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Paul Auster, classe 1947, è tra gli scrittori più noti e apprezzati della scena letteraria internazionale. Fino al 1980 si dedica quasi esclusivamente alla poesia, componendo quattro raccolte di versi[1]. A partire dal 1982, all’età di 35 anni, i suoi interessi si spostano sulla narrativa. Il primo frutto di questa nuova declinazione della sua scrittura è il saggio autobiografico L’invenzione della solitudine, che raccoglie due scritti distinti e speculari: Il ritratto di un uomo invisibile e Il libro della memoria[2]. Dello stesso anno è il poliziesco Squeeze play («Gioco omicida»), firmato con lo pseudonimo di Paul Benjamin[3].
Nel 1987 arriva il successo e il riconoscimento da parte del grande pubblico con Trilogia di New York, che per Auster segna il definitivo allontanamento dello spettro delle ristrettezze economiche. Lo scrittore ha 40 anni. A partire dalla Trilogia prende avvio una feconda carriera di narratore, saggista, sceneggiatore e regista, fino ai suoi ultimi lavori: Ragazzo in fiamme. Vita e opere di Stephen Crane, ponderosa biografia dello scrittore morto ventinovenne nel 1900, figura importante della letteratura statunitense del XIX secolo[4]; e il romanzo Baumgartner[5] – uscito in Italia e negli Stati Uniti in contemporanea il 21 novembre 2023 –, una storia piena di nostalgia e di elaborazione del lutto di uno scrittore che la morte improvvisa della moglie Anna ha trasformato in uno «storpio spirituale», affetto da quella che lui chiama «sindrome della persona fantasma», calco della più nota «sindrome dell’arto fantasma»[6].
Tra queste due date (1982-2023) intercorrono altri 40 anni di vita, tempo fecondo di una quantità di scritti di cui sarebbe difficile rendere ragione, vista la poliedricità eclettica dello scrittore. Molti i successi: considerando solo il settore della pura narrativa, ricordiamo, tra gli altri: Nel paese delle ultime cose; Moon Palace; La musica del caso; Leviatano; Mr Vertigo; Timbuctù; Il libro delle illusioni; Follie di Brooklyn; Invisibile; Sunset Park; 4 3 2 1.
Di fronte a una produzione così vasta e alla molteplicità dei temi affrontati da Auster, siamo chiamati a una necessaria selezione, che sappiamo già in partenza arbitraria e contestabile; non ce ne vogliano gli appassionati dello scrittore statunitense. In modo succinto tenteremo di abbozzare alcune riflessioni, enucleando alcune aree tematiche rilevanti all’interno della scrittura di Auster.
Il caso
«Cominciò con un numero sbagliato, tre squilli di telefono nel cuore della notte e la voce all’apparecchio che chiedeva di qualcuno che non era lui. Molto tempo dopo, quando fu in grado di pensare a ciò che gli era accaduto, avrebbe concluso che nulla era reale tranne il caso»[7].
Nelle storie di Auster il caso svolge un ruolo fondamentale[8]: magnetismo cosmico[9], castigo cosmico[10], crudeltà degli dèi[11]. Talvolta benevola, talvolta spietata, la casualità di alcune svolte della vita ne segna comunque il corso. Auster, ebreo ateo[12], esclude dalle vicende dell’esistenza la presenza di un’intenzionalità divina o trascendentale benevola, che accompagna le vite degli esseri umani. Non è neppure il caso di parlare di tychē greca, come necessità che si impone alle esistenze individuali e che è il nucleo drammatico della tragedia greca. L’uomo è colpevole anche quando è innocente, perché altre volontà più forti e più grandi della sua – quella degli dèi crudeli, capricciosi o solo infantili – hanno deciso per lui, come nel caso paradigmatico di Edipo, patricida e amante incestuoso «innocente».
Il caso non si sostituisce alla libertà umana, né emerge l’immagine dell’uomo burattino. Quel che piuttosto conta è la consapevolezza amara e disillusa che il corso della propria vita è determinato da fattori marginali, imponderabili, che costituiscono vere e proprie svolte[13]. «In generale le vite sembrano sterzare bruscamente da un punto all’altro, urtare e sobbalzare, dimenarsi. Una persona prende una direzione, poi a metà strada svolta di colpo, si impantana, scarroccia, riparte. Niente è mai noto, e inevitabilmente giungiamo a una meta completamente diversa da quella verso cui eravamo partiti»[14]. Il caso è il protagonista invisibile delle vicende: non regista, non demiurgo, ma piuttosto radicale e ineliminabile fattore di alea della vita. «A conti fatti, la vita si riduce a una somma di incontri fortuiti, di coincidenze, di fatti casuali che non rivelano altro che la loro mancanza di scopo»[15]. Il ruolo di convitato di pietra assegnato al caso toglie direzione e finalità alla vita, e la constatazione amara che «le vite degli uomini non hanno senso»[16] appare inevitabile.
