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I «nuovi talebani»
Gli ultimi provvedimenti assunti dal governo talebano di Kabul, riguardanti in particolare le donne, come l’accesso all’istruzione, il diritto al lavoro e la riproposizione del codice «sciaraitico» di comportamento, hanno posto in evidenza (nel caso ce ne fosse bisogno) il carattere repressivo e sostanzialmente «misogino», sebbene giustificato con il ricorso alle tradizioni tribali e religiose, del nuovo «emirato». E questo mentre il Paese sprofonda in una crisi economica e sociale senza precedenti, che ne fa uno degli Stati più poveri del mondo.
Eppure, nella prima conferenza stampa dei capi talebani oggi insediati al potere, essi avevano rassicurato le cancellerie occidentali (preoccupate per quanto stava accadendo) che le donne sarebbero state «molto attive» nella nuova società afghana e che i loro diritti sarebbero stati garantiti. Ciò che non è stato esplicitato in quella occasione è che tale riconoscimento sarebbe stato attuato secondo il dettato della sharia, che si intendeva rimettere alla base del nuovo ordinamento giuridico.
Ma chi sono questi «nuovi talebani» che hanno preso il potere a Kabul? Secondo lo studioso Domenico Quirico, c’è una differenza tra i vecchi militanti, mobilitati dal mullah Omar alla fine degli anni Novanta del secolo scorso, e quelli attuali.
I primi erano reclutati tra gli studenti delle madrase, scuole coraniche, e tra i contadini della «cintura tribale pashtun», arruolati e armati dai servizi segreti del Pakistan, al fine di controllare il suo vicino Stato tribale attraverso il movimento islamista, che, a differenza di al Qaeda, non intendeva portare la «rivoluzione islamica» fuori del Paese.
I «nuovi talebani», invece, non sono più generalmente «studenti arrabbiati che non riescono a diventare ulema, ma i senza lavoro, giovani che inseguono un’avventura o la vendetta, inselvaggiti dagli innumerevoli danni collaterali delle nostre indifferenti guerre per la democrazia»…