|
Quattro secoli fa, i primi gesuiti si affacciavano alle porte dell’impero cinese. La dinastia Ming era ormai nella sua parabola discendente, e gli eunuchi di corte stavano prendendo il sopravvento sui consiglieri più intelligenti e lungimiranti. Proprio in quell’epoca, durante il lungo regno dell’imperatore Wanli, Matteo Ricci arriva a Pechino. La sua missione in Cina è diventata emblematica per le generazioni posteriori, e il coraggio, la pazienza e la capacità con cui ha saputo usare i mezzi a sua disposizione sono un paradigma indelebile per tutte le persone profondamente disposte al dialogo.
La sua è stata una storia di «amicizia», che egli stesso ha ben descritto in uno dei suoi libri più importanti: amicizia con un Paese diverso e con una cultura affascinante, amicizia con un modo di vedere insolito e attraente, ma soprattutto amicizia con persone in carne e ossa, contrassegnate da doti eccellenti e da grandi aspirazioni.
Xú Guangqi
Dopo quattrocento anni, il Kuangchi Program Service (Kps), società di produzione televisiva fondata dai gesuiti, ha varato un film-documentario televisivo sull’amico più importante di Matteo Ricci, il cui nome è Paolo Xú Guangqi. Nel 2003, la serie in quattro parti Xú Guangqi – China’s Man for All Seasons è stata la prima produzione nel suo genere ad arrivare alla televisione nazionale cinese e a mostrare la grandezza di questo scienziato ed erudito cinese che ha conosciuto il messaggio cristiano tramite Matteo Ricci e che ha collaborato con lui alla stesura di opere scientifiche — prima fra tutte la traduzione, sia pure parziale, degli Elementi di Euclide — e di opere riguardanti il miglioramento delle tecniche agricole per i contadini cinesi.
Xú Guangqi infatti ha contribuito a rendere efficiente la produzione di legumi e vegetali in modo che le carestie ricorrenti non portassero la popolazione alla fame. La sua lungimiranza e la sua umiltà nel collaborare con colui che altri descrivevano come un «diavolo straniero» — appunto Matteo Ricci — gli hanno permesso di imparare princìpi e novità inaccessibili alle conoscenze cinesi di quell’epoca. Egli ha anche lottato perché negli ambienti di corte si rispettassero i diritti dei più indifesi, come insegna il Vangelo, a cui egli si era convertito grazie a Ricci.
L’opera costante e paziente di Matteo Ricci nel coltivare la relazione di ricerca scientifica e di collaborazione culturale con questo grande ufficiale di corte e scienziato filantropo ha gettato un seme di amicizia anche tra la Cina e l’Occidente.
Adam Schall von Bell
La missione di Matteo Ricci è stata poi ripresa e portata avanti da un altro gesuita europeo, il tedesco Adam Schall von Bell, che ha addirittura assunto il ruolo di educatore dell’imperatore Shunzhi, un giovane contraddistinto da una grande apertura mentale. Shunzhi chiamava Adam Schall «nonno»; andava a fargli visita quasi ogni giorno nella sua dimora e gli faceva domande curiose sui più disparati argomenti letterari e scientifici.
Schall era non soltanto un grande astronomo — in una competizione voluta dall’imperatore stesso, lui e il suo team superarono il gruppo di eruditi cinesi della corte imperiale per l’accuratezza nella previsione del tempo di un’eclissi lunare —, ma anche un saggio consigliere nella teoria e pratica del governo a vantaggio di un vasto impero qual era la dinastia Qing dell’epoca. Durante la sua collaborazione con la corte imperiale cinese, fu approvata e attuata la riforma del calendario. Il Kps ha prodotto, nel 2008, un secondo dettagliato documentario, intitolato Adam Schall von Bell – In the Service of the Emperors.
La vita di Adam Schall von Bell fu però tutt’altro che facile. A causa della morte prematura dell’imperatore Shunzhi a soli 22 anni, egli fu oggetto di complotti interni alla corte imperiale, e prima che il nuovo imperatore Kanxi diventasse maggiorenne e difendesse i missionari cristiani cadde in disgrazia, fu imprigionato e condannato addirittura alla pena capitale da parte di quattro funzionari vendicativi. Solo grazie a un provvidenziale terremoto, e al conseguente incendio che distrusse la parte della città proibita in cui egli doveva essere condotto per l’esecuzione capitale, la sentenza gli fu revocata da funzionari imperiali intimoriti.