L’incipit di Città di vetro è allora una vera e propria dichiarazione di poetica, alla quale Auster è rimasto fedele lungo tutto l’arco della sua vita di scrittore. Può trattarsi della scelta di una strada secondaria[17], di un annuncio trovato sulla bacheca universitaria[18], di un’agenda trovata per strada («Vide una piccola rubrica nera in terra e la raccolse. Fu questo l’avvenimento che diede inizio a tutta la sventurata storia»[19]), di una fuga dalla polizia[20], di una bruciatura[21], di un colpo di sonno[22], di un pentolino bruciato lasciato sul fuoco[23].
La teorizzazione più completa del ruolo del caso lo scrittore la compie nelle pagine finali di 4 3 2 1, che trasfigura il racconto in barzelletta, elevandolo a cosmico humor nero; o la barzelletta come avvio del racconto, secondo lo spirito yiddish. Non lo possiamo citare, pena lo svelare una chiave di lettura fondamentale del romanzo fiume dello scrittore, in bilico tra realtà e finzione, biografia e autobiografie, possibilità e realtà.
Interessante è la rilettura che Calvino compie del racconto di Borges Il giardino dei sentieri che si biforcano, che ci sembra essere ispiratore di molte pagine di Auster[24]: «Questo racconto di spionaggio include un altro racconto, in cui il suspense è di tipo logico-metafisico e l’ambiente è cinese: si tratta della ricerca di un labirinto. In questo racconto è inclusa a sua volta la descrizione di un sterminato romanzo cinese. Ma ciò che più conta di questo composito gomitolo narrativo è la meditazione filosofica sul tempo che vi si svolge, anzi le definizioni delle concezioni del tempo che vi vengono successivamente enunciate […]. Questa idea d’infiniti universi contemporanei in cui tutte le possibilità vengano realizzate in tutte le combinazioni possibili non è una digressione del racconto, ma la condizione stessa perché il protagonista si senta autorizzato a compiere il delitto assurdo e abominevole che la sua missione spionistica gli impone, sicuro che ciò avviene solo in uno degli universi ma non negli altri, anzi, che compiendolo qui e ora, egli e la sua vittima possano riconoscersi amici e fratelli in altri universi. Una tale concezione del tempo plurimo è cara a Borges perché è quella che regna nella letteratura, anzi, è la condizione che rende la letteratura possibile»[25].
Perdersi, fallimento, minaccia incombente
Una siffatta visione porta con sé alcuni addentellati. Un tema molto presente nella produzione di Auster è quello del perdersi, del fallimento, della minaccia incombente. «Non possiamo affermare con certezza cosa sia accaduto a Quinn in tale periodo, poiché fu proprio allora che cominciò a smarrirsi»[26]. I personaggi dello scrittore si perdono quando non trovano più una direzione di senso nella loro vita, quando le strade professionali ed esistenziali prese conducono verso un abisso di vuoto: «Ora capisco che già quel primo giorno ero scivolato in una voragine, che cadevo verso un luogo dove non ero mai stato prima»[27].
Perdersi vuol dire anche esaurire le energie, la visione del futuro, i progetti e la possibilità di esplorare la vita, lottare, vincere, cadere e rialzarsi: «Era giunto alla fine di se stesso. Adesso lo sentiva, era come se in lui si fosse manifestata una grande verità. Non restava più niente. […] La casa era perduta, lui era perduto, era perduto tutto»[28]. I personaggi vagano senza direzione, si ritrovano in luoghi che non riconoscono, o si rendono conto che le scelte compiute sono state autodistruttive, perché hanno preso lo spazio della loro felicità, come accade a Blue che, incontrando dopo mesi la fidanzata non più contattata, si rende conto che «il mondo gli crolla addosso […] si rende conto di aver buttato via la propria vita»[29].
