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Il compito più difficile per l’evangelizzazione è riuscire a spiegare con semplicità i contenuti della fede cristiana – e in particolare di quella cattolica – alla cultura del nostro tempo, apparentemente dominata da un’apatia strisciante nei confronti delle credenze religiose, quando non dalla presunzione di conoscere già tutto quello che conta sulla religione all’interno della quale si è cresciuti. Si tratta al tempo stesso di un problema di rinnovamento del proprio linguaggio comunicativo e di ripensamento teologico della fede tradizionale per attualizzarla alla contemporaneità.
È una questione ben presente nella Chiesa dal Concilio Vaticano II in poi, e non a caso sono numerosi gli autori che si sono impegnati nel produrre testi di divulgazione-attualizzazione della religione cristiana dagli ultimi decenni del Novecento ai primi decenni del nuovo millennio.
Nel 2021, in Spagna è stata pubblicata una nuova edizione di un saggio intitolato Esta es nuestra fe, che ha venduto oltre 200.000 copie in lingua spagnola e che ora è stato finalmente tradotto in italiano. Si tratta di un’esposizione teologica per non specialisti particolarmente chiara e gradevole da leggere, certamente adatta alla mentalità del nostro tempo. Questo buon risultato è probabilmente dovuto al fatto che l’A. possiede singolarmente una doppia formazione: una di ingegnere minerario e l’altra di teologo e di pastore. Si tratta infatti di un sacerdote che è stato parroco nella città di Madrid e per molti anni attivo nelle opere di carità come segretario generale della Caritas spagnola.
Come scrive lui stesso, il successo del suo libro è dovuto al fatto che non è prodotto da «un teologo di razza»: per questo egli tende a utilizzare un linguaggio divulgativo, comprensibile anche dai non teologi, ovvero dai semplici credenti che vogliono approfondire i contenuti della propria fede, oppure da non credenti in ricerca o comunque desiderosi di conoscere meglio la dottrina cristiana. A questo proposito, l’A. non esita a richiamare un celebre sermone di sant’Agostino, nel quale si afferma: «Che ci importa di ciò che esigono i grammatici? È meglio che comprendiate il nostro barbarismo piuttosto che con l’eloquenza restiate abbandonati» (Enarrationes in psalmos, 3,6). Ne discende così un testo di teologia che altro non è se non la riflessione di un credente messa a disposizione dei confratelli dentro e fuori dalla fede, da apprezzare particolarmente per la sua organicità e compiutezza.
Il saggio di Santabárbara inizia affrontando un tema oggi spesso tralasciato dai teologi: il peccato originale. Questo snodo cruciale per la fede – Si Adam non peccasset, Filius Dei homo non factus esset – viene trattato con serietà e chiarezza, tenendo pure conto delle conoscenze acquisite nell’ambito della paleontologia umana e dei problemi che quest’ultima ha posto alla teologia. Gli altri 22 capitoli ripropongono lo stesso stile e seguono una sorta di percorso paracatechetico, nel quale non si trascurano le tematiche relative al Gesù storico, alla cristologia, alla Trinità, al rovello del male nel mondo, all’identità del cristiano, all’importanza della Chiesa nel progetto salvifico e alla vita dopo la morte.