FILM
a cura di V. FANTUZZI
A Serious Man (Usa, 2009) Registi: JOEL COEN – ETHAN COEN. Interpreti principali: M. Stuhlbarg, R. Kind, F. Melamed, S. Lennick, A. Wolff, J. McManus, P. Breitmayer, A. Landcker.
Siamo nel 1967, e Larry Gopnik (Michael Stuhlbarg), professore di fisica in una tranquilla città americana del Mid West, ha appena saputo da sua moglie Judith (Sari Lennick) che ha deciso di lasciarlo perché si è innamorata di Sy Ableman (Fred Melamed), un uomo che lei considera più concreto e affidabile del marito, il quale ha l’aria trasognata di chi sembra cadere dalle nuvole ogni volta che gli succede qualcosa di imprevisto. Il fratello disoccupato di Larry, Arthur (Richard Kind) dorme sul divano di casa. Il figlio Danny (Aaron Wolff) ha seri problemi disciplinari e non combina nulla a scuola. La figlia Sarah (Jessica McManus) gli ruba soldi dal portafoglio per potersi rifare il naso.
Questi fatti accadono nell’ambito di una comunità ebraica, la stessa nella quale i fratelli Joel ed Ethan Coen, registi del film A Serious Man, sono nati e cresciuti. Il film è infarcito dei loro ricordi personali. Nei dialoghi ricorrono termini tipici della cultura ebraica, come agunah, il divorzio rituale che consente alla persona divorziata di risposarsi secondo le regole della comunità. Bar mitzvah è il rito di iniziazione che Danny deve celebrare leggendo nella sinagoga ad alta voce la haftorah (parti della Bibbia che gli vengono assegnate). Dio viene sempre indicato con il termine Hashem (che significa: il Nome).
La situazione di Larry diventa di giorno in giorno sempre più critica. Mentre sua moglie e Sy progettano la loro nuova vita insieme, e suo fratello diventa un peso sempre più ingombrante, un anonimo scrive lettere ostili e calunniose che mettono a repentaglio il suo posto di lavoro all’Università. Come se ciò non bastasse, uno studente coreano tenta di corromperlo offrendogli denaro per ottenere la promozione e minacciandolo nel contempo di denunciarlo per diffamazione. A peggiorare le cose ci si mettono anche i vicini di casa. Uno (Peter Breitmayer), con l’aria minacciosa dell’attaccabrighe, sconfina nel terreno di Larry. L’altra (Amy Landcker), una non ebrea dal fisico procace, ha l’abitudine di prendere il sole nuda nel giardino. Larry, che sotto il peso di tante calamità (paragonabili alle sciagure che una dopo l’altra si abbattono su Giobbe) sente scricchiolare il proprio equilibrio interiore, si domanda cosa deve fare per conservare la propria integrità, per continuare a essere un Mensch, un uomo serio e retto, come ritiene di essere.
«Io non ho fatto nulla», ripete il pover’uomo, intendendo dire che, non avendo fatto nulla di male, sa di non meritare il tormento di tanti castighi. Per superare l’angoscia che lo attanaglia alla gola, Larry, spinto dai suggerimenti di alcuni amici, decide di rivolgersi alle autorità religiose. Il crescendo del film è scandito da tre visite di Larry ad altrettanti rabbini disposti a diversi livelli della gerarchia, dal basso verso l’alto. Caratterizzate da un cerimoniale che le rende una più solenne dell’altra, queste visite si rivelano tutte e tre ugualmente infruttuose. I rabbini si rifugiano dietro parabole, metafore e aforismi che, in sostanza, non dicono nulla e lasciano che l’interlocutore sprofondi sempre più nella disperazione.
Perché il giusto soccombe mentre il malvagio trionfa? È la domanda che rimbalza dall’uno all’altro dei libri dell’Antico Testamento. Inutile cercare nel film dei fratelli Coen la risposta a tale quesito. L’analogia tra il povero Larry e Giobbe, sommerso come lui da un mare di guai, regge soltanto in parte. Giobbe è un uomo di fede, ed è la sua fede che viene messa alla prova dagli avvenimenti dolorosi che lo colpiscono. Larry, a differenza del personaggio biblico, non è particolarmente religioso. È semplicemente un uomo rassegnato. I Coen sembrano divertirsi, non senza una punta di sadismo, nel vedere fino a che punto la sua rassegnazione può resistere. Messo alla prova dal convergere di tante calamità, riuscirà il nostro professore di fisica, che certamente un eroe non è, a mantenersi coerente con i propri princìpi?
Questa volta la risposta c’è, ma purtroppo è negativa. Prima che il film abbia termine, Larry finirà con l’accettare la bustarella dell’alunno coreano. I guai tuttavia non finiscono al termine del film. Prima che il proiettore si spenga, si viene a sapere che le analisi mediche, alle quali Larry si era sottoposto all’inizio della pellicola, hanno dato esito negativo. Una spada di Damocle pende anche sul capo di Danny, che ha vissuto una peripezia parallela rispetto a quella del padre. Un tornado si sta avvicinando minacciosamente alla scuola mentre un insegnante maldestro non riesce ad aprire la porta del rifugio. La morte, che falcia inesorabilmente i giusti come i peccatori, è la sola certezza alla quale i fratelli Coen sembrano aderire.
Ciò risulta anche dalla premessa, apparentemente incongrua, che è costituita da una storiella con la quale il film si apre. Siamo in uno shtetl (cittadina ebrea) vicino a Dublino in pieno Ottocento. Nel gelo dell’inverno una coppia di ebrei attende uno strano visitatore. È un benefattore incontrato per strada, come dice il marito che lo ha invitato a cena, oppure un dybbuk, il corpo di un defunto posseduto dal diavolo, come sostiene risolutamente la moglie, la quale, per dimostrare che quanto dice è vero, trafigge il visitatore conficcandogli nel petto un punteruolo da ghiaccio? Anche a questa domanda non c’è risposta nel film. Inventata di sana pianta dai Coen, la storiella rientra in una tradizione di racconti, tipicamente yiddish, che invitano a sorridere della morte per esorcizzarne la paura.