Il libro che presentiamo, C’era una volta in America. Storia del cinema italiano negli Stati Uniti, 1946-2000[1], di Damiano Garofalo, percorre la storia dell’affermazione del cinema italiano negli Stati Uniti d’America, Paese che, mediante le premiazioni e l’importanza della critica cinematografica, costituisce un validissimo biglietto da visita di portata internazionale. L’opera di Garofalo, che per il suo intento può benissimo essere considerata divulgativa, fa riferimento a importanti studi e ricerche a livello universitario. La completezza degli studi comprende, oltre alla recezione dei film da parte del pubblico, i giudizi della critica, gli aspetti economici, fino al cinema dei nostri giorni e al suo rapporto con la televisione e i media. Se nella nostra trattazione ci occuperemo quasi esclusivamente dei primi due aspetti, non dimenticheremo gli altri, perché il volume, molto ricco di notizie, può essere proposto anche come testo universitario.
«Roma città aperta»
Il primo film a farsi conoscere e apprezzare del cinema italiano in America risale all’immediato dopoguerra, successivamente al periodo fascista. Si tratta di Roma città aperta (1945), di Roberto Rossellini, ambientato nell’ultimo periodo dell’occupazione nazista. In particolare, esso presenta uno spaccato di vita della Città eterna in quei terribili frangenti: rastrellamenti di civili, torture di partigiani, esecuzioni sommarie di oppositori.
Parlare di questo film ci consente di ricordare Anna Magnani, scomparsa il 26 settembre 1973. Chi scrive, romano, può testimoniare che, oltre ai meriti che la fanno ritenere a tutt’oggi come la migliore attrice italiana di sempre, quella che è passata alla storia anche con il nomignolo di «Nannarella»[2] era così radicata nella vita ordinaria, che veniva considerata come una conoscente comune, abitando a Palazzo Altieri, a fianco della Chiesa del Gesù e avendo l’abitudine quotidiana di sfamare i gatti della zona, specie quelli di Largo Argentina. Anna cercava di difendere la sua privacy con un paio di occhiali scuri e con il consueto completo nero, ma così era ancora più facile riconoscerla e renderla oggetto del saluto di tutti.
La copertina del volume.
Quando fu girata la scena madre di Roma città aperta, in cui una giovane donna, Pina, tenta disperatamente di fermare il camion che le sta portando via il marito Francesco e viene falciata da una raffica di mitra sparata da un soldato tedesco, la discreta folla che seguiva le riprese, come se stesse assistendo a una storia vera, mormorò o gridò all’unisono: «L’hanno uccisa, l’hanno uccisa!».
La verità espressiva del film sconvolse moltissimo il pubblico
Contenuto riservato agli abbonati
Vuoi continuare a leggere questo contenuto?
Clicca quioppure
Acquista il quaderno cartaceoAbbonati
Per leggere questo contenuto devi essere abbonato a La Civiltà Cattolica. Scegli subito tra i nostri abbonamenti quello che fa al caso tuo.
Scegli l'abbonamento