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La famiglia è un viaggio impegnativo, come lo è tutta la vita, del resto. E sono incalcolabili la forza, la carica di umanità in essa contenute: l’aiuto reciproco, le relazioni che crescono con il crescere delle persone, la generatività, l’accompagnamento educativo, la condivisione delle gioie e delle difficoltà. La famiglia è il luogo in cui si vive la «gioia dell’amore». Ci sono tanti segni che dicono la crisi del matrimonio, ma nonostante tutto «il desiderio di famiglia resta vivo, in specie fra i giovani, e motiva la Chiesa» (AL 1; RS 2)[1].
Il primo compito dei pastori deve essere quello di custodire questa gioia e di valorizzare ciò che è attrattivo nella vita familiare. È una esperienza fragile e complessa — e per questo ricca —, che mette in gioco non le idee, ma le persone. Del resto, «nessuna famiglia è una realtà perfetta e confezionata una volta per sempre, ma richiede un graduale sviluppo della propria capacità di amare» (AL 325).
Il significato del titolo
Amoris laetitia è il titolo dell’Esortazione apostolica post-sinodale di Papa Francesco, firmata il 19 marzo 2016 e pubblicata il successivo 8 aprile. L’espressione dice l’ispirazione positiva e aperta propria dell’ampio e ricco documento. Il titolo, nel suo riferimento alla gioia, è assonante nell’ispirazione alla Evangelii gaudium (EG), la precedente Esortazione apostolica. Che cosa sono per Papa Francesco il gaudium, la laetitia? Il termine «gioia» (nelle sue varie declinazioni: alegría, gozo…) è uno dei più ricorrenti del vocabolario bergogliano. Esso si declina spesso con aggettivi quali «nuova», «creativa», «spirituale», «profonda», «intima», «immensa», «irrefrenabile», «eterna», «piena», «escatologica»[2]. Alla gioia del Vangelo egli ha dedicato in maniera specifica anche alcune meditazioni nei suoi corsi di Esercizi spirituali[3]. Questa è la fondamentale certezza di Papa Francesco: «La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù» (EG 1).
Di quale gioia sta parlando qui Papa Francesco? Essa è un frutto dello Spirito Santo, che sgorga dal cuore di Cristo risorto (cfr EG 2)[4]. Solo l’incontro con il Signore può dare questa gioia, non una decisione etica o l’adesione a una idea. Il Pontefice è in piena sintonia con ciò che il suo predecessore aveva detto nell’Enciclica Deus Caritas est: «Non mi stancherò di ripetere quelle parole di Benedetto XVI che ci conducono al centro del Vangelo: “All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva”» (EG 7).
In particolare, l’espressione amoris laetitia era stata usata da Benedetto XVI nella sua Lettera apostolica in forma di motu proprio Porta Fidei, con la quale aveva indetto l’Anno della Fede: «La gioia dell’amore (amoris laetitia), la risposta al dramma della sofferenza e del dolore, la forza del perdono davanti all’offesa ricevuta e la vittoria della vita dinanzi al vuoto della morte, tutto trova compimento nel mistero della sua [di Gesù Cristo] Incarnazione, del suo farsi uomo, del condividere con noi la debolezza umana per trasformarla con la potenza della sua Risurrezione» (n. 13). Questa implicita citazione ci fa comprendere come la nostra umanità, di cui la vita familiare è parte integrante, sia trasformata dalla potenza della risurrezione del Signore. La «gioia dell’amore» trova nel Risorto il suo compimento.
Questa Esortazione è, dunque, innanzitutto un messaggio di fede in un tempo nel quale il «mettersi in gioco» nella vita familiare è diventato qualcosa di complesso. L’uomo e la donna stanno interpretando se stessi in maniera diversa dal passato, con categorie diverse. L’antropologia a cui la Chiesa ha tradizionalmente fatto riferimento e il linguaggio con la quale l’ha espressa restano un riferimento solido, frutto di saggezza ed esperienza secolare. Tuttavia sembra che l’uomo a cui la Chiesa si rivolge oggi non riesca più a comprenderli come una volta, o non li consideri comunque sufficienti, o non ne avverta la potenza di laetitia. Come porsi in maniera corretta, cioè evangelica, davanti a queste sfide?
Un frutto del percorso sinodale
Per questo Papa Francesco ha aperto un «processo sinodale», che è stato composto da due Sinodi: uno straordinario e uno ordinario. Il primo è stato dedicato al tema Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’ Evangelizzazione (5-19 ottobre 2014)[5]. In realtà esso è stato una tappa fondamentale all’interno di un processo più ampio avviato nel mese di novembre 2013, quando venne diffuso un «documento preparatorio» che includeva un ampio questionario per i fedeli e le Chiese locali. Il documento, molto agile, sostituiva i Lineamenta e aveva l’obiettivo di coinvolgere dalla base il popolo di Dio nel processo sinodale[6]. All’Assemblea Straordinaria ne ha fatto seguito (4-25 ottobre 2015) una Ordinaria, dal tema Gesù Cristo rivela il mistero e la vocazione della famiglia[7].
Il Santo Padre ha chiesto ai Padri sinodali di essere franchi nel parlare e umili nell’ascoltare, sapendo che a guidare la discussione di tutti è il bene della Chiesa, delle famiglie e, in definitiva, la suprema lex, cioè la salus animarum (cfr CIC 1752). E questo sempre dunque senza mettere mai in discussione le verità fondamentali del sacramento del matrimonio: l’indissolubilità, l’unità, la fedeltà e la procreatività, ossia l’apertura alla vita. In effetti i due Sinodi hanno guardato in faccia la realtà, nominandola, anche negli aspetti più problematici. Nelle discussioni è stata accolta l’esistenza concreta delle persone, più che parlare della famiglia così come dovrebbe essere, cioè in astratto.
I due Sinodi hanno prodotto due relazioni conclusive, denominate rispettivamente Relatio Synodi e Relatio Finalis. Quest’ultima è stata approvata integralmente con la maggioranza qualificata dei 2/3 dei Padri sinodali. Nella sua Esortazione apostolica, Papa Francesco ha valorizzato ampiamente la Relatio Finalis nel suo testo, accogliendone sostanzialmente non soltanto alcune citazioni, ma l’impostazione generale e l’approccio ai problemi. A queste citazioni sono da aggiungere i riferimenti a documenti delle Conferenze episcopali di Latinoamerica e Caraibi, Messico, Kenya, Australia, Colombia, Italia, Corea, Spagna e Cile. Pertanto, Amoris laetitia trova la sua radice in un’ampia riflessione dell’episcopato, e in questo senso è da considerarsi frutto di un largo processo sindodale ed ecclesiale di riflessione sulla famiglia. Esprime una ecclesiologia di comunione e ne rappresenta una testimonianza efficace.
