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Un’analisi critica, e a tratti pungente, dell’attuale scenario politico e dello stato di salute della nostra democrazia è l’ultimo pamphlet di Luciano Canfora, il cui titolo, un ossimoro, è mutuato dalla felice formula del filosofo Domenico Losurdo.
In Italia stiamo assistendo al ritorno del suffragio universale ristretto, questa volta non imposto per legge, come accaduto in epoche storiche lontane, ma in una nuova e moderna forma, come risultato dell’autoesclusione dalla partecipazione e dallo spazio politico di ceti «socialmente deboli» e «politicamente non rappresentati» (p. 66).
Nelle metropoli, come fa notare l’autore, votano i cittadini delle zone a traffico limitato, mentre l’astensione diventa la scelta largamente dominante delle fasce meno abbienti della popolazione residente nelle periferie. Ciò a vantaggio dei ceti benestanti, una minoranza agguerrita e «gelosa della conquistata democrazia dei signori» (p. 62), che di fatto diventa decisiva per il risultato delle urne.
Questa tendenza al non voto negli ultimi anni si è ripresentata puntualmente a ogni appuntamento con le urne e ha caratterizzato le elezioni amministrative dell’ottobre 2021. Essa è la conseguenza del decadimento politico generale, dell’impoverimento culturale e della perdita di identità – che si riflette sui programmi – di quelle forze politiche, un tempo tradizionalmente attente ai ceti popolari, che nel libro vengono definite «ex sinistra».
Forze che, sottolinea Canfora, dovrebbero riprendere a guardare verso il basso, verso le fasce più deboli e le loro istanze, perché ne trarrebbero vantaggio in termini di recupero di consenso.
La crisi dei partiti e il ridursi della loro capacità di raccogliere consensi sono stati preceduti da un sottile lavorio teso a bollare troppo facilmente la nostra Costituzione come «invecchiata, largamente inattuabile e pertanto archiviabile» (p. 29). Da circa un trentennio, in Italia, alle crisi politiche si pone rimedio con «soluzioni “irregolari”» (p. 5), osserva Canfora, che cita i casi dei governi Ciampi, Monti e Draghi.
I presidenti della Repubblica «si regolano come se fosse in vigore da noi la Costituzione della Quinta Repubblica francese o forse pensano che sia tornato in vigore lo Statuto Albertino» (ivi), convocando qualcuno che metta le cose a posto. Questa «anomalia tutta italiana» (p. 6) è ritenuta dall’A. una delle cause del crescente discredito dei partiti e del Parlamento.
In questo scenario, il popolo viene relegato a un ruolo marginale e le decisioni vengono calate dall’alto, forse anche sotto la pressione di strutture extranazionali, che preferiscono figure di fiducia e «dalle molteplici lealtà» (p. 72) da porre a capo di esecutivi non vincolati da dinamiche parlamentari.
In questa situazione, secondo Canfora, è in gioco la sopravvivenza dello Stato sociale, o di quello che ne resta, visto come «il fossile di un’altra era geologica» (p. 53) o «un ingombro» dalle forze dell’Ue e dalle organizzazioni di categoria degli imprenditori.