Giuseppe Castiglione
La coraggiosa testimonianza di Adam Schall fu ripresa da un altro gesuita, caratterizzato da una personalità completamente diversa: un umile artista che lavorò pazientemente tra le mura della Città proibita per ben 51 anni, sotto il regno di tre imperatori. Si tratta di fratel Giuseppe Castiglione, un pittore milanese che, soprattutto negli ultimi decenni del XX secolo, è stato riscoperto e valorizzato come colui che ha saputo coniugare due stili di arte — quello cinese e quello occidentale — ritenuti apparentemente inconciliabili. Le sue opere sono ora considerate tesoro nazionale a Pechino e nell’importante museo di Taipei. Il Governo cinese sta cercando di recuperare da ogni parte del mondo quanto è stato prodotto da lui, per conservare i suoi dipinti e rendere omaggio a questo grande artista.
Giuseppe Castiglione — il cui nome cinese Lang Shining significa «pace del mondo» — è stato protagonista del documentario, realizzato dal Kps, dal titolo Giuseppe Castiglione in Cina: pittore imperiale, umile servo. Questo documentario ha superato tutti i numeri di telespettatori raggiunti precedentemente dalle produzioni del Kps: alla sua prima messa in onda, è stato visto da 360 milioni di persone. Dopo una ripetuta e diversificata trasmissione, attraverso il vasto territorio cinese, sulla Televisione centrale cinese e su altre emittenti, ha superato il mezzo miliardo di spettatori. È stato un risultato inaspettato per un umile fratello gesuita, vissuto tra le mura imperiali della dinastia Qing; ma non è sorprendente per chi ha la possibilità di contemplare l’arte di questo grande artista, di cui non abbiamo nemmeno un autoritratto.
Giuseppe Castiglione non ha mai avuto la possibilità di predicare il Vangelo a parole, ma con la sua arte ha raggiunto risultati incredibili. L’imperatore Qianlong — il terzo imperatore sotto il quale egli si è trovato a servire come artista — gli affidò addirittura la responsabilità della realizzazione del nuovo palazzo imperiale di stile occidentale, ed era solito andare a trovarlo quasi quotidianamente nel suo laboratorio artistico. Il linguaggio dell’arte riesce a superare barriere che sembrano insormontabili; un’opera artistica può comunicare molto di più di un lungo discorso.
La storia recente
Ora è in preparazione una nuova versione della vita di Matteo Ricci per la televisione e, a seguire, un documentario su Ferdinand Verbiest, gesuita belga astronomo, amico e collaboratore di Adam Schall von Bell.
Questa serie di missionari, in compagnia di un incomparabile indigeno quale Paolo Xú Guangqi, ha segnato due secoli memorabili di missione, che sono stati di incoraggiamento per altrettanti visionari degli ultimi decenni. Il californiano p. Philip Bourret è stato certamente uno di questi. Nel 1958 ha realizzato prima programmi radio, e poi una vasta produzione di programmi educativi televisivi per il grande pubblico cinese. P. Bourret, morto nel 2008, è stato un grande innovatore nell’attività missionaria, scommettendo sul vastissimo pubblico raggiunto dai mezzi di comunicazione e sulla forza dell’immagine e della voce quali strumenti educativi per i bambini analfabeti e per le famiglie contadine.
P. Bourret ha chiamato la società di produzione televisiva Kuangchi Program Service, che in cinese è detta Guangqi She e che prende il nome proprio da Paolo Xú Guangqi. Quando nessuno credeva a questo tipo di missione, egli ha cominciato con una emittente radiofonica dentro una baracca. I suoi amici lo chiavano «il Bourret volante» per la rapidità con cui si muoveva nel cercare sostenitori, risorse economiche, sceneggiatori di nuovi programmi ed equipaggiamento tecnico all’avanguardia nel campo radiofonico e televisivo.
Dopo di lui è arrivata una vera e propria stella televisiva tra i missionari in Cina: il p. Jerry Martinson, senza dubbio il religioso più famoso nel mondo cinese e nel sud-est asiatico, anche lui proveniente dalla California. Egli ha iniziato il suo lavoro sugli schermi televisivi nel 1971. Il pubblico di ogni età si è subito innamorato della sua semplicità e del suo carisma. Come attore ha impersonato molti ruoli da straniero in Cina, e come conduttore ha presentato una lunga serie di programmi con ospiti di tutti i generi e di tutte le provenienze.
