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Don Enzo Ferraro, parroco presso la parrocchia Santa Gemma Galgani di Roma, ha scritto questo piccolo ma prezioso volume, che è frutto di un intenso tirocinio alla scuola della Scrittura e delle sue esperienze pastorali. Il titolo dell’opera, L’arte di far incontrare i cuori, permette di percepirne la carica spirituale e il genere letterario: in un mondo dove le parole diventano troppo spesso armi di seduzione o di violenza, il loro ascolto è ridotto sempre più a possibilità brutale di malinteso e la diplomazia non di rado è trasformata in un’arte per raggirare il prossimo, l’A. punta sulla necessità di ricostruire relazioni fraterne a partire dal retto utilizzo e dalla carica della parola umana, che va riscoperta come potenziale di riconciliazione e non di potere. Da qui si manifesta anche l’esigenza di uno stile diplomatico da riscoprire: non solo per i veri specialisti di campo (diplomatici, guide e pastori di anime), ma anche come attività che riguarda tutti gli uomini, che può diventare propria di ogni cuore.
Questa ricchezza che l’A. vuole condividere con i suoi lettori è realizzata commentando l’ultimo grande racconto della Genesi, il ciclo di Giuseppe e dei suoi fratelli, che vengono progressivamente ricondotti alla fraternità spezzata: una storia che, come afferma il card. Pietro Parolin nella Prefazione, «occupa la più ampia sezione del primo scritto del Pentateuco, si colloca al termine delle origini, quasi solidissimo pilastro di un’arcata che si getta verso l’epopea dell’Esodo e la costituzione del Popolo di Dio» (p. 7).
L’A. si pone in ascolto di questa vicenda biblica assaporandone tutto il valore teologico e antropologico, e trasformandolo in un’occasione di contemplazione spirituale e crescita umana più che di esercizio esegetico.
Seguendo progressivamente il dramma dei figli di Giacobbe, il volumetto si sofferma, in un primo tempo, sulla necessità di compiere passi nel buio: il piccolo Giuseppe, destinatario di doni divini, non ha ancora la maturità e l’esperienza necessarie per utilizzarli nella giusta direzione, quella che fa crescere sé stesso e le relazioni intorno a sé. Negli indizi narrativi spesso fugaci ma significativi presenti nel testo ispirato, don Enzo ha saputo cogliere il tragitto necessario che Dio (personaggio silenzioso e nascosto, ma determinante, come nella storia di ogni credente) fa fare a Giuseppe, nel buio della sua illusione di grandezza («Molto spesso non vediamo le cose come sono, ma le vediamo come siamo», p. 16), generatrice di invidia e vendetta da parte dei fratelli, poi, passando per le tenebre del pozzo, dell’esilio, delle prigioni. Attraverso la personale kenosi di Giuseppe si è accompagnati spiritualmente sulla strada necessaria dell’abbassamento e della prova, che può portare a rileggere noi stessi in verità e a maturare un rapporto reale, non falsato, con gli altri e con le situazioni della vita (virtù che l’A. delinea come «lungi-miranza», capacità di «vedere lungo»).
Questa resilienza di Giuseppe nelle difficoltà e l’occasione da lui colta di imparare dai momenti di tenebra, spesso segnati da un silenzio che ammaestra, fanno in realtà la sua fortuna e la sua realizzazione: la posizione a cui la Provvidenza lo innalza nel regno d’Egitto gli permetterà di rileggere e risanare la sua vicenda familiare, nel momento in cui i fratelli si presenteranno per chiedergli aiuto. Il passaggio dalle tenebre alla luce, dalla disillusione alla realtà, dai propri sogni autoriferiti al «sogno» di Dio e con Dio, permette a Giuseppe di vestire i panni della vera diplomazia per aiutare i fratelli a fare lo stesso cammino, per ricondurli al proprio cuore e dunque ristabilire la fraternità perduta e ferita. È in questa prospettiva pedagogica che è comprensibile l’uso della «finzione»: un mascheramento propedeutico (quello orchestrato a più riprese da Giuseppe) «per non fingere più», ovvero finalizzato a portare in piena luce la verità della fraternità, le ferite causate alla comunicazione, la bellezza del ritrovarsi insieme nonostante il male subìto e procurato.
Questo libro offre un efficace itinerario spirituale: l’A., spesso profondamente coinvolto, anche nella scrittura, nelle meditazioni che propone al lettore, lo conduce alla necessità di rileggere nella propria vita la presenza di Dio e degli altri, e di ricostruire i ponti che ci mettono in comunicazione, riportandoci alla bellezza della vita.