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Un’ampia introduzione di Ales Bello precede questo saggio di Edith Stein su Dionigi l’Areopagita, offrendo al lettore spiegazioni preziose. Il saggio risale al 1941. Un anno dopo, la Stein, ebrea convertita al cristianesimo, monaca carmelitana, filosofa e scrittrice, moriva ad Auschwitz. Conosciuta anche con il nome di Teresa Benedetta della Croce, è stata canonizzata da Giovanni Paolo II nel 1998.
In questo saggio la sua attenzione è rivolta specialmente alla teologia simbolica dello Pseudo-Dionigi, teologo del V secolo, padre della mistica occidentale. Nelle prime pagine, la Stein accenna alla complessa questione dell’identità di questo autore. Poi passa a considerare il Corpus Dionysiacum, ossia il complesso di scritti dell’Areopagita (Gerarchia celeste, Gerarchia ecclesiastica, Teologia mistica, Nomi divini e Lettere), la cui dottrina ha dominato il pensiero occidentale dal IX al XVI secolo, e il cui influsso va «ben oltre la conoscenza che se ne ha» (p. 4).
La Stein esamina il pensiero dell’autore in relazione ai diversi gradi di conoscenza di Dio. È anzitutto il concetto di «teologia» che dev’essere approfondito. Infatti, per Dionigi non si tratta di una dottrina sistematica su Dio, ma, a giudizio degli interpreti, «egli intende con teologia la Sacra Scrittura […] e con teologi i suoi autori» (p. 8). Tuttavia, per la Stein il senso di questo concetto non si esaurisce qui. Infatti, soprattutto nella Teologia mistica si rileva come per Dionigi i «teologi» siano tali in quanto «parlano di Dio, perché sono afferrati da Dio, ovvero Dio parla tramite loro». Ne deriva che le diverse teologie – distinte dall’Areopagita in positiva-affermativa, negativa e mistica – vanno intese come «diversi modi di parlare di Dio» e, in tal senso, come «diverse vie o modi della conoscenza di Dio» (p. 9). Dunque, «ogni discorso su Dio presuppone un discorso di Dio» (p. 51).
Utilizzando l’immagine del monte, al cui vertice è collocata la teologia mistica – «rivelazione segreta», che lascia l’uomo senza parole in quanto «autorivelazione di Dio nel silenzio» (p. 50) –, la Stein entra nel cuore della teologia simbolica, collocata ai piedi del monte, quale gradino più basso della teologia positiva. Il suo approccio sembra rivelare la sua indole di fenomenologa, che non dimentica questioni di carattere filosofico quando si accosta alla complessa realtà del simbolo. E si direbbe che, pur restando fedele al pensiero di Dionigi, la Stein vada oltre la lettera dei suoi scritti: così, riflette sulle fonti del linguaggio simbolico, inserendovi la conoscenza naturale di Dio, che non sembra presente in Dionigi; analizza alcune immagini scritturistiche; accenna ai rischi di un tale linguaggio e all’esistenza di una molteplicità di rapporti simbolici, che rivelano gradi diversi di conoscenza simbolica.
In definitiva, secondo Dionigi, le varie teologie permettono all’uomo di ascendere a Dio passando «dal sensibile allo spirituale» (p. 42), sino all’unione mistica, proprio grazie a coloro che, giunti alla vetta e afferrati da Dio, ricevono l’investitura a «teologi»: «È per mezzo di coloro ai quali parla sulla cima del monte che Dio vuole parlare a quanti essi hanno lasciato in basso» (p. 51). Dunque, conclude la Stein, lo scopo di ogni teologia non può essere altro che quello di «liberare la via che conduce a Dio stesso» (p. 41) attraverso parole e immagini che Dio dona al teologo per parlare agli altri di Lui, mentre Egli stesso parla a tutti come «“Teologo simbolico” – attraverso la natura, attraverso la loro esperienza interiore e attraverso le sue tracce nella vita umana e negli eventi del mondo –, mettendoli in questo modo in grado di comprendere il linguaggio dei teologi» (p. 51).
EDITH STEIN
Vie della conoscenza di Dio. Saggio su Dionigi Areopagita
Roma, Città Nuova – OCD, 2020, 128, € 20,00.