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La medicina ipertecnologica dell’età contemporanea, accanto a prodigiose scoperte diagnostiche e terapeutiche, soffre di un deficit comunicativo tra specialisti e pazienti e alimenta fraintendimenti relazionali tra gli stessi operatori sanitari, come è documentato dall’incremento esponenziale di contenziosi medico-legali e da un clima di sospetto e sfiducia che si crea nei contesti in cui non è più possibile guarire, ma si può e si deve semplicemente curare le sofferenze del malato.
Inoltre si è lamentato da più parti che la formazione umanistica del professionista sia sbilanciata sul versante naturalistico (la biomedicina) e carente in quello umanistico, rischiando di licenziare figure di «iatrotecnici», invece che «alleati» in grado di comprendere e lenire i vissuti di disagio, d’impotenza, di disabilità propri del paziente e del suo entourage. Si è pertanto auspicato che in ambito sanitario si affinino qualità di counseling filosofico, in modo da aiutare il singolo utente ad approfondire il proprio personale punto di vista etico di fronte a dilemmi drammatici. Tra le modalità pedagogiche con cui ovviare a tali contraddizioni, si sperimentano seminari, corsi, laboratori di medical narrative, in cui la lettura di romanzi, pezzi teatrali e sceneggiature filmiche addestri l’ascolto, l’interpretazione e la «restituzione» delle parole elementari con cui spontaneamente esprimiamo e condividiamo il nostro dolore, quando sembra finire il felice tempo della buona salute.
Due docenti presso il Dipartimento di Scienze Umane dell’Università dell’Aquila hanno opportunamente raccolto i contributi di nove studiosi, in modo da esplorare alcuni temi cruciali che hanno segnato la storia delle interazioni tra i mondi medico e letterario: le polemiche sui medici in età umanistica, la rappresentazione delle patologie e della chirurgia nel Rinascimento e in età moderna, emblematiche immagini e modelli di cura nell’Otto-Novecento, rilevanti esemplificazioni in Parise, Pirandello, Svevo, Woolrich, Pecoraro e altri autori. La mancanza di indici dei nomi e dei temi e l’impossibilità di risalire alle qualifiche di tutti i ricercatori rendono difficoltosa la visione d’insieme e la fruibilità del testo, che è decisamente più argomentato nella dimensione critico-letteraria rispetto alla concreta applicazione clinica.
Gli spunti di riflessioni sono comunque vari e fecondi. Rimangono da indagare le aporie teoriche di fondo, le quali effettivamente potrebbero condurre alla formazione di sanitari con visione doppia, come una sorta di Giano bifronte che guarda in parallelo, nello stesso tempo, all’organismo e alla persona malata. Si possono anche riscontrare alcuni limiti dell’immissione ingenua di materie umanistiche nel curriculum medico. È vero infatti che un racconto di qualità esige, come il corpo segnato da un malessere, una ricognizione fenomenologica e un’ermeneutica pertinenti, ma le risonanze emotive del contatto empatico e l’arte di una decisione condivisa al letto del malato necessitano di una specifica formazione psicologica sotto supervisione, di un addestramento in narratologia e soprattutto di una competenza di base in bioetica clinica, che è il vero punto d’intreccio fra tecnica e prassi, fra semeiotica medica e semiotica generale, fra racconto del disagio e medical decision making. Solo così le affinità tra patto narrativo e alleanza terapeutica produrranno illuminanti approfondimenti.
Infine, si sarebbe potuto dare utilmente notizia dei testi – ormai molti anche in lingua italiana – che hanno sistematicamente analizzato il delicato impiego di pellicole cinematografiche nelle medical school. La stessa carezzevole allegoria di una medicina «vestita di narrazione» mette in guardia dalla deriva verso un maquillage letterario, che copre, ma non modifica l’orientamento anatomo-patologico che Foucault aveva rinvenuto attivo sin dalla nascita degli ospedali. Anche Martha C. Nussbaum (Il giudizio del poeta, 1996), Wayne C. Booth (Retorica della narrativa, 1996) e i nostri scritti Un buon racconto (2007) e Estetica nell’etica (2010) hanno anticipatamente offerto un contesto scientifico utile per realizzare un confronto dialettico con le interessanti linee di ricerca aquilane e per innescare un lavoro interdisciplinare, che eviti la mera contaminazione e l’accostamento sincretico.