Ci si perde, anche perché non si è capaci di imboccare decisamente la strada che porta sui propri passi, perché non si è capaci di opporre un netto rifiuto. Ci si perde, perché si è vinti dall’adulazione, dalla sottile persuasione, dai sofismi interiori: «E appena cominciai a chiedermelo, fui perduto […]. Fu così che successe. Soccombetti all’adulazione di un uomo che non era presente, e in quel momento di debolezza accettai»[30]. Auster, ateo, trova parole sottili per cogliere e descrivere alcune dinamiche distruttive nella vita spirituale.
Nel romanzo Leviatano, il protagonista Ben Sachs si perde in un bosco[31]. La situazione – che rimanda a tante favole che raccontano di principesse e principi, eroi ed eroine che escono dai sentieri e si smarriscono tra il folto degli alberi, oppure ai versi più famosi di Dante: Nel mezzo del cammin di nostra vita / mi ritrovai per una selva oscura, / ché la diritta via era smarrita – assume tratti simbolici spiccati. Ritrovata una strada sterrata, dopo una notte passata all’addiaccio, per il giovane scrittore, che il giorno prima era uscito solo per fare una passeggiata, niente sarà più come prima. La situazione del perdersi nel bosco ritorna ancora nell’ultimo romanzo, Baumgartner[32], per il suo personaggio principale, Seymour Baumgartner, e prelude a una svolta molto importante nella sua esistenza.
Figure ricorrenti nei romanzi di Auster, personificazioni viventi di perdita di direzione nella vita, di sbando e di fallimento sono i barboni. I romanzi della Trilogia sono accomunati da questa ricorrenza: per portare a termine l’incarico assunto, Quinn comincia a vivere in un vicolo, per non perdere di vista la casa sorvegliata; Blue esce di casa, e di lui non si sa più nulla; Fanshawe conduce per anni una vita raminga e si punisce chiudendosi in una stanza, come taluni personaggi dei racconti dell’orrore di Edgard Allan Poe, autore amato da Auster.
Nel paese delle ultime cose, il romanzo distopico dello scrittore[33], l’intera umanità è ridotta a vivere come una folla di barboni, sopravvivendo con i rifiuti e le macerie di un mondo letteralmente in disfacimento. Le file di poveri che attendono davanti a Casa Woburn sono interminabili.
In Moon Palace, Marco Stanley Fogg vive un periodo di svariati mesi come barbone, in Central Park, al centro di Manhattan, esposto a incontri imprevisti, a volte benevoli, a volte minacciosi. Mangia rifiuti commestibili trovati nei bidoni della spazzatura, ed è la carità improvvisa delle persone che lo salva ogni volta che tocca il fondo.
In Leviatano,il tema del fallimento è invece espresso dall’immagine della caduta. Determinante è quella di Ben da una scala antincendio, durante i festeggiamenti del 4 luglio 1986. Si tratta di un incidente. La dinamica stessa del fatto è immagine della «catena cieca» del caso: una ragazza, a cui si è incastrato il tacco della scarpa nella passerella di ferro, spinge casualmente Mary Turner, che a sua volta fa perdere l’equilibrio a Sachs. Mary Turner è Maria, «che fa girare» o «che fa ruotare», donna del destino segnato nel nome stesso: «lo spirito sovrano del caso, come la dea imprevedibile»[34]. La caduta, fortunatamente senza conseguenze fisiche, costituirà invece, dal punto di vista interiore, un decisivo scossone per l’equilibrio di vita di Ben.
Anche nell’ultimo romanzo Baumgartner,una caduta dalle scale che portano nel seminterrato di casa rappresenterà per il personaggio un momento di «svolta», uno stop che costringe Seymour a uscire da un’ipnotica quotidianità e, bloccandolo a letto, lo costringe a fare il punto della situazione. Mentre si trova in questa condizione, gli accade di vivere il sogno della moglie morta, che costituisce per lui lo sblocco della situazione di impasse interiore che lo tiene bloccato da anni. In questo ultimo romanzo la caduta assume una valenza positiva.
Il senso della minaccia incombente è l’altro segnale della visione pessimistica di Auster, che nel finale di Follie di Brooklyn retroillumina le vicende fino a quel punto raccontate. La frase finale della storia, sulle labbra di Nathan, ha un sapore amarissimo: «Ma per adesso erano le otto, e mentre camminavo lungo il viale sotto quello splendido cielo azzurro ero felice, amici miei, l’uomo più felice che sia mai vissuto»[35].