Ma ovviamente l’Esortazione, nella sua ampiezza, riecheggia anche il Magistero pontificio precedente. Certamente Francesco fa spesso riferimento al messaggio che egli stesso ha voluto dare con le sue catechesi sulla famiglia, iniziate nel dicembre 2014 e sviluppate in tutto il tempo fra i due Sinodi e fino alla vigilia del Giubileo della Misericordia. Ma ampio spazio è dato anche alle catechesi di san Giovanni Paolo II, in particolare a quelle sulla «teologia del corpo» (1980) e sul «linguaggio del corpo» (1984), che erano state evocate diverse volte nel corso dei Sinodi. Naturalmente, e sulla scorta di quanto espresso dai Vescovi partecipanti ai Sinodi, non mancano riferimenti sostanziali alla Gaudium et spes del Concilio Vaticano II (nn. 47-52), alla Humanae vitae di Paolo VI, alla Familiaris consortio di san Giovanni Paolo II, e alla Deus Caritas est di Benedetto XVI.
Questi riferimenti sono accompagnati da citazioni di personalità significative come Martin Luther King, Erich Fromm e Dietrich Bonhoeffer. Da notare una citazione dal film Il pranzo di Babette, che il Papa ama molto e che qui ricorda per spiegare il concetto di gratuità e di festa. Significativa è la citazione di Te quiero del poeta uruguayano di origini italiane Mario Benedetti.
Una Esortazione sull’amore, non sulla dottrina del matrimonio
Prima di proseguire nella riflessione, occorre precisare bene l’argomento dell’Esortazione. Esso è, come certifica chiaramente il sottotitolo, «sull’amore nella famiglia». Pertanto non è sulla dottrina del matrimonio e della famiglia. Questa è una chiave importante per leggere il documento. Lo si capirà nell’analisi che faremo, ma già qui possiamo, sin dall’inizio, avvertire il lettore. Per questo, anche davanti a coloro che «hanno difficoltà a vivere pienamente la legge divina, deve risuonare l’invito a percorrere la via caritatis» (AL 306). Potrebbe apparire singolare come a questo punto il Pontefice citi vari brani biblici che hanno a tema le opere di misericordia che coprono i peccati (cfr AL 306): «la carità copre una moltitudine di peccati» (1 Pt 4,8); «sconta i tuoi peccati con l’elemosina e le tue iniquità con atti di misericordia verso gli afflitti» (Dn 4,24); «l’acqua spegne il fuoco che divampa, l’elemosina espia i peccati» (Sir 3,30). In realtà qui si mette a fuoco ciò che conta davvero: l’amore. Dunque, l’Esortazione è un invito a chi vive in situazioni irregolari a percorrere un cammino di amore misericordioso verso gli altri. Se non è possibile cambiare una situazione irregolare, è sempre possibile percorrere questa via di salvezza.
Ma tutto il documento insiste su un lavoro pastorale per assicurare la crescita dell’amore: «Tutto questo si realizza in un cammino di permanente crescita. Questa forma così particolare di amore che è il matrimonio, è chiamata ad una costante maturazione, perché ad essa bisogna sempre applicare quello che san Tommaso d’Aquino diceva della carità: “La carità, in ragione della sua natura, non ha un limite di aumento, essendo essa una partecipazione dell’infinita carità, che è lo Spirito Santo. […] Nemmeno da parte del soggetto le si può porre un limite, poiché col crescere della carità, cresce sempre più anche la capacità di un aumento ulteriore”» (AL 134, corsivi nostri). Questo, d’altra parte, significa pure che bisogna «smettere di pretendere dalle relazioni interpersonali una perfezione, una purezza di intenzioni e una coerenza che potremo trovare solo nel Regno definitivo» (AL 325).
Quindi «non potremo incoraggiare un cammino di fedeltà e di reciproca donazione se non stimoliamo la crescita, il consolidamento e l’approfondimento dell’amore coniugale e familiare» (AL 89). È proprio la crescita nella capacità di amare che deve guidare «lo sforzo pastorale per consolidare i matrimoni» (AL 307).
Una struttura architettonica poliedrica
L’Esortazione apostolica è suddivisa in nove capitoli e oltre 300 paragrafi. Colpisce per l’ampiezza, che si spiega a causa della ricchezza dei due anni di riflessioni che ha apportato il cammino sinodale. Il Pontefice stesso non ne consiglia una «lettura generale affrettata»: semmai essa potrà essere approfondita pazientemente una parte dopo l’altra, o anche la si potrà usare cercando ciò che serve «in ogni circostanza concreta» (AL 7).
L’Esortazione si apre con sette paragrafi introduttivi, che mettono in chiaro la piena consapevolezza della complessità del tema, che richiede approfondimento. Si afferma che gli interventi dei Padri al Sinodo hanno composto un «prezioso poliedro» (AL 4), che va preservato. In questo senso il Papa scrive che «non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del magistero» (AL 3). Quindi, per alcune questioni «in ogni paese o regione si possono cercare soluzioni più inculturate, attente alle tradizioni e alle sfide locali. Infatti, “le culture sono molto diverse tra loro e ogni principio generale […] ha bisogno di essere inculturato, se vuole essere osservato e applicato”» (ivi). Questo principio di inculturazione risulta davvero importante persino nel modo di impostare e comprendere i problemi, che, al di là delle questioni dogmatiche ben definite dal magistero della Chiesa, non può essere «globalizzato»[8].
Ma soprattutto il Papa afferma subito e con chiarezza che bisogna uscire dal pantano fangoso della contrapposizione tra ansia di cambiamento e applicazione pura e semplice di norme astratte. Scrive: «I dibattiti che si trovano nei mezzi di comunicazione o nelle pubblicazioni e perfino tra i ministri della Chiesa vanno da un desiderio sfrenato di cambiare tutto senza sufficiente riflessione o fondamento, all’atteggiamento che pretende di risolvere tutto applicando normative generali o traendo conclusioni eccessive da alcune riflessioni teologiche» (AL 2).
Poste queste premesse, il Papa articola la sua riflessione a partire dalle Sacre Scritture con il primo capitolo. La Bibbia «è popolata da famiglie, da generazioni, da storie di amore e di crisi familiari» (AL 8)[9], e a partire da questo dato si può meditare come la famiglia non sia un ideale astratto, ma un «compito “artigianale”» (AL 16), che si esprime con tenerezza (cfr AL 28), ma che si è confrontato anche con il peccato sin dall’inizio, quando la relazione d’amore si è trasformata in dominio (cfr AL 19). Allora la Parola di Dio «non si mostra come una sequenza di tesi astratte, bensì come una compagna di viaggio anche per le famiglie che sono in crisi o attraversano qualche dolore, e indica loro la meta del cammino» (AL 22).
A partire dal terreno biblico, nel secondo capitolo il Papa considera la situazione attuale delle famiglie, tenendo «i piedi per terra» (AL 6) e affrontando alcune sfide: dal fenomeno migratorio alla negazione ideologica della differenza di sesso; dall’attenzione alle persone con disabilità al rispetto degli anziani; dalla decostruzione giuridica della famiglia alla violenza nei confronti delle donne. Il Pontefice insiste sulla concretezza, che è una cifra fondamentale dell’Esortazione. E sono la concretezza e il realismo che pongono una sostanziale differenza tra «teorie» di interpretazione della realtà e «ideologie».
