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La speranza è il tema scelto da papa Francesco per l’anno giubilare 2025. È un tema, come riconosce p. Giovanni Cucci, indispensabile per la vita, ma per lo più disatteso: «Anche una veloce occhiata alla pubblicistica delle scienze umane in merito risulta significativa: assente dai dizionari di psicologia, la speranza non figura nemmeno nella recente collana sui principali temi di psicologia che la rivista Mind vi ha dedicato (24 volumi dal 2018 al 2020)» (p. 11). Anche la ricognizione compiuta in sede filosofico-politica non porta a risultati differenti: la corposa opera di Ernst Bloch, Il principio speranza, può essere considerata una sorta di enciclopedia sul tema; essa tuttavia risulta appiattita sulla dimensione meramente terrena di una realizzazione limitata alle possibilità umane, per doversi alla fine arrendere al potere della morte che tutto annulla. Significativo è il rimando finale alla descrizione di un obitorio tratta da un racconto di Gottfried Keller: un’immagine eloquente dell’unico tipo di giustizia livellatrice che attende tutti al termine della vita.
La speranza è in crisi, perché richiede essenzialmente la fede come propria ragion d’essere. Nella parte dedicata alla ricognizione terminologica, l’A. ricorda l’affermazione della lettera agli Ebrei: «La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede» (Eb 11,1). Quando viene a mancare la fede, cade di conseguenza anche la speranza di vivere. È impressionante la parte dedicata alle modalità tragiche con le quali molti psicologi e psichiatri hanno voluto concludere la propria esistenza: una modalità che corre parallela al disinteresse verso la speranza di vivere. «Karl Menninger, uno dei più celebri psichiatri statunitensi, quando nel 1959 venne invitato a parlare sul tema all’American Psychiatric Association, ne delineò un panorama impietoso ma eloquente: “Per quanto riguarda la speranza i nostri scaffali sono vuoti e le nostre riviste tacciono”» (p. 41). Ci si deve dunque arrendere alla perdita della speranza e della voglia di vivere?
Nella seconda parte del libro l’A. mostra alcuni timidi segni in senso contrario. Negli ultimi 20 anni compaiono pubblicazioni sulla cosiddetta «psicologia positiva» – interessata a indagare soprattutto ciò che possa rendere la vita bella e degna di essere vissuta – da parte di autori di chiara ispirazione cristiana, come Martin Seligman e Christopher Peterson. Ma soprattutto vengono presentati coloro che più di tutti hanno saputo parlare della speranza nella sua molteplice e variegata complessità: san Tommaso d’Aquino e Benedetto XVI.
Tommaso ne indaga la prospettiva anzitutto naturale, inserendola nelle passioni «aggressive»: la speranza ha quindi un significato antitetico alla caricatura fatalista e rassegnata con la quale non di rado la si rappresenta («Speriamo che le cose vadano meglio…»), e che ha portato al suo rifiuto in sede filosofica e politica; in seguito ne illustra la caratteristica di virtù teologale proprio per il suo legame essenziale con la fede.
Vengono poi ricordati, ripercorrendo l’enciclica Spe salvi di Benedetto XVI, i tre luoghi fondamentali che manifestano la forza dirompente della speranza: 1) la preghiera; 2) l’agire e il soffrire; 3) il Giudizio finale.
Risultano particolarmente toccanti le pagine dedicate ai martiri per la fede: essi hanno potuto sopportare prove terribili perché animati dalla speranza di non aver vissuto invano e che la loro sofferenza avrebbe potuto essere di giovamento ad altri. È il caso, ad esempio, del vescovo cinese Tang, condannato al carcere duro per essersi rifiutato di rompere ogni legame con il Papa: «Quando veniva interrogato, recitava mentalmente venti decine del rosario per la sua vita, per quella dei suoi cari, dei cattolici perseguitati, del Papa e per le necessità della Chiesa. In tal modo riuscì a vivere i 22 anni di carcerazione nella costante pace e serenità, rinfrancato da quei pensieri, che non esitò a definire “felici”» (p. 97).
La speranza, riprendendo il celebre poema di Charles Péguy, è una piccola bambina, accompagnata per mano dalle due sorelle maggiori (la fede e la carità), ma in realtà è lei che ha la forza di condurle: «Essa è infatti un anticipo di eternità, che trasfigura, senza annullarle, le lacrime di chi ha amato» (p. 21).