Gli autori cari
Auster, «animale» letterario per eccellenza, ha alcuni autori preferiti, a cui si riferisce di frequente. In cima alla lista vi è senz’altro Cervantes con Don Chisciotte[36], che viene evocato in molti romanzi e che viene considerato uno dei grandi precursori della sensibilità postmoderna. Altri autori spesso richiamati sono Thoreau[37], Poe[38], Hawthorne[39], Emerson[40] e Melville. Un posto di riguardo è riservato a Borges, a cui lo scrittore non può non pensare per quanto riguarda il tema del labirinto, immagine che traduce visivamente la concezione della vita di Auster. Ritroviamo un richiamo a Borges anche rispetto al tema del doppio nei due anziani Peter e Virginia Stillman, che escono dalla stazione dei treni, e Quinn deve decidere chi dei due seguire. Ci sembra un indiretto omaggio allo scrittore argentino il personaggio di Effing, cieco, coltissimo, dalla memoria prodigiosa, una sorta di versione rancorosa e arrabbiata di Borges. Un richiamo esplicito allo scrittore argentino invece si ha in 4 3 2 1, quando il professor Nagel della Columbia University commenta così lo scritto del giovane Archie: «Si vede che hai letto Borges, da cui hai imparato qualche lezione su come percorrere quello che chiamerei il crinale tra la narrativa e la prosa speculativa»[41]. Tra le opere italiane, oltre all’immancabile Divina Commedia di Dante, vengono citate La coscienza di Zeno e Senilità di Italo Svevo[42], il Milione di Marco Polo[43], che ispira persino il nome del protagonista di Moon Palace. È evocato anche Il fu Mattia Pascal di Pirandello, sia nel personaggio di Fanshawe de La stanza chiusa, sia nelle figure di Julian Barber e di Thomas Effing di Moon Palace. Infine, viene ricordato il Palomar di Calvino,nell’esercizio di osservazione della realtà, nello sforzo che MS compie per raccontare al cieco Effing ciò che vede.
La lunga citazione che segue, a detta dello stesso Auster, è una pagina di «pratica letteraria» e di consegna per un compito di «scrittura creativa», che Auster ha insegnato per un paio di anni: «I miei primi tentativi con Effing furono mestamente vaghi, mere ombre aleggianti su uno sfondo confuso. Sono tutte cose che ho già visto, mi dicevo, come può essere che risulti difficile descriverle? Un idrante antincendio, un taxi, un fiotto di vapore che emerge dal selciato: tutte cose che mi erano profondamente familiari, che pensavo di conoscere a memoria. Invece non mettevo in conto la mutevolezza di simili cose, il modo in cui esse cambiano con l’angolazione della luce, come il loro aspetto può venire alterato dagli eventi circostanti: il passaggio di una persona, un’improvvisa folata di vento, un riflesso strano. Tutto è in costante flusso: per quanto possano assomigliare fortemente l’uno all’altro, due mattoni dello stesso muro non potranno mai essere costruiti in maniera identica»[44].
Per MS (alias Paul Auster) bisogna procedere per sottrazione. Il risultato viene raggiunto non accumulando parole, ma eliminandole. C’è un che di artificioso nelle parole. Esse separano dietro un velo di astrazioni, mentre ciò che esiste è «particolare», è il dettaglio nel dettaglio. «Il problema risiedeva tuttavia non tanto nel modo in cui porgevo le diverse cose, quanto in generale nell’approccio con cui mi accostavo a esse. Ammucchiavo troppe parole le une sulle altre, così che esse non svelavano l’oggetto che avevamo davanti, rendendolo in realtà oscuro, seppellendolo sotto una valanga di arzigogoli e astrazioni geometriche»[45].
Si tratta del ruolo fondamentale del lettore, che completa l’opera, aggiungendo e integrando il testo scritto. Il cieco Effing è immagine incarnata del lettore, che subisce l’opera, ma coopera per la sua esistenza. Vi è un valore morale della letteratura che produce effetti nella vita reale, ma ciò può accadere solo se il lettore è interpellato: «Scoprii che quanto più alone lasciavo attorno a una cosa, tanto più felici erano i risultati, poiché ciò consentiva a Effing di provvedere da sé alla parte fondamentale del lavoro, ovvero a elaborare un’immagine sulla base di pochi suggerimenti, a sentire la mente procedere verso la cosa che gli stavo descrivendo»[46].