Citando la Familiaris consortio, Francesco afferma che «è sano prestare attenzione alla realtà concreta, perché “le richieste e gli appelli dello Spirito risuonano anche negli stessi avvenimenti della storia”, attraverso i quali “la Chiesa può essere guidata ad una intelligenza più profonda dell’inesauribile mistero del matrimonio e della famiglia”» (AL 31). Senza ascoltare la realtà, dunque, non è possibile comprendere né le esigenze del presente né gli appelli dello Spirito. Il Papa nota che l’individualismo esasperato rende difficile oggi donarsi a un’altra persona in modo generoso (cfr AL 33). Ecco un’interessante fotografia della situazione: «Si teme la solitudine, si desidera uno spazio di protezione e di fedeltà, ma nello stesso tempo cresce il timore di essere catturati da una relazione che possa rimandare il soddisfacimento delle aspirazioni personali» (AL 34). L’umiltà del realismo aiuta a non presentare «un ideale teologico del matrimonio troppo astratto, quasi artificiosamente costruito, lontano dalla situazione concreta e dalle effettive possibilità delle famiglie così come sono» (AL 36). L’idealismo allontana dal considerare il matrimonio quello che è, cioè un «cammino dinamico di crescita e realizzazione» (AL 37). Per questo non bisogna neppure credere che le famiglie si sostengano «solamente insistendo su questioni dottrinali» (ivi), con il rischio di perdere «la vicinanza compassionevole alle persone fragili come la samaritana o la donna adultera» (AL 38).
Il terzo capitolo è dedicato ad alcuni elementi essenziali dell’insegnamento della Chiesa circa il matrimonio e la famiglia. La presenza di questo capitolo è importante, perché illustra in maniera sintetica, in 30 paragrafi, la vocazione alla famiglia secondo il Vangelo come è stata recepita dalla Chiesa nel tempo, soprattutto riguardo al tema della indissolubilità. Il Pontefice chiede subito chiaramente una cosa: che si metta tutta la dottrina del matrimonio e della famiglia sotto la luce del kerygma. «Davanti alle famiglie e in mezzo ad esse deve sempre nuovamente risuonare il primo annuncio, ciò che è “più bello, più grande, più attraente e allo stesso tempo più necessario”» (AL 58). E questo perché «tutta la formazione cristiana è prima di tutto l’approfondimento del kerygma» (ivi). Dunque «il nostro insegnamento sul matrimonio e la famiglia non può cessare di ispirarsi e di trasfigurarsi alla luce di questo annuncio di amore e di tenerezza, per non diventare mera difesa di una dottrina fredda e senza vita. Infatti, non si può neppure comprendere pienamente il mistero della famiglia cristiana se non alla luce dell’infinito amore del Padre, che si è manifestato in Cristo, il quale si è donato sino alla fine ed è vivo in mezzo a noi» (AL 59). Perciò — prosegue il Papa — «desidero contemplare Cristo vivente che è presente in tante storie d’amore, e invocare il fuoco dello Spirito su tutte le famiglie del mondo» (ivi). Qui c’è davvero il cuore pulsante di tutta l’Esortazione apostolica di Papa Francesco.
Nel suo sguardo ampio essa include la riflessione sulle «situazioni imperfette». Leggiamo infatti: «Il discernimento della presenza dei semina Verbi nelle altre culture (cfr Ad gentes, 11) può essere applicato anche alla realtà matrimoniale e familiare» (AL 77). La riflessione include anche le «famiglie ferite», di fronte alle quali il Papa afferma, citando ampiamente la Relatio Finalis del Sinodo: «Occorre sempre ricordare un principio generale: “Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni” (Familiaris consortio, 84)» (AL 79). Perciò, mentre va espressa con chiarezza la dottrina, sono da evitare giudizi che non tengano conto della complessità delle diverse situazioni, ed è necessario essere attenti al modo in cui le persone vivono e soffrono a motivo della loro condizione.
Il quarto capitolo tratta dell’amore nel matrimonio, e lo illustra a partire dall’inno di 1 Cor 13,4-7. Il capitolo è una vera e propria esegesi puntuale, ispirata e poetica del testo paolino. Potremmo dire che si tratta di una collezione di frammenti di un discorso amoroso che è attento a descrivere l’amore umano in termini assolutamente concreti. Si resta colpiti dalla capacità di introspezione psicologica che segna tale esegesi. L’approfondimento psicologico entra nel mondo delle emozioni dei coniugi — positive e negative — e nella dimensione erotica dell’amore.
A suo modo questo capitolo costituisce un trattatello dentro la trattazione più ampia, pienamente consapevole della quotidianità dell’amore e nemica di ogni idealismo: «Non si deve gettare sopra due persone limitate — scrive il Pontefice — il tremendo peso di dover riprodurre in maniera perfetta l’unione che esiste tra Cristo e la sua Chiesa, perché il matrimonio come segno implica “un processo dinamico, che avanza gradualmente con la progressiva integrazione dei doni di Dio”» (AL 122). D’altra parte, il Papa insiste in maniera forte e decisa sul fatto che «nella stessa natura dell’amore coniugale vi è l’apertura al definitivo» (AL 123), proprio all’interno di quella «combinazione di gioie e di fatiche, di tensioni e di riposo, di sofferenze e di liberazioni, di soddisfazioni e di ricerche, di fastidi e di piaceri» (AL 126) che è appunto il matrimonio. Il capitolo si conclude con una riflessione sulla «trasformazione dell’amore», perché «il prolungarsi della vita fa sì che si verifichi qualcosa che non era comune in altri tempi: la relazione intima e la reciproca appartenenza devono conservarsi per quattro, cinque o sei decenni, e questo comporta la necessità di ritornare a scegliersi a più riprese» (AL 163). L’aspetto fisico muta e l’attrazione amorosa non viene meno, ma cambia; il desiderio sessuale col tempo si può trasformare in desiderio di intimità e complicità. «Non possiamo prometterci di avere gli stessi sentimenti per tutta la vita. Ma possiamo certamente avere un progetto comune stabile, impegnarci ad amarci e a vivere uniti finché la morte non ci separi, e vivere sempre una ricca intimità» (AL 163).
Il quinto capitolo è tutto concentrato sulla fecondità e sulla generatività dell’amore. Si parla in maniera spiritualmente e psicologicamente profonda dell’accogliere una nuova vita, dell’attesa propria della gravidanza, dell’amore di madre e di padre. Ma anche della fecondità allargata e della vita nella famiglia in senso ampio, con la presenza di zii, cugini e anche i vicini. L’ Amoris laetitia non prende in considerazione la famiglia «mononucleare», ma è ben consapevole della famiglia come rete di relazioni ampie. La stessa mistica del sacramento del matrimonio ha un profondo carattere sociale (cfr AL 186). E all’interno di questa dimensione sociale il Papa sottolinea in particolare sia il ruolo specifico del rapporto tra giovani e anziani, sia la relazione tra fratelli come tirocinio di crescita nella relazione con gli altri.
