
In un precedente articolo ci siamo posti il quesito se, per l’evento che rinnova la vita di Paolo sulla via di Damasco, sia più esatto parlare di «conversione» o di «vocazione»[1]. Il quesito sembrerebbe di poca importanza, eppure due anni e mezzo fa, da parte del Segretariato delle attività ecumeniche (Sae), è stata indirizzata al Prefetto del Dicastero per il culto divino e la disciplina dei sacramenti una petizione per modificare la denominazione «Festa della conversione di san Paolo» del 25 gennaio in «Festa della vocazione di san Paolo»[2]. Perché sarebbe rilevante rettificare la denominazione?
Una prima risposta è data dalla testimonianza che Paolo stesso ha lasciato di sé nell’epistolario, e poi dalla triplice relazione che tramandano gli Atti degli Apostoli[3]. La documentazione letteraria che Paolo dà dell’evento di Damasco, anche se ridotta a semplici allusioni, sembra del tutto univoca: quando accenna all’incontro con il Signore risorto, l’apostolo si esprime col linguaggio della vocazione e della rivelazione, mai con quello della conversione. È una testimonianza di prima mano, che ha il merito, oltretutto, di non voler essere alcuna documentazione. Su questo punto Paolo non deflette mai dalla tesi dell’iniziativa assoluta di Dio: un’iniziativa che fonda, spinge e anima l’opera umana e non le cede il passo; si può sostenere che appunto su questa certezza esistenziale si fondi per Paolo la possibilità di affermare in assoluto l’incondizionata iniziativa di Dio nella storia della salvezza.
Va notato subito che il quesito se in Paolo si tratti di vocazione o di conversione non è solo un problema terminologico, ma riguarda un nodo centrale della teologia paolina. Chi è il vero protagonista dell’evento di Damasco? L’uomo o Dio? O, più radicalmente ancora, in che misura l’uomo decide autonomamente della propria vita, o invece dipende – salva la libertà – da un’iniziativa di Dio che attraversa la storia umana? Con il caso limite di Paolo, ritorna così, ma con tutt’altra ampiezza, il quesito di partenza: la salvezza è propriamente un’esperienza soggettiva di conversione, o l’adempimento di una vocazione?
Vocazione o conversione: questione terminologica e storia del cristianesimo
In fin dei conti, che cosa cambia nell’esistenza di Paolo se l’evento di Damasco è piuttosto una vocazione che una conversione? A prima vista, un cambiamento c’è, e può essere anche molto vistoso. La conversione è rottura, ma è anche, al tempo stesso, continuità[4]. La crisi nasce dalla radicale insufficienza di un itinerario di
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