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La logica della carne è nesso sistematico della teologia di papa Francesco, come lo fu per Ignazio di Antiochia, Ireneo di Lione e Tertulliano. È la visuale da cui leggere tutte le tematiche del Credo, la creazione, la salvezza, il mondo che verrà, la storia e il mistero di Cristo, ed è costantemente presente nelle omelie di Bergoglio, prima come arcivescovo e poi come pontefice.
La carne non è il solo corpo umano, ma comprende il corpo e la terra, che non sono due entità distinte, se non addirittura antagoniste, secondo quel dualismo presente in recenti teorie ecologiste. Il nostro corpo è costituito dalla terra. Dio – è scritto nella Genesi – plasmò il corpo di Adamo, «il terroso», con la terra (adama) e soffiò l’alito di vita nelle narici, facendone un essere vivente. La carne è il plasma che compone corpo e terra, è l’insieme di tutti i legami invisibili che rendono l’uomo, la terra e tutte le creature un’unica famiglia. Anche la fame e la sete legano l’uomo alla terra e a Dio. «Quando il corpo chiede il pane, domanda il Padre», testimoniano alcuni episodi della vita terrena di Cristo, dall’Ultima Cena alle sue apparizioni dopo la risurrezione. E nel momento dell’Eucaristia egli si lega sorprendentemente alla materia di questo mondo.
Un altro elemento in cui si manifesta il mistero di Cristo è rappresentato dalle mani, la cui gestualità è indicativa del comportamento dell’uomo. Il Papa concentra la sua riflessione su questo aspetto, dall’umile lavoro manuale del figlio del falegname al gesto affettuoso della carezza, ai miracoli compiuti toccando gli ammalati, guarendo le loro piaghe. E, come gli antichi teologi, sottolinea «la sconvolgente prossimità» delle mani di Dio con il fango nel gesto amorevole di plasmare l’uomo.
L’autore si sofferma su un episodio caro al Papa. Quando il Risorto appare a Gerusalemme e invita gli apostoli a toccarlo, richiama la loro attenzione sul suo corpo in carne e ossa. La risurrezione dei corpi non può essere compresa senza la logica della carne e non va confusa con l’immortalità dell’anima. A questo proposito, l’autore cita un brano del «Paradiso» di Dante in cui Salomone spiega al poeta che quando i corpi si ricongiungeranno con le anime, vedranno ancora meglio Dio, e la loro gioia sarà completa.
Il libro di Pagazzi sorprende il credente e lo guida in un percorso di riflessione che rafforza la sua fede e la sua gioia di essere cristiano.
Analoga constatazione vale per l’altro libro di Pagazzi, Il garbo del Vincitore, ispirato dalla contemplazione del «Risorto», il capolavoro di Pericle Fazzini (lo «scultore del vento», come lo definì Ungaretti). Le meditazioni si concentrano su alcuni elementi carichi di significato simbolico.
L’incendio, che divampa con lampi e fulmini ai piedi del Risorto, è il simbolo della luce che squarcia il buio della notte, vince le tenebre e illumina il cammino dei credenti, come insegnano i Salmi.
Il fuoco è alimentato dal vento, con cui si manifesta lo Spirito vivificante di Dio che risveglierà i morti. Nell’opera di Fazzini, il vento esalta la figura di Cristo nel momento della vittoria sulla morte, mettendo in risalto la sua potenza che, come fa notare l’autore, non è un retaggio dell’immagine mitologica del divino e non stride con la misericordia. La nostra professione di fede nel Credo in «Dio Padre onnipotente» e il brano del libro della Sapienza che afferma: «Hai compassione di tutti, perché tutto puoi» (Sap 11,23), dimostrano che Dio manifesta la sua onnipotenza nella grazia del perdono.
Quei teli funebri sventolanti del bronzo di Fazzini, osserva acutamente l’autore, sono gli stessi riposti con garbo all’interno del sepolcro. Quando Pietro entrò e lo trovò vuoto, notò il velo funebre piegato da una parte e il sudario ben arrotolato in un altro angolo. Questa scena del Vangelo di Giovanni ispira il titolo del libro, che valorizza particolari importanti ed emblematici del trionfo sulla morte e della «gentile potenza» di un Dio «troppo fine e garbato per noi umani». Il «gesto musicale» delle braccia e delle mani di Cristo, come di un direttore d’orchestra che si rivolge all’insieme dell’orchestra e al singolo solista, senza trascurare nessuno, sembra un abbraccio a tutti i suoi figli, soprattutto a chi è in disparte. Anche quando ascende al cielo, Cristo ha lo sguardo rivolto verso il basso, non stacca gli occhi dalla terra. Perciò, abbiamo solidissimi motivi per continuare a sperare e affidarci a lui.
GIROLAMO
59 Omelie sui Salmi (1-115). Omelia sul Salmo 41 ai neofiti
Roma, Città Nuova, 2018, 536, € 80,00.