Nel sesto capitolo il Pontefice affronta alcune vie pastorali che orientano a costruire famiglie solide e feconde secondo il piano di Dio. Ma è da chiarire subito che il Papa preferisce lasciare la pastorale familiare più pratica alla creatività locale: «Saranno le diverse comunità a dover elaborare proposte più pratiche ed efficaci, che tengano conto sia degli insegnamenti della Chiesa sia dei bisogni e delle sfide locali» (AL 199). Per questo non pretende di presentare una pastorale della famiglia, ma si limita a «raccogliere alcune delle principali sfide pastorali» (ivi). Ribadisce che le famiglie sono soggetto, e non soltanto oggetto, di evangelizzazione. Rileva «che ai ministri ordinati manca spesso una formazione adeguata per trattare i complessi problemi attuali delle famiglie» (AL 202). Se da una parte bisogna migliorare la formazione psico-affettiva dei seminaristi e coinvolgere di più la famiglia nella formazione al ministero (cfr AL 203), dall’altra «può essere utile in tal senso anche l’esperienza della lunga tradizione orientale dei sacerdoti sposati» (AL 202).
Quindi il Papa affronta il tema del guidare i fidanzati nel cammino di preparazione al matrimonio, dell’accompagnare gli sposi nei primi anni della vita matrimoniale, ma anche in alcune situazioni complesse e nelle crisi, sapendo che «ogni crisi nasconde una buona notizia che occorre saper ascoltare affinando l’udito del cuore» (AL 232). Si analizzano alcune cause di crisi. Tra queste, una maturazione affettiva ritardata, per cui «a volte le persone hanno bisogno di realizzare a quarant’anni una maturazione arretrata che avrebbero dovuto raggiungere alla fine dell’adolescenza» (AL 239). Infine si parla anche dell’accompagnamento delle persone abbandonate, separate o divorziate, e anche delle situazioni in cui la morte pianta il suo pungiglione.
Il settimo capitolo è tutto dedicato all’educazione dei figli: la loro formazione etica, il valore della sanzione come stimolo, il paziente realismo, l’educazione sessuale, la trasmissione della fede e, più in generale, la vita familiare come contesto educativo. Interessanti sono la saggezza pratica che traspare a ogni paragrafo e soprattutto l’attenzione alla gradualità e ai piccoli passi «che possano essere compresi, accettati e apprezzati» (AL 271). Vi è un paragrafo particolarmente significativo e pedagogicamente fondamentale nel quale Francesco afferma chiaramente che «l’ossessione non è educativa, e non si può avere un controllo di tutte le situazioni in cui un figlio potrebbe trovarsi a passare» (AL 261). Pertanto «qui vale il principio per cui “il tempo è superiore allo spazio”. Vale a dire, si tratta di generare processi più che dominare spazi. Se un genitore è ossessionato di sapere dove si trova suo figlio e di controllare tutti i suoi movimenti, cercherà solo di dominare il suo spazio. In questo modo non lo educherà, non lo rafforzerà, non lo preparerà ad affrontare le sfide. Quello che interessa principalmente è generare nel figlio, con molto amore, processi di maturazione della sua libertà, di preparazione, di crescita integrale, di coltivazione dell’autentica autonomia» (ivi, corsivo nostro). Si potrebbe applicare analogicamente questo principio alla preoccupazione che la Chiesa madre ha per tutti i suoi figli, che essa educa nella fede e alla fede.
L’ottavo capitolo costituisce un invito alla misericordia e al discernimento pastorale di fronte a situazioni che non rispondono pienamente a quello che il Signore propone. Il Papa usa qui tre verbi molto importanti — accompagnare, discernere e integrare —, che sono fondamentali nell’affrontare situazioni di fragilità, complesse o irregolari. Quindi prende in considerazione la necessaria gradualità nella pastorale, l’importanza del discernimento, le norme e circostanze attenuanti nel discernimento pastorale; e infine quella che egli definisce la «logica della misericordia pastorale». Su di essa scrive il Pontefice: «A volte ci costa molto dare spazio nella pastorale all’amore incondizionato di Dio. Poniamo tante condizioni alla misericordia che la svuotiamo di senso concreto e di significato reale, e questo è il modo peggiore di annacquare il Vangelo» (AL 311, corsivo nostro).
L’ottavo capitolo è un capitolo delicato, per leggere il quale occorre ricordare che «spesso il lavoro della Chiesa assomiglia a quello di un ospedale da campo» (AL 291). Qui il Papa assume ciò che è stato frutto della riflessione del Sinodo su tematiche ampiamente discusse. Ribadisce che cos’è il matrimonio cristiano e aggiunge che «altre forme di unione contraddicono radicalmente questo ideale, mentre alcune lo realizzano almeno in modo parziale e analogo» (AL 292). La Chiesa dunque «non manca di valorizzare gli elementi costruttivi in quelle situazioni che non corrispondono ancora o non più al suo insegnamento sul matrimonio» (ivi). Approfondiremo il contenuto di questo capitolo nelle pagine successive.
Il nono capitolo è dedicato alla spiritualità coniugale e familiare, «fatta di migliaia di gesti reali e concreti» (AL 315). Con chiarezza si dice che «coloro che hanno desideri spirituali profondi non devono sentire che la famiglia li allontana dalla crescita nella vita dello Spirito, ma che è un percorso che il Signore utilizza per portarli ai vertici dell’unione mistica» (AL 316). «I momenti di gioia, il riposo o la festa, e anche la sessualità, si sperimentano come una partecipazione alla vita piena della sua Risurrezione» (AL 317). Si parla quindi della preghiera alla luce della Pasqua, della spiritualità dell’amore esclusivo e libero nella sfida e nell’anelito di invecchiare e consumarsi insieme, riflettendo la fedeltà di Dio (cfr AL 318). E infine si parla della «spiritualità della cura, della consolazione e dello stimolo». «Tutta la vita della famiglia è un “pascolo” misericordioso. Ognuno, con cura, dipinge e scrive nella vita dell’altro» (AL 322), dice il Papa. È una profonda «esperienza spirituale contemplare ogni persona cara con gli occhi di Dio e riconoscere Cristo in lei» (AL 323).
L’Esortazione apostolica si conclude con una Preghiera alla Santa Famiglia, preceduta da un appello: «Camminiamo, famiglie, continuiamo a camminare!» (AL 325).
Come è possibile comprendere già da un rapido esame dei suoi contenuti, l’Esortazione apostolica Amoris laetitia intende ribadire con forza non l’«ideale» della famiglia, ma la sua realtà ricca e complessa. Vi è, nelle sue pagine, uno sguardo aperto, profondamente positivo, che si nutre non di astrazioni o di proiezioni ideali, ma di un’attenzione pastorale alla realtà. Il documento è una lettura densa di spunti spirituali e di sapienza pratica, frutto di esperienza concreta con persone che sanno realmente che cosa siano la famiglia e il vivere insieme per molti anni. L’Esortazione parla infatti il linguaggio dell’esperienza e della quotidianità vissuta.