I podcast de “La Civiltà Cattolica” | LA VIOLENZA CONTRO LE DONNE
Da parecchio tempo, le cronache italiane sono colme di delitti perpetrati contro le donne. Il fenomeno riguarda tutte le età e condizioni sociali, tanto da sembrare endemico nella nostra società. A questo tema è dedicato un episodio monografico di Ipertesti Focus, il podcast de «La Civiltà Cattolica».
Auster sembra conoscere persino gli Esercizi spirituali di sant’Ignazio, quando il vecchio autoritario fornisce alcune indicazioni molto dettagliate per l’osservazione di un quadro, Chiaro di luna[47], titolo in sintonia con quello del romanzo stesso. Nelle istruzioni che Effing fornisce a MS ritroviamo l’attenzione ai dettagli di preparazione, fedeltà al tempo, immersione nella scena e rilettura dell’esperienza che sono propri della contemplazione ignaziana[48].
I nomi dei personaggi e alcuni tratti metaletterari
Un aspetto che ci sembra peculiare dello stile di Auster sono i nomi dei personaggi[49] delle sue storie e il loro ricorrere in varie opere. Senza alcun intento esaustivo, citiamo alcuni esempi. «Stillman» (in italiano, letteralmente: «Ancora uomo») è il cognome del giovane uomo che Daniel Quinn deve proteggere. Sopravvissuto ad anni di isolamento, chiuso in una stanza, per l’esperimento folle del padre studioso di linguaggio, Peter ne è uscito con danni motori e mentali. La sua condizione psicofisica e il cognome che porta creano un interessante cortocircuito. Dei nomi «William», «Wilson» e «Fanshawe» abbiamo già detto. La storia di Anna Blume alla ricerca del fratello William è ripresa en passant nel romanzo successivo Moon Palace, dove «Anna» è il nome della fidanzata di David Zimmer scomparsa nel nulla[50]. Anna ritorna poi in Viaggi nello scriptorium e soprattutto nell’ultimo romanzo, Baumgartner, nel quale è la moglie scomparsa del protagonista. Auster ha dichiarato, in Una vita in parole, che Anna Blume è il personaggio femminile per lui più caro e importante.
Lo scrittore scherza con i propri lettori anche in 4 3 2 1, in un passaggio nel quale si diverte a inserire, in una presunta redazione della Columbia Reviews, quali redattori, David Zimmer, Daniel Quinn, Jim Freeman, Adam Walker e Peter Aaron, ossia i nomi dei protagonisti dei suoi stessi libri.
Vi sarebbero molti altri aspetti che potrebbero essere ricordati, quali la densità della riflessione metaletteraria dei primi scritti di Auster, tanto da essere divenuto, con Trilogia di New York, un autore di culto per gli studi di narratologia e poststrutturalisti. Una citazione per tutte: in Città di vetro, lo scrittore reale Auster fa incontrare il personaggio principale – che si spaccia per Paul Auster l’investigatore –con il personaggio secondario Paul Auster, scrittore nel mondo del libro. Affascinante gioco e incastro di scatole cinesi che pongono la questione su chi sia l’autore, sul ruolo dello scrittore, sul tema dell’identità: chi è chi?
Spesso i finali spiazzano, perché rimandano all’interno della storia stessa. Il libro-mondo non fa uscire il lettore, ma lo risospinge all’interno. Il caso più evidente lo ritroviamo ancora in Trilogia di New York, dove è centrale il ruolo di un taccuino rosso, che alla fine del primo romanzo scopriamo contenere o essere la storia del romanzo stesso. Auster non si accontenta, e fa ritornare il taccuino nel finale de La stanza chiusa, come lascito di Fanshawe all’amico, con la rivelazione che quel taccuino in realtà contiene tutte e tre le storie sino a quel punto raccontate, e che Fanshawe quindi ne è l’autore.
Una soluzione analoga si trova nel finale del romanzo Nel paese delle ultime cose, in cui si scopre che il libro è una lunga lettera inviata da Anna a una persona cara, sconosciuta: è forse il lettore stesso, che l’ha seguita fino a quel momento?
