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Un libro che si è scritto da solo. Ne parla così l’autrice, alla fine, in una nota. E solo allora, conclusa la lettura, la comprensione si espande, rivelando vette e abissi. Si coglie il potere delle parole scomposte e ricomposte in una melodia stridente e dolcissima. Nel racconto, in prosa e poesia, di un amore che è perdita e conquista, abbandono e dono, accoglienza e rifiuto, riconoscenza e sfida.
«Mamma, io mi ricordo tutto. Mamma dammi la mano, ci sono io. Sono quella di allora. Ancora qui, a segnare il tuo confine, come quando eravamo senza confini». Maria Grazia Calandrone è figlia di Lucia, mamma biologica, suicida a 29 anni nelle acque del fiume Tevere, a Roma, quando lei aveva 8 mesi (nel 1965). Ed è figlia di Consolazione, «madre elettiva», che la adottò qualche mese dopo il fatto. «Sono caduta nel Disamore a quattro anni, quando Madre rivelò Io non sono la tua Mamma Vera».
Una storia di sopravvivenza. Di sensi e sentimenti acuti setacciati dal tempo. La delusione, la paura, la sfiducia che seguirono a quella rivelazione sono l’innesco di un processo psicologico e affettivo irreversibile. E di un amore condizionato. «Nella memoria di Madre si installò un Prima, nel quale ero affettuosa e obbediente. La bambina “mansueta” che con ogni evidenza, a conoscermi ancora oggi, non sono mai stata né potuta essere», scrive l’autrice: «Quella bambina angelicata venne istituita a posteriori dalla paura di Madre. E divenne il segnacolo della sua Grande Delusione. Perché, ormai, qui vigeva il Presente, il dolore della separazione. Una Verità, rivelata da Madre, aveva avuto l’effetto paradosso di rendere lei Finta, sebbene ai propri soli occhi» (p. 26).
Quella notizia scava così quello che l’autrice definisce «un solco oceanico», una frattura «tra lei e l’amore che portavo», scrive. Un amore che la madre elettiva non vede più, e che pure era il solo che Maria Grazia bambina aveva e viveva. Lo stesso amore che lei prova per il solo padre che ha eletto: Giacomo, scrittore, operaio, giornalista, dirigente del Pci, con il quale ha scoperto la «perdurante passione per il cinema». Lui, guardando un film insieme, le ha insegnato che «il lieto fine bisogna conquistarlo, non inventarlo», e le ha lasciato istruzioni «per l’uso della gioia».
I ricordi dell’infanzia e dell’adolescenza sono impressi in queste pagine con una scrittura fotografica: immagini, sequenze, squarci di quotidianità, che lasciano filtrare le luci e le ombre del vissuto familiare, perché «tutto cicatrizza a nostra insaputa». Un percorso accidentato in cui prosa e poesia trovano sintesi in una voce sicura e profonda. In una riconciliazione con la propria storia e con quell’amore condizionato da una verità difficile da accettare. «Splendi come vita ha cambiato la mia vita. Non oso sperare faccia lo stesso effetto in chi legge, ma oso sperare che chi legge si senta compreso. Quanto a me, ringrazio senza sosta», ha scritto l’autrice in un tweet.
La comprensione è una bussola in questo viaggio nelle parole, dette e mancate; in quelle parole che sono la «parte più concreta della materia». Una storia eccezionale, ma in fondo comune a ogni grande amore sofferto e perduto, che negli affanni e negli inganni della vita si consuma e si logora, per poi rivelarsi, inspiegabilmente, in un gesto o in un ricordo.
È un libro dolce e dolente quello della Calandrone; una testimonianza poetica e nostalgica che mette a nudo le pieghe più intime di un legame sfaccettato – come è quello tra una madre e una figlia e, nel suo caso, tra due madri e una figlia – nelle sue più intense e malinconiche contraddizioni. E le fa splendere, nel bene e nel male. Come la vita.
MARIA GRAZIA CALANDRONE
Splendi come vita
Milano, Ponte alle Grazie, 2021, 224, € 15,50.