Discernimento, approfondimento, vicinanza compassionevole
Così è possibile riconoscere alcuni atteggiamenti di fondo dell’Esortazione che, ponendosi in continuità di princìpi con la Tradizione vivente della Chiesa, ne rappresenta una evoluzione soprattutto in quei passaggi che riguardano l’accompagnamento delle persone in situazioni di fragilità o irregolari. Il Papa ha sostanzialmente accolto ciò che i Padri sinodali, a maggioranza qualificata dei 2/3, hanno affermato nella Relatio Finalis. In questo senso l’Esortazione è davvero frutto di un’ampia e ampiamente condivisa riflessione sinodale.
Una parola chiave dell’Esortazione è «discernimento». E il discernimento fa riferimento diretto alla coscienza e alla storicità. Papa Francesco ripete più volte che un pericolo da evitare, e nel quale in realtà si cade di frequente, è quello di essere astratti, teorici, idealisti. A volte, egli scrive, «abbiamo presentato un ideale teologico del matrimonio troppo astratto, quasi artificiosamente costruito, lontano dalla situazione concreta e dalle effettive possibilità delle famiglie così come sono. Questa idealizzazione eccessiva, soprattutto quando non abbiamo risvegliato la fiducia nella grazia, non ha fatto sì che il matrimonio sia più desiderabile e attraente, ma tutto il contrario» (AL 36).
Non solo, ma «per molto tempo abbiamo creduto che solamente insistendo su questioni dottrinali, bioetiche e morali, senza motivare l’apertura alla grazia, avessimo già sostenuto a sufficienza le famiglie, consolidato il vincolo degli sposi e riempito di significato la loro vita insieme» (AL 37). Sarebbe una illusione credere che la gente sia rassicurata e consolidata nei valori solamente perché si insiste nel predicare la dottrina senza dare adeguato «spazio alla coscienza dei fedeli, che tante volte rispondono quanto meglio possibile al Vangelo in mezzo ai loro limiti e possono portare avanti il loro personale discernimento davanti a situazioni in cui si rompono tutti gli schemi. Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle» (AL 37, corsivi nostri).
Il Papa insiste su una «pastorale positiva, accogliente, che rende possibile un approfondimento graduale delle esigenze del Vangelo» (AL 38, corsivo nostro). E invece «molte volte abbiamo agito con atteggiamento difensivo e sprechiamo le energie pastorali moltiplicando gli attacchi al mondo decadente, con poca capacità propositiva per indicare strade di felicità. Molti non percepiscono che il messaggio della Chiesa sul matrimonio e la famiglia sia stato un chiaro riflesso della predicazione e degli atteggiamenti di Gesù, il quale nel contempo proponeva un ideale esigente e non perdeva mai la vicinanza compassionevole alle persone fragili come la samaritana o la donna adultera» (ivi, corsivo nostro). Quindi, discernimento, coscienza, approfondimento, vicinanza compassionevole sono parole-chiave dell’Esortazione apostolica.
Vite ferite e situazioni dette «irregolari»: occorre «ben discernere»
Circa le situazioni ferite e quelle dette «irregolari», l’Esortazione recepisce dalla Relazione finale del Sinodo Ordinario il criterio complessivo espresso da san Giovanni Paolo II nella Familiaris consortio con una felice formula: «ben discernere le situazioni» (FC 84). Infatti c’è differenza «tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido» (FC 85). Francesco assume pienamente questa prospettiva, che era stata ribadita e confermata nella Relatio Synodi: «Il discernimento dei Pastori deve sempre farsi “distinguendo adeguatamente”, con uno sguardo che discerna bene le situazioni. Sappiamo che non esistono “semplici ricette”» (AL 298).
Ma ci sono anche «coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido (FC 84; AL 298). Il Sinodo aveva affermato che è compito dei sacerdoti «accompagnare le persone interessate sulla via del discernimento secondo l’insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del Vescovo» (AL 300). Questo itinerario impone un discernimento pastorale che fa riferimento all’autorità del Pastore, giudice e medico, il quale è anzitutto «ministro della divina misericordia», come è scritto nella Lettera apostolica in forma di motu proprio di Papa Francesco Mitis et misericors Iesus.
L’Esortazione riprende dal documento sinodale la strada del discernimento dei singoli casi senza porre limiti all’integrazione, come appariva in passato. Dichiara inoltre che non si può negare che in alcune circostanze «l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate» (AL 302; cfr CCC 1735) a causa di diversi condizionamenti. «Per questa ragione — scrive Papa Francesco — un giudizio negativo su una situazione oggettiva non implica un giudizio sull’imputabilità o sulla colpevolezza della persona coinvolta. Nel contesto di queste convinzioni, considero molto appropriato quello che hanno voluto sostenere molti Padri sinodali: “In determinate circostanze le persone trovano grandi difficoltà ad agire in modo diverso. […] Il discernimento pastorale, pur tenendo conto della coscienza rettamente formata delle persone, deve farsi carico di queste situazioni. Anche le conseguenze degli atti compiuti non sono necessariamente le stesse in tutti i casi”» (AL 302)[10]. La conclusione è che il Pontefice, ascoltando i Padri sinodali, prende consapevolezza che non si può parlare più di una categoria astratta di persone e rinchiudere la prassi dell’ integrazione dentro una regola del tutto generale e valida in ogni caso[11].
Quindi, conclude il Pontefice, se si tiene conto dell’innumerevole varietà di situazioni concrete, «è comprensibile che non ci si dovesse aspettare dal Sinodo o da questa Esortazione una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi. È possibile soltanto un nuovo incoraggiamento ad un responsabile discernimento personale e pastorale dei casi particolari, che dovrebbe riconoscere che, poiché “il grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi”, le conseguenze o gli effetti di una norma non necessariamente devono essere sempre gli stessi» (AL 300, corsivo nostro).
Questo non ha nulla a che vedere con una certa «etica della situazione» o con un individualismo etico che rimettono ogni criterio etico alla coscienza individuale, chiusa gelosamente in sé e resa arbitra assoluta delle sue determinazioni. Il riferimento alle «esigenze di verità e di carità del Vangelo proposte dalla Chiesa» (AL 300) è per il Pontefice imprescindibile: mai quelle esigenze possono essere sostituite dalle condizioni o circostanze reali e concrete in cui si deve agire. Semmai Francesco afferma che è necessario ricordare che «la Chiesa possiede una solida riflessione circa i condizionamenti e le circostanze attenuanti. Per questo non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante. I limiti non dipendono semplicemente da una eventuale ignoranza della norma. Un soggetto, pur conoscendo bene la norma, può avere grande difficoltà nel comprendere “valori insiti nella norma morale” o si può trovare in condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa. Si sono bene espressi i Padri sinodali: “possono esistere fattori che limitano la capacità di decisione”» (AL 301, corsivo nostro).