Più giocosa e meno inquietante è la scelta dello scrittore di far coincidere il titolo del romanzo Follie di Brooklyn con quello delle memorie del suo personaggio principale, che raccoglie casi strani e incidenti, calembour, gaffe o figuracce vissute nell’arco della sua vita. Gioco di coincidenze che ad un certo punto pone la questione: quali sono le follie di Brooklyn? Quelle raccontate da Nathan? quelle lette nel romanzo? L’accenno di un evento – che non sveliamo – nel finale approfondisce ulteriormente la questione: le follie sono quelle della vita reale e come tali non possono stare dentro la storia, ma possono essere solo evocate? Al lettore il compito di rispondere a questa domanda.
In 4 3 2 1 il finale è geniale, giacché pone la questione se la barzelletta raccontata sia l’origine della storia e insinua il dubbio che tutto il racconto sia in fondo un’amara barzelletta, dove fine e inizio coincidono e forse il vero punto di partenza sta alla fine.
La funzione dell’arte e il linguaggio
In Moon Palace, Effing, che in gioventù era stato pittore, racconta al giovane MS la pienezza artistica raggiunta nel deserto, dove ha trovato rifugio per quasi un anno, in una caverna e presso un’oasi. «Scoprì che la vera finalità dell’arte non è creare oggetti belli. Essa è piuttosto una tecnica conoscitiva, un modo per indagare più a fondo la realtà fino a individuarvi il proprio ruolo. Quali che siano i valori artistici di una singola tela, essi costituiscono quasi un sottoprodotto casuale dell’impegno nello sforzo di arrivare al cuore delle cose […] Come conseguenza, non ebbe più paura del vuoto che lo circondava»[51]. L’arte è vista come momento di liberazione interiore, come momento di grazia ed estasi che viene dopo ascesi e disciplina, ma la comprensione del sottile equilibrio tra queste due dimensioni è dono, è grazia che abilita, che permette a Effing di stare davanti all’orizzonte e nel vuoto senza paura di perdersi.
A proposito del linguaggio, la riflessione ne tocca le origini e le funzioni. Lo scrittore sembra affascinato dalle antiche ricerche della lingua originaria, della lingua di Dio e della condizione preadamitica. In Città di vetro,vi è una sezione di alcune pagine[52] in cui Auster riporta la storia dei tentativi compiuti per trovarla, dall’antico Egitto fino al caso di Kaspar Hauser del 1828. È interessante notare che lo stesso caso viene raccontato nell’ultimo romanzo 4 3 2 1, e che in quel contesto più maturo lo scrittore faccia dire ad Archie che il mito del giovane cresciuto dai lupi, dell’uomo di Rousseau allo stato di natura, in realtà è stata tutta una montatura.
Auster ha una visione corporea del linguaggio. Per lui la scrittura è un atto del corpo, come si vede nell’impressionante descrizione di Stillman figlio in Città di vetro. Questa concezione viene teorizzata dall’autore in Diario d’inverno con queste parole: «Per fare quello che fai hai bisogno di camminare. È camminare che ti porta le parole, che ti permette di sentire il ritmo delle parole mentre le scrivi nella tua mente […]. Scrivere incomincia nel corpo, è la musica del corpo, e anche se le parole hanno significato, possono a volte avere significato, è nella musica delle parole che i significati hanno inizio»[53].
Conclusioni
Nella breve presentazione di Auster che abbiamo fatto emergono la ricchezza e la complessità dei temi che questo scrittore ha sviluppato nel suo viaggio umano e letterario. Possiamo dire, senza tema d’essere smentiti, che egli nei suoi romanzi crea un mondo. Nei 35 anni dal 1987 al 2023, Auster ha investigato, smontato e ricomposto storie e trame con volti e personaggi molteplici, dietro ai quali spesso rintracciamo l’autore stesso, per l’uso di luoghi, episodi e situazioni personali, pezzi della sua vita «imprestati» ai personaggi, al punto che oggi possiamo chiederci se il corpus delle sue opere non ci restituisca in fondo il volto dello scrittore, composto delle tessere di ogni storia e pagina scritta da lui stesso. Raccontare di altri per trovare sé stesso è il senso della frammentarietà tutta postmoderna. È un compito in fondo inesauribile, perché Auster è mosso dalla convinzione che tra il mondo e la parola esiste una frattura[54], una distanza che non potrà mai essere colmata. Le parole sono uno strumento insufficiente e al tempo stesso unico. Come il mondo, anche le persone sono un mistero inattingibile. Consapevole di questo, Auster afferma che scrivere è un compito destinato a fallire, ma, citando Beckett, aggiunge: «Fallire ancora, fallire meglio».
