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Le immagini che all’inizio ci accolgono, appena avviata la lettura del nuovo romanzo di Raffaele Bussi Servi e Satrapi, sono come la cifra interpretativa del libro: le arpie immaginarie posate ai piedi del letto di chi dorme, le nuvole innocenti che affascinano il bambino che è in noi mentre guarda verso il cielo. Il male e il bene, verrebbe da dire, senza rischio di cadere nella semplificazione eccessiva di cui i nostri tempi sono portatori. Sullo sfondo, l’invasione russa all’Ucraina, la tragedia dell’esodo, i disagi di chi è costretto a scappare dalle proprie radici, il ritorno sui luoghi della giustizia che aveva chiuso apparentemente i conti con i disastri della guerra, quella del 1939-45, e che invece si riproponevano dopo decenni, come se la Shoah non fosse mai accaduta. La paura di Primo Levi di non essere creduto come sopravvissuto si sta materializzando, verrebbe da aggiungere. «La storia che doveva insegnare, si è accorta di non avere scolari», scrive l’A., parafrasando Antonio Gramsci.
Un gruppo di ucraini si ritrova a Kiev dopo aver dovuto abbandonare le proprie case bombardate dai russi. I profughi, ospitati dalla Chiesa locale, si mettono in viaggio verso la Baviera, dove sono attesi nell’abbazia benedettina di Plankstetten. Qui l’abate, don Beda, si è detto disponibile a ospitarli, in attesa che la guerra finisca. Ad accompagnare il gruppo di ucraini c’è l’anziano Nikolaj Smirnov, sacrestano della basilica di Santa Sofia a Kiev, a sua volta in fuga dal monastero dei paolini a Mariupol, sfregiato dalla guerra.
Con l’artifizio letterario del sogno, Bussi mette in condizione Nikolaj di rivivere i drammi del Novecento, che ebbero in Polonia un momento cruciale: prima la follia dell’ideologia nazista e lo sterminio degli ebrei voluti da Hitler; poi la violenta repressione messa in atto da Stalin. L’A. ricorda così gli orrori della rivolta di Budapest e di quella di Praga. Poi il viaggio onirico si imbatte nel Muro di Berlino e nelle purghe staliniane. Nikolaj si confida con l’abate di Plankstetten: «C’è chi considera tutti gli altri esseri viventi come sottoposti, io li definisco con una sola parola: servi. Mentre personaggi che affidano al sonno della ragione i mostri che sono dentro di loro non posso che definirli satrapi».
La tappa al memoriale del tribunale di Norimberga offre all’A. lo spunto per porre interrogativi drammaticamente attuali: sarà mai giudicato Putin per i lutti che sta portando nel cuore dell’Europa? O una presunta «ragion di Stato» lo terrà al riparo dal giudizio degli uomini? E l’Europa, in tutto questo, che ruolo ha? Il romanzo di Bussi tuttavia non è solo un romanzo politico, ma è soprattutto un viaggio nell’animo umano alla riscoperta delle radici cristiane che, sole, possono offrirci una via di uscita dalla barbarie, un «ritorno a casa» che è consapevolezza della propria missione nel mondo ed espressione di grazie verso l’Altissimo.
Un libro che da disperato si fa, in fondo, un messaggio di speranza. Per tradurre i segni dei tempi in occasioni di crescita civile e morale e – per chi crede – di testimonianza di misericordia.