
La distinzione tra «antigiudaismo» e «antisemitismo» è comunemente ammessa dalla maggioranza degli storici, cattolici e non cattolici: Sergio Romano, ad esempio, parla di «giudeofobia» per indicare il particolare atteggiamento tenuto dalla Chiesa durante i secoli nei confronti degli ebrei[1]. I due concetti inoltre sono stati posti alla base del documento sull’Olocausto pubblicato nel 1998 dalla Pontificia Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo, allora presieduta dal card. E. Cassidy, intitolato Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah. Tale documento distingueva nettamente l’antisemitismo razziale — che la Chiesa ha sempre condannato, ritenendolo contrario alla dottrina cattolica sull’originaria uguaglianza del genere umano — dall’antigiudaismo, che nel corso della storia si è andato di volta in volta strutturando sulla base di elementi diversi e che nel secolo appena concluso ha assunto «connotazioni più sociologiche e politiche che religiose».
Dietro la definizione di antigiudaismo non c’è da parte della Chiesa, come invece sostengono alcuni[2], alcuna volontà di forzare ideologicamente i fatti né tanto meno di sminuire le proprie responsabilità storiche dietro l’alchimia di definizioni giustificazioniste, ma soltanto la volontà di esaminare i fatti storici valutandoli per quello che sono (e su questo è possibile avere punti di vista differenti) e senza intenti apologetici. All’opposto invece si nota, dietro la pretesa di chi intende imporre determinate definizioni (quella di antisemitismo per intenderci), la volontà di strumentalizzare ideologicamente i fatti storici. La tradizione cristiana, e in particolare quella cattolica, si è del resto sempre «capita» su questo particolare problema dentro la definizione di antigiudaismo o simili[3].
Antigiudaismo religioso e antigiudaismo politico-sociale
Per comprendere l’atteggiamento della Gerarchia ecclesiastica e della Civiltà Cattolica sul problema ebraico è necessario premettere alcune considerazioni storico. Da questo punto di vista va distinto un antigiudaismo religioso o dottrinale da un antigiudaismo per lo più dettato da considerazioni di ordine socio-politico. Il primo era dovuto a motivazioni teologico-dottrinali: esso considerava l’ebreo, uomo senza patria, come un «dannato da Dio» a motivo del suo accecamento per non aver riconosciuto il Messia, e la sua condizione di esule era intesa e spiegata secondo particolari categorie religiose. In questo rientravano le gravi accuse di deicidio e di omicidio rituale. Alla divulgazione di tali idee contribuì in epoca moderna anche La Civiltà Cattolica con gli articoli del p. Giuseppe Oreglia di Santo Stefano[4] e successivamente, sebbene in forma più critica e moderata, dei pp. Raffaele Ballerini e Francesco Rondina. Tale mentalità antigiudaica,
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