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Il saggio di Emanuele Borsotti, monaco di Bose, ci interroga e ci inquieta sul nostro cammino di fede: un cammino irto di ostacoli, ma al tempo stesso foriero di gioia.
Leggiamo nella prefazione di mons. Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo: «Una chiesa dalle beatitudini e delle beatitudini è la chiesa povera auspicata dal concilio e ora riportata in auge dal magistero e dai gesti di papa Francesco» (p. 9). Si tratta di far «investire dal vangelo del Regno, dalla potenza delle beatitudini, il nostro modo stesso di rendere alle donne e agli uomini del nostro tempo il lieto annuncio di un Dio che si fa povero, che si mette dalla parte degli ultimi, che con i poveri si identifica fino a farne il criterio ultimo del giudizio escatologico» (p. 10).
Per riflettere sulle beatitudini, l’autore non segue il cammino della teologia patristica e medievale, ma «l’annuncio biblico del Beatus vir e della ripresa anaforica dell’aggettivo “beati” nei macarismi evangelici» (p. 17). «Beato» è l’aggettivo che inaugura il libro dei Salmi (cfr Sal 1,1) e che ricorre centinaia di volte nella Bibbia, toccando il suo culmine nel Discorso della montagna di Gesù (cfr Mt 5,1-12; Lc 6,20-26).
Dopo essersi soffermato sui cammini di beatitudine nell’Antico Testamento – i «luoghi» e le «esperienze» di beatitudine –, l’autore parla del «canto nuovo» delle beatitudini: «Se Matteo le colloca nel quadro più solenne e ieratico del monte, quale memoria della teofania sinaitica, Luca le situa a valle, nello spazio della quotidianità e dell’incrociarsi delle strade degli uomini» (p. 126). Matteo usa la terza persona, dal tenore più universale, mentre Luca esprime le beatitudini in un discorso diretto, alla seconda persona plurale.
L’autore sottolinea che «la novità dei macarismi evangelici non consiste tanto nella formula di beatitudine, dato che si tratta di un’eredità accolta, né dalla scelta dei soggetti (anche l’Antico Testamento dipinge qua e là il ritratto del povero, dell’afflitto, del mite, del giusto, del misericordioso, del puro, del pacificatore, del perseguitato): il passaggio dalla prima alla nuova alleanza sta, piuttosto, nelle cause di quella beatitudine» (p. 131). La cosa inedita è l’annuncio di Dio che interviene per curare le ferite degli ultimi, e l’annuncio del Regno quale nota dominante, accentuata dall’inclusione fra il primo e l’ottavo macarismo: «perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3.10).
Il Discorso della montagna ci consegna il ritratto dei diversi volti della beatitudine: il sorriso del mite, la compassione del misericordioso, la trasparenza del puro, la tenacia del pacificatore. «Come in uno specchio, nei macarismi leggiamo il riflesso del volto di Cristo» (p. 147), che passa in rassegna la mitezza, la misericordia, la purezza e la pace.
«Beati i poveri…» (Mt 5,3) è il celebre avvio della serie dei macarismi del Discorso della montagna. «La povertà – afferma l’autore – è l’autentica palestra della libertà» (p. 204), che ci libera dalle ansie del possesso e dell’accumulo, scava un vuoto che può diventare spazio accogliente per la presenza di Dio e luogo di recettività per il suo dono. La gioia resta l’orizzonte verso cui camminiamo, tenendo presente che non c’è beatitudine senza il corpo. Ciascuno, spiega Borsotti, può fare l’esperienza della beatitudine percorrendo la via dei sensi, che dischiude l’accesso al «senso del vivere».
EMANUELE BORSOTTI
Una gioia provata. Il cammino delle beatitudini
Magnano (Bi), Qiqajon, 2019, 326, € 25,00.