Nel 1622 papa Gregorio XV creò Propaganda Fide. Questa Congregazione romana aveva il compito di sottrarre la missione di evangelizzazione ai condizionamenti e alle influenze politiche, come avveniva con il sistema del Padroado[1]. Era anche un modo per la Chiesa di riprendere il controllo della missione fondamentale di evangelizzazione, che si affermava ormai come universale e sovranazionale. Questa missione doveva quindi essere esercitata senza distinzioni di nazionalità. Tale carattere specifico della missione di evangelizzazione era correttamente in linea con le norme internazionali del XIX secolo, che garantivano, tra l’altro, l’indipendenza delle missioni cristiane. Infatti, il diritto internazionale dell’epoca richiedeva la tutela e la promozione di tutte le attività religiose senza distinzioni di nazionalità o di culto[2]. Ma questo principio dell’universalità e della sovranazionalità delle missioni poteva reggere di fronte al nazionalismo e al realismo politico degli Stati europei?
In questo articolo ci proponiamo di mostrare, da un lato, come l’organizzazione delle missioni nel contesto della colonizzazione in Africa era stata un cavallo di Troia nelle indicazioni del diritto internazionale e, dall’altro, come il vento del nazionalismo e le ostilità tra gli Stati europei, in particolare Germania e Francia, avevano modificato e determinato la missione di evangelizzazione nelle ex colonie tedesche in Africa (Togo, Camerun) durante la prima metà del XX secolo.
Nazionalizzazione delle missioni: una «Realpolitik» della Chiesa?
All’inizio del XX secolo, a parte l’Etiopia e la Liberia, l’Africa era stata presa d’assalto dalle nazioni europee. Intorno al 1890 le conquiste erano quasi completate, e la mappa coloniale dell’Africa era già più o meno tracciata. In questo contesto di colonizzazione, un fatto attira l’attenzione dello storico. Sebbene la missione di evangelizzazione dovesse svolgersi senza distinzioni di nazionalità, le terre di missione nel continente erano state praticamente «nazionalizzate». La Carta missionaria dell’Africa (1912)[3] testimonia che la preferenza nazionale sembra essere stata la regola che determinava l’identità dei missionari che dovevano lavorare nelle colonie. D’altronde, i colonizzatori avevano fatto una campagna affinché i missionari fossero loro connazionali[4]. È così che nelle colonie francesi si trovavano installate Congregazioni di origine francese: la Congregazione dello Spirito Santo (Senegal, Guinea, Gabon), la Società delle Missioni africane (Costa d’Avorio, Dahomey, Niger), la Società dei Missionari d’Africa (Algeria, Sudan Occidentale), la Congregazione delle Suore di San Giuseppe di Cluny (Senegal). Nelle colonie tedesche, incontriamo i missionari tedeschi della Società del Verbo Divino (Togo) e i pallottini (Camerun). Nelle colonie inglesi, la missione
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