
Tra Siria e «Hezbollah»
Le vicende libanesi di cui parleremo in questo articolo hanno influito moltissimo su ciò che a partire dal 27 novembre 2024 è accaduto in Siria. Un esercito ben organizzato e addestrato di ribelli islamisti, provenienti dalla piccola provincia siriana di Idlib, confinante con la Turchia, in meno di due settimane, dopo aver preso Aleppo, Hama e Homs, è arrivato alla capitale Damasco, occupandola in modo quasi incruento[1] e costringendo il presidente Bashar al-Assad a una fuga precipitosa, organizzata dagli alleati russi. I ribelli sono una coalizione eterogenea, dominata dal gruppo jihadista Hayat Tahrir al-Sham («Organizzazione per la liberazione del Levante») e capeggiata dal carismatico Abu Mohammad al-Jolani. Questi un tempo era affiliato ad al-Qaeda;successivamente passò nelle file dell’Isis, da cui nel 2017 prese le distanze anche sul piano ideologico e politico. Negli anni recenti aveva governato Idlib in modo competente ma autoritario[2]; lì si erano rifugiati molti degli oppositori del regime di Assad, sotto la protezione dei turchi[3]. Pochi giorni dopo l’ascesa al potere, al-Jolani ha abbandonato il suo nome da combattente e ha usato quello suo proprio di Ahmad al-Sharaa, nonché ha sostituito la sua divisa di militante islamista con giacca e cravatta. Ha affermato di aver imparato la lezione dei passati cambi di regime nel mondo arabo e di non volere nessuna transizione «rivoluzionaria» o cruenta.
Questo cambiamento, a differenza di quelli di Iraq e Libia, è stato gestito localmente, piuttosto che da potenze straniere. Russia e Iran, che in precedenza erano stati i principali sostenitori di Damasco, si sono ritirati in modo discreto dalla lotta, considerando anche l’inerzia dell’esercito siriano che non voleva più combattere per Assad. Il nuovo leader della Siria, che comunque rimane divisa in molti feudi, ha dichiarato anche di voler creare un governo inclusivo e democratico per ottenere l’appoggio dell’Occidente e quindi la cancellazione delle sanzioni. In particolare si è rivolto ai curdi, affermando che essi sono «parte della patria e partner della futura Siria»[4], ma anche ai cristiani e agli alawiti, assicurando loro tolleranza e libertà di culto.
Circa il futuro della Siria, al-Sharaa ha promesso di convocare una conferenza nazionale per il dialogo come espressione di tutte le componenti della società, cui sarà affidato il compito di redigere la nuova Costituzione[5]. Ma ha anche dichiarato, a differenza di quanto aveva affermato all’inizio, che ci vorranno almeno tre anni per concludere
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