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Il 17 settembre 2021 si è celebrato il quarto centenario della morte di Roberto Bellarmino, gesuita e cardinale, avvenuta a Roma nel 1621 in odore di santità, al punto che sul letto di morte «le sue vesti divennero all’istante reliquie che andavano letteralmente a ruba» (p. 13). In modo essenziale ma coinvolgente e ben documentato, l’autore offre un agile profilo della vita del Santo, canonizzato soltanto nel 1930 da Pio XI, dopo un iter piuttosto complesso.
Prendendo come filo conduttore la cosiddetta Autobiografia, uno scritto privato composto dal Bellarmino su richiesta del Preposito generale della Compagnia, si ripercorrono le tappe essenziali della vita di san Roberto, il suo ruolo di teologo di punta svolto nella Curia romana del Cinque e Seicento, ma anche la sua attività di docente – fu anche rettore del Collegio romano, da cui l’attuale Università Gregoriana – e di pastore. Ne emerge la figura di un uomo alla ricerca sincera della verità – come riassume il sottotitolo –, libero, perché orientato a Dio solo. «Oggi lo definiremmo un intellettuale aperto ed equilibrato, capace di esercitare il proprio compito con spirito critico, con rigore, con fermezza ma anche con attenzione alla Tradizione della Chiesa e della cultura a lui contemporanea» (p. 8).
Nato a Montepulciano nel 1542, Roberto entra nella Compagnia di Gesù nel 1560. Giovane predicatore di successo a Lovanio, si propone di «consolidare nella fede il cattolico e convertire l’eretico dalla sua mala fede» (p. 26), dimostrando le verità della dottrina cattolica a confronto con le tesi dei protestanti. Sarà questo il motivo principale di molti suoi scritti e in particolare della sua opera maggiore, le Controversie, «un capolavoro di ricerca storica e insieme un modello di argomentazione, che da un lato si ispirava alla carità e al rispetto, dall’altro era totalmente privo di rancore e di espressioni ingiuriose, usuali nelle relazioni tra le diverse confessioni» (p. 37). Vi ricorrono temi fondamentali del dibattito con la Riforma: la Scrittura, la Tradizione, il primato del papa, quest’ultimo con sviluppi all’interno dello stesso cattolicesimo fino alla proclamazione del dogma dell’infallibilità nel Vaticano I.
Buona parte della fama del Bellarmino deriverà dalla teoria del potere indiretto del papa sul potere politico, che però, rileva l’autore, era già stata formalizzata da san Tommaso nel Medioevo. La novità da lui introdotta stava nell’aver precisato che il potere politico era completamente autonomo e legittimo rispetto alla Chiesa, e quindi il papa non poteva ritenersi il sovrano assoluto del mondo, come avrebbe voluto Sisto V (cfr p. 46). Questo costò al Bellarmino l’inserimento del suo primo libro delle Controversie nell’Indice dei libri proibiti, il che tuttavia non ebbe alcuna conseguenza a causa della morte del pontefice. Clemente VIII fu il papa che lo creò cardinale, ma fu anche il papa che lo allontanò da Roma, inviandolo come arcivescovo a Capua (1602-1605): il Bellarmino non aveva esitato ad affermare che il papa non era padrone, ma servitore della Chiesa. Fu un periodo breve, ma fecondo di attività pastorale, prima che fosse richiamato a Roma per il conclave.
Come teologo del Sant’Uffizio il Bellarmino partecipò anche al processo contro Giordano Bruno, finito con la condanna al rogo il 17 febbraio 1600 a Campo de’ Fiori. Non è possibile stabilire con certezza quale fu il suo contributo in questa vicenda, mentre l’autore ricostruisce il suo coinvolgimento nel «caso Galileo», al quale è legata la sua fama nel XX secolo. Si ricordano la conoscenza che egli aveva della teoria di Copernico, un incontro con Galileo nel 1616 e una lettera con l’invito prudenziale a non parlare della dottrina del copernicanesimo come cosa certa, perché era un’ipotesi non dimostrata. Molti nella Curia romana, come pure negli ambienti accademici e culturali italiani, avevano paura della forza distruttiva della nuova astronomia, che sembrava contraddire la lettera della Scrittura.
La condanna di Galileo, avvenuta nel 1633, quando il Bellarmino era morto da 12 anni, «non fu casuale, ma la necessaria conseguenza del rifiuto, da parte della Chiesa, di distinguere quanto lo studioso proponeva: un ambito proprio della scienza e uno della rivelazione e della fede» (p. 113). Il Bellarmino fu anche padre spirituale del giovane Luigi Gonzaga, ne riconobbe la santità e lo assistette giorno e notte negli ultimi momenti di una vita breve, ma spesa fino allo sfinimento nell’assistenza agli appestati. San Roberto «fa parte di quella generazione di pastori e mistici della Riforma cattolica che hanno accompagnato la Chiesa dal Medioevo all’Età moderna, e hanno contribuito, pur con i loro limiti, all’edificazione della Chiesa di oggi» (p. 118).
GIANCARLO PANI
Roberto Bellarmino. Cercatore della verità
Palermo, Pietro Vittorietti, 2021, 128, € 10,00.