]. C. E. Gadda, Eros e Priapo, Milano, Adelphi, 2016, 11.
[3]. C. E. Gadda, Il Guerriero, l’ Amazzone, lo Spirito della poesia nel verso immortale del Foscolo, Milano, Adelphi, 2015.
[4] . Ivi, 14, 22 s.
[5] . Ivi, 25 s.
[6] . Ivi, 28 s.
[7] . Ivi, 123-187.
[8] . Ivi, 189-239.
[9] . C. E. Gadda, Il tempo e le opere, Milano, Adelphi, 1982.
[10]. Id., Le bizze del capitano in congedo e altri racconti, ivi, 1981.
[11]. Id., Il tempo e le opere, cit., 151-159.
[12]. Ivi, 159.
[13]. Ivi, 11-16.
[14]. Ivi, 19-30.
[15]. Ivi, 34.
[16]. L. Cattanei, Carlo Emilio Gadda, Firenze, Le Monnier, 1975, 117.
[17]. Ivi, 17.
[18]. Cfr Un maledetto imbroglio (1959), film di P. Germi; interpreti principali: P. Germi, E. Rossi Drago, C. Gora, F. Fabrizi, C. Cardinale, N. Castelnuovo, S. Urzì, C. Gaioni.
[19]. Anni 1938-1941.
[20]. Cfr P. Citati, «Il diario di C. E. Gadda», in Lo spettatore italiano, maggio 1956, 232 s.
[21]. Cfr E. Cecchi, «Un romanzo che somiglia a un ciclopico edificio istoriato», in Corriere della Sera, 30 agosto 1957.
[22]. Cfr G. C. Roscioni, La disarmonia prestabilita, Torino, Einaudi, 1969, 152-153.
[23]. A. Guglielmi, Vent’anni di impazienza, Milano, Feltrinelli, 1965, cap. 2. Il sunto è nostro.
[24]. Cfr A. Camilleri, «Io e Leonardo, a ciascuno il suo giallo», in il Venerdì di Repubblica, 2 marzo 2018, 20 s.
[25]. Cfr E. Gioanola, Carlo Emilio Gadda. Topazi e altre gioie familiari, Milano, Jaca Book, 2004, 265-363.