«Mi resi conto che non avevo mai acquisito l’abitudine a guardare le cose con attenzione, e che di conseguenza, ora che mi era richiesto, i risultati erano spaventosamente insufficienti. Fino ad allora avevo avuto la tendenza a generalizzare, a cogliere le similitudini esistenti tra le diverse cose piuttosto che le loro differenze. Ora invece venivo sprofondato in un mondo di particolari, e la fatica di farli apparire a parole, di evocare i dati immediatamente sensibili, costituiva una sfida cui ero impreparato»[55].
Lo sguardo che Auster cerca – da buon fenomenologo quale si rivela e nasconde nel personaggio di Seymour Baumgartner, scrittore che ha alle sue spalle un dottorato su Merleau Ponty – sembra assomigliare a quello di Dio, che sostiene la creazione nella sua molteplice varietà: uno sguardo che «lascia che le cose siano come sono».
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[1]. Due raccolte successive del 1988 e del 1990 sono sillogi di poesie selezionate.
[2]. Il ritratto di un uomo invisibile nasce sull’onda delle emozioni scaturite dopo la morte improvvisa del padre, stroncato da un infarto. È la meditazione sui difficili rapporti di Paul con la figura paterna, uomo chiuso e distante in famiglia, estroverso e aperto in società. Auster presterà i tratti paterni a una delle versioni possibili del personaggio di Stanley Ferguson, padre di Archibald Ferguson, protagonista del suo ultimo romanzo 4 3 2 1. Il secondo scritto, Il libro della memoria, riguarda il ruolo dello stesso scrittore come padre ed è una riflessione sugli effetti che il suo lavoro di scrittore, necessariamente solitario, avrà sulla relazione con il figlio David. Altri scritti biografici sono Sbarcare il lunario: cronaca di un iniziale fallimento; Esperimento di verità; Diario d’inverno; Notizie dall’interno.
[3]. La genesi di questo romanzo è raccontata in modo brillante nell’altro scritto biografico Sbarcare il lunario, del 1997, in cui lo scrittore racconta il periodo della sua vita tra i 30 e i 35 anni, segnato da gravi problemi economici.
[4]. Stephen Crane e Auster condividono la stessa città natale: Newark, nel New Jersey.
[5]. Cfr P. Auster, Baumgartner, Torino, Einaudi, 2003.
[6]. Cfr ivi, 20 s; 43.
[7] . Id., Città di vetro, in Trilogia di New York, Torino, Einaudi, 2014, 5.
[8] . Il caso costituisce un tema importante di tutta la letteratura postmodernista, motivo per cui Auster viene ascritto a questa corrente e sensibilità letteraria.
[9] . Cfr Id., Leviatano, Torino, Einaudi, 2003, 258.
[10]. Cfr Id., Moon Palace, ivi, 1997, 204.
[11]. Cfr ivi, 326.
[12]. Del proprio ateismo Auster parla in Una vita in parole. Dialogo con I. B. Siegumfeldt, Torino, Einaudi, 2019, 188 s.
[13]. Cfr Id., Moon Palace, cit., 89.
[14]. Id., La stanza chiusa, in Trilogia di New York, cit., 252. In quella pagina lo scrittore racconta la vita di Lorenzo Da Ponte, il celebre librettista delle tre famose opere musicate da Mozart. Nato a Vittorio Veneto nel 1749 e morto a New York nel 1838, egli fu uno dei primi italiani a essere seppellito nel Nuovo Mondo.
[15]. Ivi, 219.
[16]. Ivi, 253.
[17]. Come avviene nei romanzi Leviatano e Le follie di Brooklyn.
[18]. Cfr Id., Moon Palace, cit., 107.
[19]. Id., Leviatano, cit., 78.
[20]. Cfr Id., Nel paese delle ultime cose, Torino, Einaudi, 2018, 84.
[21]. Cfr Id., Moon Palace, cit., 166,
[22]. Cfr Id., 4 3 2 1, Torino, Einaudi, 2017, 86 s.
[23]. Cfr Id., Baumgartner, cit., 42.
[24]. Questo racconto di Borges, del 1941, è considerato una delle opere che segnano l’esordio della corrente letteraria postmodernista.
