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Il libro affronta il rapporto tra morte ed eternità, una questione che l’uomo si pone da sempre, dando la parola ai molteplici saperi che si sono occupati del tema: alcuni di essi con una lunga tradizione alle spalle, altri che solo di recente sono entrati in merito al dibattito, dando un tono inedito alle questioni sul fine vita. Domande che interpellano la morale, la spiritualità, ma anche la psicologia, la medicina, le neuroscienze e quel grappolo di discipline che confluiscono nella corrente trans e postumanista, mirante a promettere l’immortalità terrena, ma nello stesso rivoluzionando l’idea stessa di essere umano e del confine tra vita e morte.
Oggi sempre di più, grazie alle moderne tecnologie di neuroimaging, si può accertare una forma di percezione cosciente nella persona in stato vegetativo. Inoltre, lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, delle nanotecnologie e dei cyborg fa sì che molte attività che in passato erano proprie dell’uomo oggi vengano realizzate in maniera molto più precisa ed efficiente dai robot. Ciò ripropone problemi antropologici da sempre dibattuti, come la natura dell’intelligenza e della coscienza umana, e le sue relazioni con il cervello: l’intelligenza e la coscienza sono un prodotto del cervello? O hanno una loro peculiarità a esso irriducibile? Ritorna il tema filosofico classico, e oggi molto attuale nelle neuroscienze, del rapporto/distinzione/identità tra mente e corpo.
L’affermarsi delle nuove discipline pone tuttavia nuovi quesiti di carattere etico, dal momento che presentano situazioni inedite che interpellano la coscienza morale: si pensi al riconoscimento dei diritti del paziente, del consenso informato e al dovere di rispettarlo, come la necessità di stabilire legittimi limiti alle tecnoscienze riguardo alla modificazione della natura umana.
A tali complesse e delicate questioni, a cui viene dedicata la prima parte del libro, si aggiungono inevitabilmente quelle sulla possibile immortalità dell’essere umano, i cui molteplici significati risultano altrettanto diversificati e complessi. Una di esse è la reincarnazione, ritornata in auge dalla proposta di New Age. A essa vengono avanzate tre obiezioni: 1) la profonda unità tra spirito e corpo rende impossibile assumere una serie qualsivoglia di sembianze umane, e ancor più vegetali o inanimate; 2) la totale assenza di memoria delle vite precedenti smentisce il carattere di continuità dell’anima e l’esigenza stessa di purificazione che è alla base della reincarnazione; 3) poiché questa proposta presuppone un’antropologia dualista, dove il corpo è il carcere dell’anima (Platone), un ostacolo alle sue potenzialità, verrebbe a cadere lo scopo stesso di una vita nel corpo.
La prospettiva di una vita dopo la morte risponde piuttosto a precise esigenze proprie della vita terrena, come l’attuazione della giustizia e la richiesta, presente in ogni essere umano, di dare compimento ai propri desideri più profondi, tra i quali quello di amare e di una vita piena («La natura non presenta aspirazioni vane», si nota a p. 231, riprendendo san Tommaso d’Aquino), ed è anche un’esigenza dell’ordine morale naturale, che «nessuno può raggiungere in modo perfetto; dunque, solo attraverso l’immortalità viene garantita la possibilità della “santità” e del compimento della perfezione» (p. 234). Si tratta quindi di un salto qualitativo che il mero prolungamento della vita terrena della persona, reso idealmente possibile dall’innovazione tecnica o attraverso una narrativa digitale che transcodifica il suo corpo, per quanto idealmente indefinito, non è in grado di conseguire.
La prospettiva di una immortalità pone tuttavia a sua volta altri problemi di carattere antropologico che sono oggetto dell’ultima parte del libro. Se l’uomo è spirito incarnato, trova certamente significato la prospettiva della risurrezione della carne; tuttavia, nel tempo intermedio tra questi due eventi, la separazione dal corpo può essere considerata una sia pur momentanea menomazione? Su tale questione si riportano varie risposte possibili, una delle quali, particolarmente suggestiva, è quella di De Finance: egli, individuando giustamente nella relazione la caratteristica peculiare dell’essere, nota che tale relazione – anche la relazione con il corpo defunto – non è annullata, ma presente «sotto il modo dell’assenza e della privazione» (p. 251).