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Libri
Il potere e la ribelle di Filippo Cucuccio

Il potere e la ribelle

Quaderno 4077 - pag. 309 - 310

30 Aprile 2020


Si può parlare del sequestro Moro, del caso Cucchi o di altre vicende dolorose che hanno lasciato un’impronta profonda nella memoria collettiva, calandole nella trama di una tragedia sofoclea di poco meno di 2500 anni fa? È un interrogativo, forse singolare, ma giustificato dai numerosi riferimenti che si incontrano in questo libro, scritto dai magistrati Livio Pepino e Nello Rossi, che hanno una vastissima esperienza operativa, maturata sul campo, e sono tuttora impegnati civilmente dopo il pensionamento.

Un libro che non parla solo agli specialisti e ai cultori delle materie giuridiche, ma vuole aprire uno spazio di riflessione profonda a quanti, dotati di senso civico e istituzionale, si interrogano sui rapporti complessi fra poteri dello Stato e diritti del singolo cittadino, attraverso una rilettura della tragedia di Sofocle Antigone, già più volte rivisitata in diverse epoche: da Vittorio Alfieri a Salvador Espriu, passando per Jean Anouilh e Bertolt Brecht.

Partendo dal nucleo della trama della tragedia greca – centrato sul divieto di sepoltura emanato da Creonte nei confronti di Polinice, considerato un traditore della patria tebana, e sulla sua violazione da parte della sorella Antigone, con la sua conseguente condanna a morte –, gli autori effettuano innanzitutto una valutazione di questi due personaggi. Una ricostruzione sicuramente singolare, volta anche a superare la prima reazione istintiva dei lettori della tragedia, portati a esprimere un’immediata simpatia per le ragioni impersonate da Antigone ai danni di quelle del suo antagonista Creonte.

Dopo un’analisi del valore simbolico di Antigone e Creon­te, il libro passa a una rivalutazione della figura del secondo, facendo riferimento ad alcuni elementi essenziali che lo caratterizzano, quali l’obbligo di esercitare i poteri del governo e il senso della tutela dello Stato e del suo ordinamento: profili portati avanti da Creonte a ogni prezzo, compreso il sacrificio personale finale.

Nel capitolo successivo gli autori discutono sugli aspetti di obbedienza-disobbedienza rappresentati dai due personaggi, e si interrogano su chi debba accertare l’esistenza del pericolo incombente per lo Stato e sulle misure per contrastarlo; sugli abusi di potere, che possono arrivare fino all’uso degradante della tortura; sul senso e sui limiti della legalità; sulla divaricazione tra legge e giustizia; e su un corretto inquadramento della dimensione politica e del suo ruolo nella società civile.

Il testo poi cerca di far luce sulla figura di Antigone e sulla sua irriducibilità: portatrice di comprensibili ragioni di pietas e di una maggiore mitezza nel diritto, o simbolo di un’utopia sterile, di un rovesciamento radicale di un presente indesiderato, senza peraltro offrire la formulazione di un progetto alternativo? Una figura che si trova comunque a scontrarsi con lo Stato e con le sue norme, ispirate al dovere di non lasciare spazio al conflitto estremo e, per ciò stesso, insensibile al bene collettivo.

Quindi i due autori trattano del delicato rapporto tra giustizia e giudici nell’esercizio delle loro funzioni. Un ruolo che nel corso dei secoli ha registrato una radicale evoluzione: da quello di semplici funzionari dello Stato e suoi meri esecutori alla visione, accolta dalla nostra Costituzione, di «istituzione cerniera tra lo Stato comunità e l’apparato pubblico» (p. 101). Un ruolo di cui si è spesso discusso in termini di neutralità o di imparzialità, concordando i due autori sul rifiuto sia delle logiche corporativistiche dei magistrati, sia dell’uso della giustizia per finalità politiche di basso livello. Un percorso che li porta a individuare non nella giustizia penale, ma in quella civile il luogo in cui «rammendare amorevolmente il tessuto sociale strappato» (p. 119).

Nel capitolo conclusivo viene lanciato un messaggio di speranza, mostrando come gli orientamenti e gli atteggiamenti di una parte della magistratura – già dalla fine degli anni Sessanta del secolo scorso – e di una sua parte maggioritaria – più recentemente – si siano ispirati, nell’esercizio del potere giurisdizionale, a una visione democratica della società civile, saldamente ancorata a princìpi liberali e disponibile a valutare imparzialmente la complessità delle ragioni attribuibili sia ad Antigone sia a Creonte.

LIVIO PEPINO – NELLO ROSSI
Il potere e la ribelle. Creonte o Antigone? Un dialogo
Torino, Edizioni Gruppo Abele, 2019, 160, € 14,00.


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