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Nel corno occidentale della Sicilia l’occhio attento incontra ancora oggi una diversità, a volte anche armonica, di quanto noi chiamiamo «fede». L’A., di rito latino, convive da anni non solo con musulmani provenienti dall’Africa, ma con italo-albanesi, cristiani legati alla Chiesa di Roma, ma di etnia e lingua albanese con rito liturgico bizantino. Il libro focalizza la figura di un sacerdote italo-albanese, il papas Giuseppe Musacchia (1837-1910), la cui personalità, da una parte, richiama le problematiche liturgiche e sociali dei secoli passati avute da queste comunità di rito orientale – che si spostarono in Italia nella seconda metà del XV secolo – e, dall’altra, sottolinea la fondamentale funzione della cultura e della preparazione storico-teologica all’interno di una comunità ecclesiale (esigenza primaria oggi). La cultura teologica e liturgica non solo era essenziale per controbattere la prevalenza tirannica del rito latino su quello orientale, ma divenne elemento insostituibile per sostenere e consolidare l’identità etnico-religiosa della comunità.
Il libro consta di tre capitoli, di un glossario dei termini tecnici di natura teologico-liturgica e di un elegante quaderno fotografico relativo agli apparati architettonici e agli strumenti liturgici propri della Chiesa orientale.
Il primo capitolo affronta le problematiche teologiche, canoniche e liturgiche della Chiesa italo-albanese, soprattutto nei secoli XVIII-XX. Vi è una breve ma essenziale lettura dei secoli XVI e XVII per introdurre la presenza di queste comunità nell’Italia Meridionale (Sicilia e Calabria). L’A. ritiene importante soffermarsi sul movimento della Rilindja («Rinascita»), il carismatico rinnovamento culturale e spirituale che nel XVIII secolo sollevò lo spirito umiliato e ghettizzato degli italo-albanesi. Lo status pietoso della comunità venne acuito non solo dalle angherie del clero latino, ma anche dalla Bolla papale di Benedetto XIV Etsi Pastoralis, del 1742, in cui si affermava che «il rito latino, a causa della sua preminenza […] prevale sopra il rito greco».
Il secondo capitolo presenta Giuseppe Musacchia, sacerdote uxorato e parroco a Piana degli Albanesi. Egli studia nel Seminario italo-albanese di Palermo, fondato da p. Giorgio Guzzetta nel 1734, e manifesta subito una spiccata intelligenza, unita a un irruente spirito critico e pastorale. Dalle sue pubblicazioni si percepisce immediatamente quanto importante fosse la cultura classica nel sostenere e dialogare con il patrimonio patristico greco e latino.
Il terzo capitolo si sofferma su due testi finora sconosciuti. Dei tanti scritti inediti lasciati nei faldoni dell’Archivio della cattedrale di Piana, Vaiana ne sceglie due di natura spiccatamente liturgica e mistagogica; Descrizione di parte del tempio e Presantificati e Discorso che contiene l’intera ecclesiastica storia… L’A. si accinge alla trascrizione dei testi e a un ben ragionato commento su specifici temi relativi ai soggetti liturgici toccati in essi (La Liturgia dei Presantificati; La Mistagogia; La Chiesa e la processionalità; La divisione degli spazi).
Il commentario è preceduto da una premessa metodologica, nella quale si affronta la tradizione manoscritta del testo greco del Discorso (Vaiana segue il testo del cardinale Mai, e usato da Musacchia, che si avvale solo del Vaticanus Ottobonianus Gr. 459, XV secolo) e attua un costante riferimento ad altre opere pubblicate dal Musacchia. I due testi mostrano nature differenti: uno è pronto per la pubblicazione (Discorso), mentre l’altro è in fieri, bisognoso ancora di altre rifiniture redazionali.
L’A. è stato giustamente attento nel presentare la situazione critica della Chiesa albanese nei primi secoli della sua esistenza in Sicilia e la rinascita del fiero spirito albanese nel XVIII secolo, comunque sempre ossequioso e riverente verso Roma e il Pontefice. Ci sembra ancora più incisiva la mano di Vaiana nel tratteggiare l’impegno teologico e pastorale di Musacchia, rivolto non solo verso il popolo, ma anche verso il clero, che si era lasciato andare all’ozio e all’ignoranza. Il binomio «popolo-sacerdote» è una costante ecclesiale e sociale fortemente sentita nella comunità italo-albanese.
Si può ben dire che questo libro offre un lavoro eccellente, che ha anche il pregio di una elegante mise-en-page editoriale. Dopo il Glossario, quest’opera presenta un’accurata scelta di foto relative agli elementi archeologici e decorativi di epoca bizantina, che illustrano quanto le parole dei testi indicano e quanto diversi siano gli stessi oggetti nella pratica ecclesiastica attuale. Un indice analitico e graecitatis chiude il volume.