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Non sarebbe azzardato, dopo aver letto questo poderoso volume, definirlo come il fact checker delle fake news su Clemente Rebora (Milano, 1885 – Stresa, 1957). L’obiettivo dell’A., infatti, era quello di produrre dei «materiali per la biografia» del poeta e sacerdote rosminiano, non limitandosi alle solite fonti bibliografiche citate dalla maggioranza degli studiosi, ma attingendo là dove finora nessuno aveva cercato.
Eccolo allora scavare nelle carte dei tanti amici e conoscenti di Rebora, visitare centinaia di archivi e istituti culturali italiani, riesaminare le pubblicazioni, correggere errori di traduzione, precisare luoghi e date, contestualizzare testimonianze, confrontarsi con studiosi ed esperti. Il risultato sono quasi mille pagine che si offrono al lettore come un autentico Bildungsroman, che segue Rebora dalla nascita alla conversione religiosa (1929) attraverso gli studi, le amicizie, i turbamenti, le passioni e gli aneliti.
Un Rebora che cerca le altezze – quelle alpinistiche e quelle dello spirito –, spinto da un anelito dapprima vago e poi sempre più cogente, che cresce fino a prendere forma definitiva nell’approdo al cattolicesimo. Un esito non scontato, per un giovane cresciuto in una famiglia anticlericale, educato al positivismo, frequentatore di salotti eleganti, il cui desiderio di giovare all’umanità – «professoruccio filantropo», si commisererà più tardi – lo porta a carambolare tra Mazzini, il teosofismo e il pensiero indiano, per scontrarsi poi, come tutta la sua generazione, con la realtà delle trincee del Podgora «tra sangue e melma».
Se la sua lirica aveva spiccato il volo, alla vigilia della guerra, per toccare vertici sublimi nel paradossale contrasto con l’abiezione bellica (la «voce di vedetta morta»), al suo ritorno Rebora è un uomo finito, un «carro vuoto sul binario morto»: svuotato psicologicamente, costretto a una quotidianità di docenze precarie, di visite psichiatriche, di solitudine, acuita dal ricordo della donna amata che lo ha lasciato per un altro uomo.
Saranno pochi vecchi amici e alcune nuove amiche ad affiancarlo e ad accompagnarlo quando, poco dopo, improvvisamente, «Dio mi tolse il dono della parola». La poesia tace, le dottrine umane svaniscono: in quel silenzio, Rebora ode «il suo bisbiglio», al quale non può più resistere e in cui trova la risposta alla domanda di senso che lo ha sempre divorato e che egli ha sempre cercato di soddisfare tra errori, fallimenti e incomprensioni.
Il volume si ferma qui, quando Rebora riceve la prima Comunione e la Cresima: occorrerà aspettare il secondo volume per assistere allo sbocciare della vocazione religiosa alla sequela di Antonio Rosmini, alla scelta sacerdotale e al ritorno alla poesia, che toccherà le vette sublimi dei «canti dell’infermità» negli ultimi anni, quando sarà «come chiodo al muro […] confitto».
Corredato da interessanti saggi introduttivi, da un congruo numero di note, da utili tabelle di riferimento delle lettere e da una ricca appendice di lettere inedite di Rebora, ritrovate nel fondo lasciato da Renata Lollo, il libro di Pigi Colognesi soddisfa il bisogno, manifestato da tanti, di una biografia reboriana realmente documentata, scientificamente accurata, ma al contempo accessibile al lettore generico, che si svincoli sia dai cliché agiografici sia da quelli irreligiosi, in cui le fonti archivistiche siano di prima mano e lo sguardo cerchi il Rebora com’era e non come si vorrebbe che fosse.
Il Rebora che ci svela l’A. è un amico cui volevamo bene e di cui conoscevamo la storia, ma che adesso ci parla in prima persona, sgombra il campo dagli equivoci, ci spiega la ragione delle proprie scelte e ci fa capire l’autenticità del proprio percorso intellettuale, poetico ed esistenziale. Svaniscono interpretazioni datate, moralistiche censure, periodizzazioni arbitrarie e concordanze forzate. Rimane la vita autentica di un giovane Clemente che pecca, soffre, cerca e ascolta «la Voce d’Amore che chiama e non langue».