Ma il suo talento più grande è stato quello di dare voce ai poveri e agli sconfitti. Questo suo grande impegno lo ha portato a vincere Il cavallo d’oro (l’equivalente cinese dell’Oscar americano) per un documentario sui profughi cambogiani al confine con la Thailandia, girato nel 1985 durante la guerra civile. Intitolato Beyond the killing fields, il documentario è stato insignito del massimo premio nell’ottobre 1986, nella grande festa di gala di Taipei. Questo documentario è stato l’occasione per spingere molta gente a prendersi cura del prossimo in difficoltà.
Poi p. Martinson è diventato ancor più noto sugli schermi televisivi come insegnante di inglese delle nuove generazioni di studenti. Insegnare una lingua è un modo per condividere valori, ricordi ed esperienze profonde. In questo senso, il lavoro di missionari contemporanei come p. Philip Bourret e come uncle Jerry — nome con il quale p. Martinson è conosciuto in Cina e nel sud-est asiatico — è semplicemente la versione più moderna dell’opera iniziata da Ricci e da Xú Guangqi.
Le opere televisive prodotte dal Kps, dove p. Martinson ha lavorato per oltre quarant’anni, sono state realizzate in collaborazione con la Jiangsu Broadcasting Corporation di Nanchino, la società di produzione televisiva con più risorse nell’intera Cina, guidata da dirigenti lungimiranti e aperti alla collaborazione. È stato grazie all’accordo firmato nel 2003 con essa che si è riusciti a mettere in onda sulla televisione nazionale cinese questa serie di produzioni.
Fare tesoro della ricca e fine cultura cinese
Qual è il messaggio che possiamo cogliere da questa lunga storia? Quali sono le implicazioni e gli insegnamenti che possiamo trarre da queste importanti figure della storia cinese, da personaggi nati in tre continenti diversi che hanno contribuito a un dialogo così profondo tra culture diverse?
Anzitutto la passione per qualcosa di inestimabile, la consapevolezza di queste persone di far parte di una missione che supera la loro visione personale, per rendersi disponibili a un servizio che può cambiare pregiudizi e superstizioni spesso fortemente radicati. «Il punto di partenza — ripete spesso p. Jerry Martinson — è sempre ascoltare con attenzione chi si ha di fronte e non criticare mai. Solo in questa maniera si riesce davvero a stabilire un contatto».
Ma tutto questo avviene con una preparazione rigorosa. Apparire in televisione, come nel caso di Jerry, sembrerebbe superficialmente il frutto di un talento naturale per l’improvvisazione. Niente di più lontano dalla realtà. Solo con una forte e meticolosa preparazione si riesce a trovare la chiave per entrare in relazione con il pubblico e con gli interlocutori. «L’inaspettato miracolo ha richiesto quindici anni di preparazione»: è una frase che viene ripetuta spesso nel circolo televisivo, Kps compreso.
La capacità di collaborazione è un altro elemento fondamentale per la riuscita di una missione. Ricci non sarebbe mai arrivato ai risultati a cui è giunto senza tutta una serie di amici laici e gesuiti che gli hanno aperto la strada, e senza la sua grande amicizia con Paolo Xú Guangqi. P. Bourret non avrebbe mai creato una stazione radio e una produzione televisiva di quel calibro se una rete di investitori e di donatori non lo avesse finanziato fin dal coraggioso inizio, quando altri lo prendevano per un esaltato fanatico dei nuovi media.
La consapevolezza che ci saranno dei frutti, spesso non immediati, deriva fondamentalmente dal fatto che lo Spirito di Dio è all’opera in queste persone dedite a un fine particolare. Questo perché le loro iniziative non sono dettate da motivi egoistici, ma sono atti di servizio generoso.
Infine, il sapersi sorprendere per la bellezza insita nelle diverse culture e nelle diverse persone è la qualità che colpisce di più in tutti questi visionari. La cultura cinese è ricca, fine e delicata, ed è il risultato di 5.000 anni ininterrotti di tradizione e di storia. L’intelligente approccio di questa serie di missionari che ne ha capito l’essenza e la bellezza ora sta facendo finalmente conoscere i suoi abbondanti frutti.