Dunque, le conseguenze o gli effetti di una norma non necessariamente devono essere sempre gli stessi, «nemmeno per quanto riguarda la disciplina sacramentale, dal momento che il discernimento può riconoscere che in una situazione particolare non c’è colpa grave» (AL 300, n. 336). «A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato — che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno — si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa» (AL 305). E — si precisa — questo aiuto «in certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti. Per questo, «ai sacerdoti ricordo che il confessionale non dev’essere una sala di tortura bensì il luogo della misericordia del Signore». E ugualmente si segnala «che l’Eucaristia “non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli”» (AL 305, n. 351)[12].
Dalla «Familiaris consortio» all’«Amoris laetitia»
Se torniamo indietro alla Familiaris consortio, possiamo verificare che le condizioni poste 35 anni fa da essa erano già una concretizzazione più aperta e più attenta, rispetto al tempo precedente, al vissuto delle persone. Sui divorziati risposati civilmente, l’Esortazione apostolica di san Giovanni Paolo II (1981) affermava: «Esorto caldamente i pastori e l’intera comunità dei fedeli affinché aiutino i divorziati procurando con sollecita carità che non si considerino separati dalla Chiesa, potendo e anzi dovendo, in quanto battezzati, partecipare alla sua vita» (FC 84). Sull’accesso ai sacramenti, Giovanni Paolo II ribadisce la norma precedente, e tuttavia afferma che i divorziati risposati civilmente e che vivono la loro vita coniugale insieme, allevando insieme i figli e condividendo la quotidianità, possono fare la comunione. Ma pone una «condizione» (che è a un altro livello rispetto alla norma): quella di assumere «l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi» (ivi).
Pertanto, in Familiaris consortio la norma di fatto non vale sempre e in tutti i casi. Nella situazione descritta si tratta già di una epieikeia circa l’applicazione della legge a un caso concreto, perché, se la continenza elimina il peccato di adulterio, non sopprime tuttavia la contraddizione tra la rottura coniugale con formazione di nuova coppia — che vive comunque legami di carattere affettivo e di convivenza — e l’Eucaristia.
Riguardo ai rapporti sessuali, la formulazione di san Giovanni Paolo II richiedeva di «assumere l’ impegno di vivere in piena continenza»[13]. Nella Sacramentum caritatis (SC) Benedetto XVI aveva ripreso questo concetto, ma con una formulazione differente: «La Chiesa incoraggia questi fedeli a impegnarsi a vivere la loro relazione secondo le esigenze della legge di Dio, come amici, come fratello e sorella» (SC 29, corsivo nostro). L’«incoraggiamento all’impegno» implica un cammino e focalizza meglio e in maniera più adeguata l’accento posto sulla dimensione personale della coscienza. Papa Francesco va avanti su questa linea quando parla di un «discernimento dinamico», che «deve restare sempre aperto a nuove tappe di crescita e a nuove decisioni che permettano di realizzare l’ideale in modo più pieno» (AL 303). Non si può trasformare una situazione irregolare in una regolare, ma esistono anche cammini di guarigione, di approfondimento, cammini in cui la legge è vissuta passo dopo passo. In fondo «la strada della Chiesa, dal Concilio di Gerusalemme in poi, è sempre quella di Gesù: della misericordia e dell’integrazione […]. La strada della Chiesa è quella di non condannare eternamente nessuno» (AL 296).
Precetti negativi, princìpi generali e ragione pratica
Chiaramente la preoccupazione di san Giovanni Paolo II davanti alla crescita dell’individualismo e del soggettivismo in materia morale era chiara. Leggiamo nella Veritatis splendor (VS): «I precetti negativi della legge naturale sono universalmente validi: essi obbligano tutti e ciascuno, sempre e in ogni circostanza. Si tratta infatti di proibizioni che vietano una determinata azione semper et pro semper, senza eccezioni» (VS 52).
Tuttavia, con san Tommaso occorre distinguere «le certezze e i metodi speculativi dalle certezze e dai metodi morali. Nelle cose speculative la verità non subisce alcuna eccezione, né nei casi particolari né nei princìpi generali. La ragione pratica, cioè la morale, invece si occupa delle realtà contingenti. I princìpi generali sono sempre universali, ma più si affrontano le cose particolari, più si trovano eccezioni. Sempre nella Summa, di seguito, Tommaso afferma che ci possono essere modifiche alla legge naturale, in un determinato caso specifico e a titolo di eccezione, a motivo di certe cause speciali»[14].
Quando san Tommaso, nel trattato della giustizia della Somma Teologica, parla dell’equità che, sulla scia di Aristotele, chiama epieikeia, la presenta come «la parte più eminente della giustizia legale». E spiega: «Dal momento che gli atti umani per i quali si fanno le leggi consistono in casi singolari e contingenti, variabili all’infinito, è sempre stato impossibile istituire una regola legale che non fosse mai in difetto. E i legislatori attenti a ciò che molto spesso avviene hanno fatto leggi in questo senso. Tuttavia, in certi casi, osservarle va contro l’uguaglianza della giustizia e contro il bene comune voluto dalla legge». In questo caso, egli dice, «il bene consiste nell’ignorare la lettera della legge e obbedire alle esigenze della giustizia e del bene pubblico»[15].
Spetta al Pontefice dire fino a che punto la Chiesa possa spingersi in una linea in cui l’equità diventa più chiaramente epieikeia nel suo significato neotestamentario di indulgenza e clemenza.
Per essere più chiari, facciamo l’esempio del preservativo: esso è considerato come intrinsecamente cattivo, indipendentemente da ogni considerazione sulle circostanze del suo uso. Tuttavia Benedetto XVI nel suo libro La luce del mondo (2010) aveva detto: «In determinati casi, quando l’intenzione è quella di ridurre il rischio di contagio, l’uso del preservativo può essere un primo passo per aprire la strada a una sessualità più umana, vissuta diversamente. Ci possono essere casi individuali, come quando un uomo che si prostituisce usa il preservativo, in cui questo può essere un primo passo verso una moralizzazione, un inizio di responsabilità che permetta di prendere nuovamente coscienza che non tutto è permesso e che non si può fare tutto quello che si vuole»[16].
La gradualità nella pastorale e la centralità della coscienza
«A partire dal riconoscimento del peso dei condizionamenti concreti — scrive il Pontefice —, possiamo aggiungere che la coscienza delle persone dev’essere meglio coinvolta nella prassi della Chiesa in alcune situazioni che non realizzano oggettivamente la nostra proposta sul matrimonio» (AL 303, corsivo nostro). Questo è un punto apicale dell’Esortazione apostolica, in quanto attribuisce alla coscienza — «il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità» (GS 16; AL 222) — un posto fondamentale e insostituibile nella valutazione dell’agire morale.
