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L’abuso di potere, alla base delle altre forme di abuso, non è facilmente riconoscibile, e proprio per questo è così insidioso e facile a perpetuarsi. Questo libro ricostruisce in maniera accurata e documentata la problematica. Se ne fornisce anzitutto una definizione – «una relazione asimmetrica tra chi dispone di un potere che ha infranto i limiti della liceità e chi ne subisce gli effetti» (p. 15) – e se ne mostra la progressiva presa di coscienza in ambito ecclesiale. La ritrosia a riconoscerne la portata e gli effetti devastanti è dovuta al fatto che l’abuso viene spesso giustificato, spacciandolo per volontà di Dio ed espressione del voto di obbedienza; oppure, quando la gravità del suo esercizio non può più essere negata, si invoca la condizione di fragilità e peccato di ogni essere umano, così da evitare sanzioni in sede penale. Le conseguenze devastanti dell’abuso di coscienza mostrano una realtà ben diversa: «Si tratta di una violenza che calpesta l’io sino a farlo scomparire e che, in numerose testimonianze di vittime, viene accostata allo stupro dell’intimità e della castità del cuore» (p. 20).
Il libro non si limita a presentare la dolorosa cronaca di quanto accaduto: nella seconda parte illustra il tema del potere e delle sue derive nella Bibbia e nei documenti del magistero. Il potere è parte della vita umana e religiosa; per questo è importante individuarne le caratteristiche sane e malate, specie quando il nome di Dio o la sua Provvidenza vengono utilizzati per giustificare interessi e/o mancanze personali. Un aiuto in questo senso viene dalle scienze umane, che rilevano lo stile di personalità dell’abusatore e le dinamiche ambientali e relazionali che lo favoriscono, influenzandosi vicendevolmente: «L’ambiente in cui si vive, una formazione che tende ad attribuire un ruolo sacrale attribuito all’autorità, contribuisce in maniera rilevante a gonfiare l’immagine di sé, a meno che non si sia consapevoli dei propri limiti e aree di fragilità» (Mumbi Kìgutha).
Da qui l’importanza di un approccio sistemico al problema – «l’ecosistema che ha permesso l’instaurarsi degli abusi e delle derive settarie» (p. 70) –, evidenziando i differenti attori che, in una maniera o nell’altra, collaborano al verificarsi e diffondersi dell’abuso, attivamente, o con il silenzio. L’approccio sistemico smentisce l’attribuzione di responsabilità alla singola persona – la «mela marcia di turno» – e riconosce piuttosto una mentalità che ha smarrito lo spirito del Vangelo, mostrando l’importanza di una formazione integrata, capace di instaurare quello che l’A. chiama, sulla scorta della teoria dell’attaccamento di J. Bowlby, «un ambiente sicuro». «La questione degli abusi non può essere affrontata soltanto a livello personale, cercando di individuare le eventuali mele marce, ma si deve vegliare sullo stato di salute del paniere che contiene le mele e che potrebbe farle marcire in modo graduale» (p. 245).
Una proposta di ambiente sicuro è il Tripod of Relational Safety Model, elaborato dalla psicoterapeuta Maria Carmen Bonto La Viña. Esso fa leva su tre pilastri fondamentali, che possono scandire il percorso formativo a livello umano e spirituale: il sé sicuro, la comunità sicura e il ministero sicuro, intesi come espressione di una relazione affettiva con il Signore, base e fonte di ogni possibile sicurezza.
Il cammino sinodale che la Chiesa sta portando avanti in questi anni può costituire un’ulteriore possibilità preziosa di riflessione sugli stili di vita fraterna che caratterizzano le comunità, in particolare sotto tre aspetti fondamentali: 1) lo stile di comunicazione, ispirato all’ascolto e alla trasparenza; 2) le sue ricadute sulla gestione del potere, superando il «modello piramidale» (che impedisce la comunicazione orizzontale tra fratelli o sorelle, per mantenere solo quella verticale, con l’autorità); 3) la valorizzazione delle donne e dei laici.
Sono aspetti che richiamano la vigilanza evangelica, il check-up indispensabile per la salute umana e spirituale, a livello individuale e comunitario. Il diritto canonico è uno strumento prezioso per la sua attuazione, promuovendo due forme di vigilanza istituzionale: interna (la visita canonica) ed esterna (la visita apostolica). La cura e la fiducia che dovrebbero animare la vita consacrata non possono infatti essere separate dalla prudenza, così da evitare forme di ingenuità e trascuratezza.