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Dopo La giustizia capovolta. Dal dolore alla riconciliazione il gesuita p. Francesco Occhetta torna ad affrontare il complesso tema della giustizia, presentandola come una virtù, oltre il potere della spada e della bilancia. Il libro propone una via alternativa all’attuale macchina della giustizia, che, insieme al terzo potere dello Stato, la magistratura, è in crisi da tempo per la lentezza dei processi, gli alti tassi di recidiva, i costi ingenti delle cause, il sovraffollamento delle carceri, dove è sempre più difficile far convivere persone di nazionalità diverse.
La giustizia è una virtù nobile che si nutre di verità e si fonda sull’etica, come testimoniano le radici morali della giustizia biblica, che vive di discernimento del bene dal male. Ma, per elevare la giustizia al concetto alto di virtù, «il cammino da compiere è lungo e complesso: il logos biblico inizia con l’odio verso il fratello e termina con l’amore per il prossimo. Una tensione irriducibile che rappresenta un punto di partenza e un (possibile) punto di arrivo» (p. 36). La giustizia, in tutte le sue forme, opera alla ricerca di un equilibrio relazionale, nell’ambito di una comunità universale che metta da parte l’individualismo personale: la giustizia relazionale dunque mira sempre al bene comune e pone al centro il dolore della vittima.
Secondo p. Stefano Bittasi, la giustizia va intesa come «giuste relazioni possibili» (p. 51), ma per guarire e accettare il dolore, sia chi è innocente sia chi è colpevole ha bisogno di tempo per rielaborare quanto di spiacevole e spesso di atroce accade. Il diritto biblico, ben diverso dai moderni ordinamenti giuridici, prevede che il diritto della vittima innocente sia centrale e, se il colpevole non la risarcisce del danno, subentra allora la responsabilità della società che se ne fa carico.
Il diritto biblico trova altresì espressione nel modello della «giustizia riparativa» che, secondo Howard Zehr, il quale per primo lo ha definito, è «un modello che coinvolge la vittima, il reo e la comunità nella ricerca di una soluzione che promuova la riparazione, la riconciliazione e il senso di sicurezza collettivo» (p. 61). Oggi questo nuovo modello fa da contraltare al modello classico, basato sulla giustizia retributiva e, grazie alla Riforma Cartabia entrata in vigore nel 2022, «introduce una visione nuova, il sistema sanzionatorio carcerario lascia spazio al modello riparativo» (p. 79). Determinante risulta il ruolo della mediazione nella gestione dei conflitti, in favore di una difesa che vada oltre la sentenza e la norma, ma ponga attenzione alla centralità della persona: «Certo, in una prospettiva cristiana la “riabilitazione” va favorita in ragione del suo volto umano» (p. 89).
L’incontro tra la vittima e il reo apre strade spesso inaspettate, perché, come afferma lo storico cappellano di Regina Coeli a Roma, p. Vittorio Trani, «ho imparato che non esiste persona dinanzi alla quale non si possa tracciare una strada e che non senta la nostalgia di percorrerla: basta saperle stare vicino e toccare le corde giuste» (p. 103). Esistono testimonianze concrete di possibili modelli di riabilitazione, esportabili in altri Paesi, come il carcere di Tihar a Nuova Delhi, basato sulla meditazione profonda, e le APAC in Brasile, carceri senza sbarre e senza guardie, ma alla base di ogni riforma c’è sempre un cambiamento interiore.
Un ruolo importante nella gestione delle controversie è offerto in Italia dalla pastorale sociale della Chiesa, e tanti sono i paradigmi virtuosi in atto. Il percorso faticoso verso la cultura di una rieducazione umana e integrale del detenuto che non cancelli la sua dignità è ancora una sfida impegnativa da affrontare, ma occorre guardare con fiducia al futuro, vivendo il prossimo Giubileo come un’occasione di cambiamento per tutti, un invito a essere pellegrini di speranza verso un futuro e un mondo migliori: «Anche il Giubileo che la Chiesa si appresta a vivere nel 2025 si fonda su un’idea di giustizia riparativa» (p. 143).
In conclusione, promuovere e costruire un’idea di giustizia, attraversando e rielaborando i conflitti per migliorare e far crescere il tessuto di relazioni personali e sociali, è un compito da coltivare nel quotidiano.