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Libri
Macchie di inchiostro di Betty Varghese

Macchie di inchiostro

Quaderno 4063 - pag. 95 - 96

8 Ottobre 2019


Il libro presenta, in maniera brillante ma anche estremamente documentata, la storia del «Reattivo Rorschach», le vicende del suo autore e delle principali correnti psicologiche del secolo XX.

Hermann Rorschach era una personalità eclettica e ricca di interessi, che si dedicò agli studi di medicina e di psichiatria, alle arti, al teatro, alla pittura e al linguaggio. L’incontro con la psicoanalisi di Freud e di Jung, l’approccio umanistico di Eugen Bleuler ai malati mentali e, soprattutto, la pratica terapeutica di Justinus Kerner gli mostrarono come la creatività artistica, più che il rigido metodo deterministico, fosse in grado di aiutare i malati mentali in modo efficace.

Kerner aveva per primo somministrato alcune immagini informi ai suoi pazienti e aveva notato come essi riuscissero a manifestare il loro mondo interiore in una maniera che l’intervista verbale non sembrava capace di fare. Rorschach perfezionò questa tecnica, osservando come le persone con il medesimo disturbo psichiatrico rispondevano alle macchie in modo simile: «Scrisse che un paziente maniaco depressivo non avrebbe fornito risposte di Movimento o Colore, non avrebbe individuato forme umane […]. Le persone affette da depressione schizofrenica, d’altro canto, avrebbero rifiutato di rispondere a più di una tavola e in qualche occasione avrebbero fornito risposte di Colore, molto spesso avrebbero dato risposte di Movimento e avrebbero visto una percentuale molto inferiore di figure animali e una sensibilmente maggiore di forme cattive» (p. 177), sebbene non fossero in grado di spiegarne il perché.

Le tavole che alla fine Rorschach elaborò furono il risultato di centinaia di tentativi e di somministrazioni a un gran numero di pazienti, per lo più degenti dei reparti in cui lavorava. Purtroppo i suoi diari non menzionano i criteri utilizzati per la scelta definitiva di quelle 10 tavole, scartando altre possibilità. Il tutto fu realizzato tra l’inizio del 1917 e l’estate del 1918, e venne pubblicato, insieme a un manuale di presentazione, nel 1921.

Una cosa Rorschach ribadì con certezza: il suo era uno strumento per validare la percezione e non l’immaginazione. «Egli chiedeva alle persone non cosa riuscissero a trovare o immaginare, o cosa vedessero in una determinata macchia, ma cosa fosse. La sua domanda recitava: “Questo cosa potrebbe essere?”» (p. 173). In altre parole, il Reattivo non doveva stimolare la fantasia, ma far vedere il modo in cui la persona interpretava il mondo esterno, manifestato dagli aspetti «formali» delle risposte alle macchie (figura intera o dettagli; movimento; colore; forme). Così la persona, di riflesso, rivelava anche il proprio mondo interiore.

Il libro presenta anche la varietà di interpretazioni e di modi di utilizzo del Reattivo. I manuali più noti per la codifica e la valutazione delle risposte sono opera di due psichiatri: Samuel Beck e Bruno Klopfer, che si ponevano su parametri interpretativi antitetici al significato stesso da attribuire al Reattivo. Beck, in linea con la tradizione statunitense, lo interpretava nella maniera comportamentista; Klopfer, invece, fedele alla filosofia europea, preferiva contestualizzare le risposte nella più globale prospettiva della persona. Ben presto i due diedero origine a scuole opposte.

Autori successivi – John Exner e Gregory Meyer – cercarono di conciliare le due correnti, ma in una forma differente, prediligendo o una valutazione empirico-quantitativa delle risposte (Exner), o una valutazione psicodinamica, attenta soprattutto alle risposte nel loro insieme e nel contesto della storia di vita della persona (Meyer).

La ricerca poi prese nuove strade, unendo la dimensione artistica e scientifica. Il Rorschach venne «quantificato», assegnando precisi punteggi alle risposte; fu anche presentato come esempio di arte contemporanea nella mostra che si tenne nel 2012 al Museum of Modern Art di New York.

Il successo del Reattivo a livello mondiale è legato, più che alla ricerca psicologica, alle vicende belliche: gli Usa utilizzarono in maniera massiccia le macchie all’interno della batteria di test per il reclutamento nell’esercito, e il loro esempio fu ben presto seguito anche da altre nazioni. Un altro uso frequente si ebbe in ambito giudiziario, per l’affido familiare e anche per l’assunzione in lavori che prevedevano il contatto con minori.

Rorschach non poté vedere la rapida diffusione e l’altrettanto intensa diatriba che caratterizzò il suo Reattivo: a causa di un’appendicite non curata morì il 2 aprile 1922, a soli 37 anni. Il manuale con le tavole era stato pubblicato qualche mese prima. «Quali che fossero le sue risposte a questi quesiti, le macchie erano ormai libere di diffondersi nel mondo, senza la sua mano e il suo sguardo a guidarle» (p. 232).

DAMION SEARLS
Macchie di inchiostro. Storia di Hermann Rorschach e del suo test
Milano, il Saggiatore, 2018, 526, € 29,00.


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