
Il cammino dell’interiorità come via a Dio è un tema antico (basti pensare a sant’Agostino), ma riteniamo che sia utile esaminarlo in due autori del secolo scorso: il teologo cattolico Bernard Joseph Francis Lonergan (1904-1984) e il filosofo ebreo Abraham Joshua Heschel (1907-1972). Sono due pensatori molto diversi, ma il loro apporto ci pare convergente e complementare: Lonergan è più filosofico, Heschel più mistico, ma non è difficile trovare elementi mistici in Lonergan e un profondo rigore intellettuale in Heschel. Non pare che l’uno abbia conosciuto le opere dell’altro.
Nel suo Metodo in teologia Lonergan dedica un lungo capitolo al tema «religione» (c. 4), non partendo dalle idee filosofiche su Dio, bensì dall’esperienza religiosa, tracciando di fatto ciò che potremmo chiamare una «filosofia della religione», alla luce della rivelazione cristiana[1]. Da parte sua, Heschel ha inteso anch’egli proporre una «filosofia della religione», basandola sulla fede biblica nell’unico Dio creatore e datore della sua parola di salvezza[2].
Mentre la teologia si interessa alla fede e ai suoi contenuti, la filosofia della religione si interessa agli atti del credente. Così intesa, quest’ultima elabora una fenomenologia degli atti religiosi che ha un valore universale. Per Heschel, non si tratta «di mettere in luce gli elementi comuni della ragione e della rivelazione» (D 32), ma di andare agli atti religiosi scaturiti dalla rivelazione stessa. Così «la filosofia della religione può essere definita come la riflessione della religione sulle sue intuizioni e i suoi orientamenti fondamentali, ossia come completa autocomprensione della religione nei propri termini spirituali. Essa è uno sforzo di autochiarificazione e di autoesame» (D 25).
La domanda su Dio
Propriamente, l’uomo non inizia ponendosi domande su Dio, ma sul mondo e sull’essere umano. Ma prima ancora di porsi domande, l’uomo vive nell’immediatezza propria del bambino (cfr M 132 s). Essa è «la somma di ciò che è visto, udito, toccato, gustato, odorato, sentito» (M 299). Essa «è un mondo del tutto indipendente da domande e risposte, un mondo nel quale abbiamo vissuto prima di parlare e mentre imparavamo a parlare, un mondo nel quale cerchiamo di ritirarci quando vorremmo dimenticare il mondo mediato dal significato, quando ci rilassiamo, giochiamo, riposiamo. In questo mondo l’oggetto non è denominato, né descritto» (M 327). Questo è il piano che Lonergan chiama della «coscienza indifferenziata» (M 63 e passim) e che Heschel qualifica come «pensiero preconcettuale», posto «ad un livello che precede la concettualizzazione, a livello di
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