[25]. I. Calvino, «Borges», in Saggi, vol. 1, Milano, Mondadori, 2001, 1298 s. Cfr D. Mattei, «Multiverso e letteratura», in Civ. Catt. 2023 IV 294-299.
[26]. P. Auster, Città di vetro, cit., 119.
[27]. Id., La stanza chiusa, cit., 205.
[28]. Id., Città di vetro, cit., 131.
[29]. Id., «Fantasmi», in Trilogia di New York, cit., 168 s.
[30]. Id., La stanza chiusa, cit., 210.
[31]. Cfr Id., Leviatano, cit., 172-174.
[32]. Cfr Id., Baumgartner, cit., 152 s.
[33]. Per molti critici, questo libro compie un’incursione nel genere fantascientifico postapocalittico, secondo le atmosfere di Ghiaccio nove di Kurt Vonnegut e de La strada di Cormac McCarthy. Nel libro-intervista con I. B. Siegumfeldt, Auster invece dichiara di essersi ispirato alla New York degli anni Settanta, che rappresentò uno dei momenti di maggiore degrado della città. Con grande sorpresa, negli anni successivi l’autore scoprì che il libro – ispirato, in alcuni dei suoi passaggi più truci, a episodi storici dell’assedio di Leningrado nella Seconda guerra mondiale – era la metafora nella quale lettori argentini e serbi vedevano riflessa la loro situazione quotidiana. Cfr Id., Una vita in parole…, cit., 92 s.
[34]. Id., Leviatano, cit., 118.
[35]. Id., Follie di Brooklyn, Torino, Einaudi, 2014, 265.
[36]. Cfr Id., Città di vetro, cit., 102; Id., La stanza chiusa, cit., 217. Cfr Id., 4 3 2 1, cit., 561; 727. Nell’ultimo romanzo il protagonista vive a Princeton, in Poe Road.
[37]. Cfr Id., Fantasmi, cit., 145; 167 s; 178; Id., Leviatano, cit., 33. Ritroviamo Thoreau in vari punti anche nell’ultimo romanzo 4 3 2 1, segno della continuità e del perdurare del suo influsso sullo scrittore.
[38]. William Wilson, pseudonimo di Quinn come autore di polizieschi, in Città di vetro è il nome del personaggio di un racconto di Poe (Lo studente), e Fanshawe de La stanza chiusa è il nome del personaggio di un romanzo di Hawthorne, intitolato appunto Fanshawe.
[39]. Auster è altresì affascinato dalle vicende dei figli di Hawthorne. Del figlio Julian parla in Moon Palace, della figlia Rose in Leviatano.
[40]. L’ideale del trascendentalismo americano è espresso bene dall’immagine dell’Hotel Esistenza, evocato da Harry Brightman (cfr P. Auster, Follie di Brooklyn, cit., 88-94), e sfiorato da Nathan Glass quando, assieme al nipote Tom e alla pronipote Lucy, trova casualmente ospitalità presso il Chowder Inn (cfr ivi, 145-174).
[41]. Id., 4 3 2 1, cit., 800 s.
[42]. Cfr Id., Follie di Brooklyn, cit., 102; 168.
[43]. Cfr Id., Città di vetro, cit., 7; Id., La stanza chiusa, cit., 229.
[44]. Id., Moon Palace, cit., 133 s.
[45]. Ivi, 134.
[46]. Id., Moon Palace, cit., 133-135.
[47]. Per Auster, quel brano del romanzo costituisce un elemento fondamentale del libro. Cfr Id., Una vita in parole…, cit., 110.
[48]. Cfr Id., Moon Palace, cit., 148 s.
[49]. In Una vita in parole Auster ha dichiarato che i personaggi nascono già con un nome che non viene modificato. L’unico cambio fu con il protagonista de La musica del caso: doveva chiamarsi Jim Coffin, ma alla fine della stesura Auster lo modificò in Jim Nashe. Il cognome originale Coffin (in italiano «bara») avrebbe infatti portato il lettore ad attribuirgli un valore metaforico inopportuno.
[50]. Cfr Id., Moon Palace, cit., 98.
[51]. Id., Moon Palace, cit., 184 s.
[52]. Cfr Id., Città di vetro, cit., 36-38.
[53]. Id., Una vita in parole…, cit., 50 s.
[54]. Cfr ivi, 26.
[55]. Id., Moon Palace, cit., 132.