Il discernimento a cui il Pontefice fa riferimento è plasmato dalle «esigenze di verità e di carità del Vangelo proposte dalla Chiesa» (AL 300). Egli afferma che «bisogna incoraggiare la maturazione di una coscienza illuminata, formata e accompagnata dal discernimento responsabile e serio del Pastore, e proporre una sempre maggiore fiducia nella grazia» (AL 303). Per questo non cade nella «gradualità della legge» (AL 295; cfr AL 300).
Ma questa coscienza «può riconoscere non solo che una situazione non risponde obiettivamente alla proposta generale del Vangelo; può anche riconoscere con sincerità e onestà ciò che per il momento è la risposta generosa che si può offrire a Dio, e scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo» (AL 303, corsivo nostro).
Questo passaggio dell’Esortazione apre la porta a una pastorale positiva, accogliente, e pienamente «cattolica», che rende possibile un approfondimento graduale delle esigenze del Vangelo (cfr AL 38). In altri termini, qui non si dice affatto di assumere la propria debolezza come criterio per stabilire che cosa sia bene e che cosa sia male (questa sarebbe la cosiddetta «gradualità della legge»). Tuttavia si afferma una «legge della gradualità», cioè una progressività nel conoscere, nel desiderare e nel fare il bene: «Tendere alla pienezza della vita cristiana non significa fare ciò che astrattamente è più perfetto, ma ciò che concretamente è possibile»[17]. Questa gradualità non si può affatto confondere con il relativismo. È necessario lasciare aperto l’esercizio «prudenziale» dell’atto libero di un uomo peccatore che, salvo una grazia eccezionale, non si moralizza in un solo colpo. Così si esprime il Pontefice, rifacendosi al n. 44 dell’Evangelii gaudium: «“Senza sminuire il valore dell’ideale evangelico, bisogna accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone che si vanno costruendo giorno per giorno”, lasciando spazio alla “misericordia del Signore che ci stimola a fare il bene possibile”» (AL 308, corsivo nostro).
Con l’umiltà del suo realismo l’Esortazione Amoris laetitia si pone dentro la grande tradizione della Chiesa, riallacciandosi di fatto a una vecchia tradizione romana di misericordia ecclesiale verso i peccatori. La Chiesa di Roma, che fin dal II secolo aveva inaugurato la pratica della penitenza per i peccati commessi dopo il battesimo, nel III secolo fu lì lì per provocare uno scisma da parte della Chiesa dell’Africa del Nord, guidata da san Cipriano, perché questa non accettava la riconciliazione con i lapsi, cioè gli apostati durante le persecuzioni, che erano di fatto molto più numerosi dei martiri[18].
A questo punto Francesco afferma di comprendere che ci sono credenti, e anche pastori, che «preferiscono una pastorale più rigida che non dia luogo ad alcuna confusione» (AL 308). Tuttavia afferma con chiarezza di credere sinceramente — e qui, ovviamente, non sta esprimendo solo una semplice opinione personale — «che Gesù vuole una Chiesa attenta al bene che lo Spirito sparge in mezzo alla fragilità: una Madre che, nel momento stesso in cui esprime chiaramente il suo insegnamento obiettivo, “non rinuncia al bene possibile, benché corra il rischio di sporcarsi con il fango della strada”» (ivi). Ecco dunque la chiara indicazione pastorale: «I Pastori che propongono ai fedeli l’ideale pieno del Vangelo e la dottrina della Chiesa devono aiutarli anche ad assumere la logica della compassione verso le persone fragili e ad evitare persecuzioni o giudizi troppo duri e impazienti. Il Vangelo stesso ci richiede di non giudicare e di non condannare (cfr Mt 7,1; Lc 6,37)» (ivi).
Una Esortazione radicalmente pastorale
Nella Evangelii gaudium Papa Francesco aveva scritto che in un mondo nel quale, dopo duemila anni, Gesù è tornato a essere uno sconosciuto in tanti Paesi anche dell’Occidente, «conviene essere realisti e non dare per scontato che i nostri interlocutori conoscano lo sfondo completo di ciò che diciamo o che possano collegare il nostro discorso con il nucleo essenziale del Vangelo che gli conferisce senso, bellezza e attrattiva» (EG 34).
Per questo lo stesso stile di Amoris laetitia è legato alla necessità di un «rinnovamento» e, più ancora, di una vera «conversione» del linguaggio. L’obiettivo è chiaro: far sì che l’annuncio del Vangelo non sia teorico o svincolato dalla vita reale delle persone. Il Vangelo deve essere significativo e deve raggiungere tutti. Per parlare della famiglia e alle famiglie, il problema non è quello di cambiare la dottrina, ma di inculturare i princìpi generali affinché possano essere compresi e praticati. Il nostro linguaggio deve incoraggiare e confortare ogni passo di ogni famiglia reale.
Di conseguenza, Papa Francesco si è espresso ponendo a fondamento del suo discorso il discernimento pastorale.
Spesso Papa Francesco — seguendo i suoi predecessori — chiede che i pastori facciano discernimento tra le diverse situazioni vissute dal nostro popolo fedele e da tutta la gente, dalle famiglie, dalle persone. Questo discernimento non è utile soltanto quando si presenta un caso eccezionale o «irregolare». Il Papa ci ricorda, proprio alla fine dell’Esortazione, di non «giudicare con durezza coloro che vivono in condizioni di grande fragilità» e che «tutti siamo chiamati a tenere viva la tensione verso qualcosa che va oltre noi stessi e i nostri limiti» (AL 325). Il discernimento è un costante processo di apertura alla Parola di Dio per illuminare la realtà concreta di ogni vita: un processo che ci porta a essere docili allo Spirito, che incoraggia ciascuno di noi ad agire con amore, nella situazione concreta e nella misura del possibile, e ci spinge a crescere di bene in meglio. Una caratteristica del discernimento ignaziano è l’insistenza a tenere in considerazione non soltanto la verità oggettiva, ma anche a valutare se essa sia espressa con spirito buono, propositivo. Il discernimento è il dialogo dei pastori con il Buon Pastore al fine di cercare sempre la salvezza delle pecore. Questo si traduce nell’obbligo dei pastori a discernere bene le situazioni (cfr FC 84 e SC 29).
La preoccupazione pastorale non deve essere dunque interpretata come una contrapposizione rispetto al diritto. Al contrario: l’amore per la verità è il punto di incontro fondamentale tra il diritto e la pastorale; la verità non è astratta e si integra nell’itinerario umano e cristiano di ciascun fedele. Quella pastorale non è nemmeno una mera applicazione pratica contingente della teologia. Non si tratta di adeguare una pastorale alla dottrina, ma di non strappare alla dottrina il sigillo pastorale originario e costitutivo.
