|
Nel lavoro di Marylinne Robinson (nata a Sandpoint, in Idaho, nel 1943) pensiero e narrazione si influenzano costantemente: la sua saga romanzesca, ambientata nel mondo mitico di Gilead, in Iowa, appassiona un pubblico assai vasto, mentre i suoi scritti critici e i suoi interventi occupano un ruolo importante nella sfera pubblica. Amica e sodale di Barack Obama, si rimanda alla loro intensa conversazione, pubblicata dalla New York Review of Books nel 2015 e disponibile in rete: lettura utile anche per smettere di pensare che l’alta cultura americana sia ormai estinta, o risucchiata in blocco nel vuoto delle cosiddette culture wars.
La prima cosa che colpisce leggendo i saggi di questa raccolta, oltre allo spirito militante, alla lucidità e all’eleganza dello stile, è la meraviglia per il creato che essi esprimono, la fascinazione per il «dato» del titolo, la cui esplorazione esperienziale e teoretica eclissa l’artificiale divario tra scienza e religione, abituale terreno di contesa soprattutto dei non veri scienziati e dei non autentici religiosi: «L’esistenza è straordinaria, anzi incredibile. Almeno tacitamente, la consapevolezza di questo fatto è diffusa nella scienza contemporanea quanto nel Libro dei Salmi, nel Libro di Giobbe».
Il primo saggio della raccolta – «Umanesimo» – è una ferma presa di posizione nei confronti delle neuroscienze; l’autrice liquida il loro riduzionismo meccanicistico, e lo fa con accenti da umanista, oltre che con le argomentazioni della teologa: «L’anima è sempre stata ritenuta immateriale, e quindi un aspetto sacro e santificante dell’essere umano. È l’io, ma si distingue dall’io. Subisce offese di natura morale, quando l’io, che è e al tempo stesso non è, mente o ruba o uccide, ma è immune dagli eventi che mutilano o uccidono l’io. Questa intuizione – che è molto più ricca e profonda di qualsiasi concetto trasmesso dalla parola credenza – non si lascia dissipare dalla dimostrazione della fisicità dell’anima».
In altri saggi la Robinson respinge le idées reçues, sedimentate contro i puritani («i cosiddetti puritani erano dei classici letterati di stampo rinascimentale») e conduce un’appassionata difesa del suo maestro e ispiratore, Calvino, illuminando la crucialità della traduzione della Bibbia in volgare del XIV secolo e il conseguente ruolo che essa ebbe per la Riforma. Quest’ultima fu non solo un’operazione spiritualmente e politicamente deflagrante, ma un potente veicolo di sviluppo delle lingue nazionali, la via maestra dell’alfabetizzazione di ampi strati della popolazione europea.
L’ottimismo della Robinson è molto di più di una predisposizione psicologica, di un comandamento della fede o di un imperativo etico: è soprattutto il riflesso di una seria prospettiva storica e filosofica, com’è evidente nella polemica contro la deprecatio temporum delle élites intellettuali. «Il pessimismo culturale va sempre di moda e, siccome siamo umani, ha sempre i suoi motivi» ma, ci ricorda l’autrice, «disponiamo ancora di tutto il potenziale che abbiamo sempre avuto per il bene. Siamo ancora esseri di straordinario interesse e valore, con un’anima agile, come abbiamo sempre avuto e sempre avremo, nonostante i nostri errori e le nostre devastazioni, per tutto il tempo in cui dimoreremo su questa terra».
In altre pagine, la Robinson riflette su Shakespeare, affermandone la grandezza teologica oltre che letteraria, e in altre ancora smaschera l’annacquamento del messaggio cristiano, in America specialmente, la trasformazione del Cristo in una sorta di «amico immaginario» con cui intrattenere rapporti centrati sulla salvezza personale.
Di questo libro il lettore conserverà il senso di un’indagine mai cinica, mai dogmatica, e soprattutto mai superficiale: il prodotto di un intelletto vivace che, esplorando «quel che ci è dato», continua a rinnovarne l’incanto per tutti noi.
MARILYNNE ROBINSON
Quel che ci è dato
Roma, minimum fax, 2021, 368, € 18,00.