|
È veramente morto il capitalismo? O si è entrati in un’ulteriore fase evolutiva di questo sistema? Sono gli interrogativi che sorgono spontanei, quando ci si accinge alla lettura di questo libro di Yanis Varoufakis, economista di lungo corso, con sconfinamenti in campo politico. Un libro che certamente rientra nell’ampia letteratura sul tema della dissoluzione del sistema capitalistico, già delineato, oltre 150 anni fa, nello stesso Il capitale di Karl Marx.
Se dunque il tema non può certamente dirsi nuovo, cionondimeno l’approccio scelto dall’A. coinvolge il lettore in un percorso intellettuale, gradevolmente intrigante e non privo di spunti originali. Alla solida preparazione economica, con un marcato orientamento di tipo neokeynesiano, Varoufakis aggiunge il richiamo alle proprie origini greche, filtrato attraverso l’evocazione suggestiva di argomenti letterari e mitologici, come nei casi della poetica di Esiodo e della leggenda del Minotauro.
La lettura di questo libro è resa ancor più piacevole dal ricorso a uno stile colloquiale, sotto forma di interlocuzione con il proprio genitore, di cui l’A. tratteggia un ritratto delicato, ricordando gli insegnamenti ricevuti da lui sul piano etico, che poi si sono rivelati di fondamentale importanza nel suo percorso di crescita.
Quanto all’articolazione dell’itinerario intellettuale offerto al lettore, un ruolo significativo, nell’impianto del libro, è svolto, oltreché dal supporto di solidi richiami bibliografici, anche dalle due appendici che lo arricchiscono. La prima è orientata a spiegare i fondamenti economici di quello che Varoufakis definisce «il tecnofeudalesimo». La seconda, più breve, è destinata a illustrare, attraverso l’esempio dei derivati, la modalità con cui la finanziarizzazione dell’economia ha contribuito allo sviluppo di questo nuovo sistema.
In sintesi, l’A. vuole dimostrare come l’avvento del tecnofeudalesimo, sospinto dalle ondate di una prorompente innovazione tecnologica, abbia determinato il declino del capitalismo finanziario, indirizzato al profitto, che viene sostituito da un altro modello economico, basato sullo sfruttamento delle risorse e caratterizzato da un ristretto numero di detentori delle nuove tecnologie – i nuovi feudatari –, orientati a massimizzare le proprie rendite di posizione.
L’A. si sofferma anche sui pericoli che l’avvento del nuovo sistema del tecnofeudalesimo rappresenta per la vita dei singoli individui e per la sopravvivenza delle democrazie, con l’emergere dei due poli egemonici contrapposti degli Stati Uniti e della Cina.
Passando alla terapia indicata per contrastare questa temibile nuova tendenza dello sviluppo economico e la minaccia della sua connessa regressione democratica, motivi di perplessità insorgono per la vaghezza nei dettagli operativi delineati, ma anche per la dose di utopismo di cui sono permeati.
Non minore perplessità suscita poi il giudizio emesso con tanta sicurezza sulla fine del capitalismo, anche alla luce di quanto sottolineato dallo stesso Varoufakis circa l’imprevedibilità delle vicende umane, come è stato certificato sia dallo sviluppo della Rivoluzione industriale del Settecento, premessa al capitalismo industriale dell’Ottocento, sia dalla sua successiva trasformazione in capitalismo finanziario nella seconda parte del Novecento.
Al di là di queste riserve, il volume risulta apprezzabile per il riuscito tentativo di offrire una lettura coerente e sistematica delle tendenze economiche del più recente passato e contemporanee, nonché per l’invito pressante ad acquisire piena consapevolezza delle possibili pericolose derive non democratiche presenti nell’attuale scenario, e a reagire adeguatamente e tempestivamente per scongiurarle.