Già nel contesto sinodale era emerso il desiderio di non limitarsi al linguaggio normativo o di condanna, ma di usare quello positivo e aperto proprio del Concilio, valutando un proprio approccio pastorale alla luce dello stile di Papa Francesco. Nel Sinodo Ordinario il Circolo minore tedesco aveva pure affermato chiaramente in Aula: «Il nostro modo di pensare è troppo statico e troppo poco biografico e storico»[19]. Il linguaggio non è semplice esteriorità, ma comunica il cuore pulsante di una Chiesa evangelizzatrice e pastorale e non capace solo di parlare a se stessa e di se stessa. Il Pontefice, nel suo discorso alla fine del Sinodo, ha dunque parlato di «trasmettere la bellezza della Novità cristiana, qualche volta coperta dalla ruggine di un linguaggio arcaico o semplicemente non comprensibile»[20].
Il linguaggio della misericordia incarna la verità nella vita. La preoccupazione del Pontefice in questa Esortazione sull’amore familiare è quella di ricontestualizzare la dottrina al servizio della missione pastorale della Chiesa. La dottrina va interpretata in relazione al cuore del kerygma cristiano e alla luce del contesto pastorale in cui viene applicata per la salus animarum.
***
[1]. D’ora in poi citeremo l’Esortazione apostolica Amoris laetitia con la sigla AL. Con la sigla RS indicheremo la Relatio Synodi della iii Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi. Con la sigla RF la Relatio Finalis della XIV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi.
[2]. Cfr J. M. Bergoglio, In Lui solo la speranza. Esercizi spirituali ai vescovi spagnoli (15-22 gennaio 2006), Milano – Città del Vaticano, Jaca Book – Libr. Ed. Vaticana, 2013, 74 s, n. 2.
[3]. Id., Aprite la mente al vostro cuore, Milano, Rizzoli, 2013, 21-29.
[4]. Riecheggia qui la richiesta che sant’Ignazio di Loyola esprime nei suoi Esercizi Spirituali (EE.SS.), quando, meditando sulla risurrezione, vuole che si chieda gracia para me alegrar y gozar intensamente de tanta gloria y gozo de Cristo nuestro Señor (EE.SS. 221). La gioia per Bergoglio è la «consolazione spirituale» di cui parla Ignazio (EE.SS. 316). È questo «lo stato abituale di chi riceve la manifestazione di Gesù Cristo con disponibilità e semplicità di cuore» (ivi, 124).
[5]. Cfr A. Spadaro, La famiglia è il futuro. Tutti i documenti del Sinodo straordinario 2014, Milano, Àncora, 2014. Cfr anche Id., «Una Chiesa in cammino sinodale. Le sfide pastorali sulla famiglia», in Civ. Catt. 2014 IV 213-227.
[6]. Il contributo della nostra rivista a questo coinvolgimento è stato raccolto in un volume: Id. (ed.), La famiglia, ospedale da campo. Dibattito biblico, teologico e pastorale sul matrimonio nei contributi degli scrittori de La Civiltà Cattolica, Brescia, Queriniana, 2015.
[7]. Cfr Id. (ed.), La famiglia oltre il miraggio. Tutti i documenti del Sinodo ordinario 2015, Milano, Àncora, 2015. Cfr anche Id., «Vocazione e missione della famiglia. Il XIV Sinodo Ordinario dei Vescovi», in Civ. Catt. 2015 IV 372-391.
[8]. Il Papa lo aveva detto molto chiaramente nel suo discorso alla fine del XIV Sinodo Ordinario: «Quanto sembra normale per un vescovo di un continente, può risultare strano, quasi come uno scandalo — quasi! — per il vescovo di un altro continente; ciò che viene considerato violazione di un diritto in una società, può essere precetto ovvio e intangibile in un’altra; ciò che per alcuni è libertà di coscienza, per altri può essere solo confusione».
[9]. Cfr M. Rastoin, «La famiglia e le sue contraddizioni. Un approccio biblico», in Civ. Catt. 2015 I 527-538.
[10]. Cfr CCC 2352; cfr anche Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione Iura et bona sull’eutanasia (5 maggio 1980). San Giovanni Paolo II, criticando la categoria della «opzione fondamentale», riconosceva che «senza dubbio si possono dare situazioni molto complesse e oscure sotto l’aspetto psicologico, che influiscono sulla imputabilità soggettiva del peccatore» (Esortazione apostolica Reconciliatio et paenitentia). Cfr Pontificio Consiglio per i testi legislativi, Dichiarazione sull’ ammissibilità alla Comunione dei divorziati risposati (24 giugno 2000), n. 2.
[11]. A questo proposito notiamo che, se mal compreso, l’intrinsece malum sopprime la discussione sulle circostanze e sulle situazioni per definizione complesse della vita. Un atto umano non è mai semplice, e il rischio è di «incollare» in maniera posticcia la vera articolazione tra oggetto, circostanze e finalità, che invece andrebbero lette alla luce della libertà e dell’attrazione al bene, come giustamente fa l’Esortazione apostolica. Non si può ridurre, infatti, l’atto libero all’atto fisico in maniera tale che la limpidezza della logica sopprima ogni discussione morale e ogni circostanza. Così tutta la ricchezza dell’articolazione morale risulterebbe inevitabilmente annichilita.
[12]. Il Papa l’aveva precedentemente affermato in EG 47 circa la partecipazione alla vita ecclesiale e le «porte dei Sacramenti». Cfr C. Giraudo, «L’Eucaristia: premio per i sani o medicina per i malati? Nuovi orizzonti di teologia a partire dalle anafore d’Oriente e d’Occidente», in Civ. Catt. 2015 III 480-493.
[13]. Corsivo nostro.
[14]. A. Spadaro, «“Chiesa di puri” o “nassa composita”? Intervista a Jean-Miguel Garrigues o.p.», in Civ. Catt. 2015 II 498. Cfr G. Cottier – Ch. Schönborn – J.-M. Garrigues, Verità e misericordia. Conversazioni con p. Antonio Spadaro, Milano, Àncora, 2015.
[15]. Cfr ivi, 507.
[16]. Benedetto XVI, Luce del mondo. Il Papa, la Chiesa e i segni dei tempi. Una conversazione con Peter Seewald, Milano, Mondadori, 2010, 170 s. Cfr A. Spadaro, «“Chiesa di puri” o “nassa composita”?…», cit., 505 s.
[17]. Conferenza Episcopale Italiana, Catechismo degli adulti, 919.
[18]. Di fronte alla rigidità dei donatisti nel IV e V secolo, come più tardi di fronte a quella dei giansenisti, la Chiesa di Roma ha sempre rifiutato una «Chiesa di puri» a vantaggio del reticulum mixtum, cioè della «rete composita» di giusti e di peccatori, di cui parla sant’Agostino in Psalmus contra partem Donati. La pastorale del «tutto o niente» sembra più sicura ai teologi tuzioristi, ma porta inevitabilmente a una «Chiesa di puri». Valorizzando prima di tutto la perfezione formale come un fine in sé, si rischia disgraziatamente di coprire di fatto molti comportamenti ipocriti e farisaici.
[19]. A. Spadaro (ed.), La famiglia oltre il miraggio…, cit., 242.
[20]. Papa Francesco, «Discorso a conclusione dei lavori della XIV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi», 24 ottobre 2015.